L’alba si crepa di suoni che conosce
straziando l’aria
mandando in frantumi i nostri templi vacillanti
innalzando al contrario le nostre cattedrali di speranza,
in cambio delle nostre vite offerte sopra questi altari
per la purificazione che venne fatta tempo prima.
Nell’etere portiamo
le nostre viscere; e preghiamo;
grida abbandonate sul ciglio di strade solitarie
come stivali di uomini armati.
Alzo il calice di issopo e di pianto
per toccare le labbra della sete
cielo che geme in milioni di spire
di odio e di morte; noi preghiamo
di condurre a brillare le singole speranze
lucidando nel destino della mia razza
quella spada luccicante di salvezza.
l’orchestra suona la mia musica al tempo
delle erbe stufate di anemone e ginestra
versate sopra le ferite putrescenti della mia razza,
per lavare per sempre il mio splendore assorbente
mentre cerchiamo nei nostri granai il raccolto nuovo.
Speravamo in quel miracolo
quella salvezza attesa
per la quale recitavamo tante preghiere
e offrivamo offerte.
Nelle stagioni dei piedi roventi
dei cattivi raccolti, dei matrimoni disastrosi
lì bruciano sopra il filo luccicante della spada
copia del coltello pasquale.
I suoni attorniavano i nostri cieli solitari
sopra l’erba verde i ballerini gettavano le loro vesti
tendendo le loro appena tosate pelli delle vacche
per costruirsi da soli nuovi tamburelli.
Cieli gementi, da lontano il distante andare
di questi piedi al passo
imitando dal basso la loro violenza.
Lungo strade fiancheggiate di mimose
maltrattati e ammanettati vengono trascinati
per la nostra allegria.
Spargiamo fiori ai piedi dei conquistatori
chiedendo perdono dei nostri peccati…
…Lui verrà fuori dalla bara
i suoi vestiti buttati attorno;
i vermi non avevano svolto il loro compito.
La sua faccia irradia lo splendore di molti soli.
La sua andatura regge il peso di una vittoria,
sulla sua fronte brillano migliaia di nimbi
lui si inginocchierà dopo la rivelazione
e morirà su questa terra.
E io prego
che le mie colline s’innalzino
e che lui mi lavi,
mi respiri
muoia.
Loro li condussero nell’immensità
e mentre camminavano loro vacillavano
e si alzavano di nuovo. Camminavano
fra prati al limine del monte
e inginocchiati in preghiere mute;
si rialzavano di nuovo per risalire il monte;
si chinavano
come adoratori di Muhammed.
Improvvisamente si rialzarono
tendendo le loro mani verso la folla
in una serie di dispendiosi gesti di identità
accolti fra le grida
sorridenti e ondeggianti
come quelli che viaggiano su grandi navi.
Cadde un improvviso silenzio
mentre la folla spingeva gridando
nel luminoso pungente mattino di uno sparo.
Loro li portarono verso il monte
in un gioco di menzogne da uomini ciechi
vacillarono per appoggiarsi ai sacchi di sabbia
i loro ritorni al mare
che li porterà via.
La rotta diceria dei mitra
e poi lo schianto;
uno sparo li salutò
per spedirli dentro l’oscurità
e le mie montagne vorticano
alla fine del mondo.
Kofi Awoonor, poeta, diplomatico, statista e scrittore ghanese, ucciso dal commando di jihadisti il 21 settembre 2013 durante l’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi. Awoonor era a Nairobi per partecipare al festival letterario di Storymoja Hay. Per i terroristi, Awoonor era un obiettivo prelibato: cristiano, umanista, dissidente, letterato.