Nicola Cosentino, figlio di emigranti di ritorno, nasce il 2 gennaio 1959 a Casal di Principe. Dal padre, oltre che il soprannome, eredita anche la società attiva nel commercio del gas e carburante oggi in mano ai fratelli. L’azienda della famiglia Cosentino, che ha la propria sede in corso Umberto I a Casal di Principe è un importante crocevia di affari. Il fatturato cresce di anno in anno. E, particolare significativo, quando l’Aima viene sciolta, nell’organico aziendale si trova subito un posto per chi, negli anni precedenti, adoperandosi all’interno dell’organismo pubblico ha fornito un fondamentale contributo a far lievitare il volume d’affari dell’Aversana Petroli. Ancora oggi l’azienda capofila della holding di Casal di Principe è la fornitrice, in regime di monopolio, dei carburanti agricoli al CapCe, il Consorzio Agrario provinciale di Caserta, che può vantare una fittissima rete di distribuzione di benzina e gasolio per i macchinari utilizzati in agricoltura. I punti vendita sono, in tutto, 16: Alife, Aversa, Alvignano, Cancello ed Arnone, Carinola, Cellole, Francolise, Grazzanise, Mignano Montelungo, Mondragone, Portico, San Cipriano d’Aversa, Santa Maria Capua Vetere, Teano, Vairano, Vitulazio. Tutti riforniti dall’Aversana Petroli, che ha letteralmente sbaragliato la concorrenza.
È parente acquisito di diversi camorristi: suo fratello Mario è infatti sposato con Mirella Russo, sorella del boss dei casalesi Giuseppe Russo (detto Peppe O Padrino), pezzo da novanta dei clan di Casal di Principe, arrestato in Germania dopo una lunga latitanza, condannato all’ergastolo e tuttora detenuto in regime di 41 bis.; un altro fratello è sposato con la figlia del boss Costantino Diana, poi deceduto. E infine, qualora non bastasse, anche un nipote del patriarca della dinasty politico – imprenditoriale di Casal di Principe, Palmiro, figlio del fratello di Silvio, Aldo Cosentino, ha dato il suo contributo, sposando l’11 aprile 2003 a Casal di Principe Alfonsina Schiavone, figlia del boss Francesco Schiavone di Luigi (solo omonimo di Sandokan), detto Cicciariello. A 19 anni diventa, eletto nella lista del Psdi, consigliere comunale di Casal di Principe, poi consigliere della Provincia di Caserta (1980) e assessore dal 1983 al 1985. Il 23 aprile 1995 è eletto consigliere regionale della Campania nella lista di Forza Italia, riportando 12.851 voti. Con Forza Italia alle Politiche del 1996 viene eletto alla Camera, nel collegio Capua Piedimonte Matese, con 35.560 voti. Il 24 settembre 1997 è designato coordinatore di Forza Italia per la provincia di Caserta. Viene eletto vicecoordinatore regionale per la Campania, per poi divenirne coordinatore regionale nel luglio 2005. È stato riconfermato con Forza Italia alla Camera nelle successive consultazioni del 2001 e del 2006, e poi col Pdl nel 2008 per la circoscrizione “Campania 2”. Durante quest’ultimo incarico da deputato, dal 2008, Cosentino è stato nominato sottosegretario all’Economia. Ha anche cercato la candidatura a governatore alle Regionali del 2010 in Campania, ma gli è stato preferito dal partito Stefano Caldoro.
Di seguito un estratto dal libro “Il Casalese”, pubblicato dalla casa editrice Centoautori di Villaricca, e dedicata all’ascesa di Nicola Cosentino e i suoi fratelli.
Cosentino era già destinatario di una prima ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata nel 2009 dal gip Raffaele Piccirillo. Un fulmine a ciel sereno si abbatte così sull’uomo più potente del PDL in Campania. Ma nel caso di quest’ultima indagine firmata dal gip Pilla lo scenario è diverso. I reati contestati a Cosentino sono: concorso in falso, violazione della normativa bancaria e reimpiego di capitali. Ma il macigno sicuramente più pesante è un altro. È quella circostanza aggravante dell’articolo 7, e cioè l’ipotesi di aver commesso quei reati per favorire un’associazione mafiosa. Il clan dei Casalesi, appunto.
Insomma, se nella prima richiesta di arresto a carico del parlamentare si ipotizzava il concorso esterno in associazione mafiosa, oggi la posizione risulta decisamente più appesantita, perché gravata da un quadro accusatorio nel quale anche il numero dei pentiti raddoppia, rispetto alla misura cautelare del 2009. Sei erano i collaboratori di giustizia che puntavano il dito contro l’ex sottosegretario all’Economia; e una dozzina quelli che invece hanno contribuito a delinearne il presunto ruolo di “referente politico” della cosca di Sandokan e Bidognetti, in quest’ultimo caso.
Ma procediamo con ordine, seguendo la cronologia dei fatti come la cronaca giudiziaria li ha raccontati in questi ultimi tre anni.
Il 22 giugno del 2010, a Napoli, sul lungomare di via Caracciolo c’è un insolito fermento. Traffico deviato e automobilisti che imprecano, bloccati sulla Riviera di Chiaia. Si celebra la festa della Guardia di Finanza: alte uniformi, reggimenti schierati sotto il sole cocente, autorità e bandiere tricolori salutano l’arrivo di Nicola Cosentino, che in quel momento ricopre l’incarico di sottosegretario all’Economia, e che Giulio Tremonti ha delegato a rappresentare il governo per le celebrazioni della fondazione del Corpo delle Fiamme Gialle.
“Onori al Sottosegretario di Stato, Nicola Cosentino!”, scandisce con tono di circostanza lo speaker ai bordi del palco sul quale da poco si sono accomodati sindaco, prefetto, presidenti di Regione, Provincia, il cardinale Sepe e le molte altre personalità presenti. In seconda fila ci sono pure tutti i vertici giudiziari, a cominciare dal procuratore della Repubblica Giovandomenico Lepore, seduti accanto a lui l’aggiunto, Federico Cafiero de Raho, uno dei tre coordinatori della Direzione distrettuale antimafia con delega alle inchiestesulla camorra di Terra di Lavoro, e alcuni sostituti procuratori impegnati nelle indagini sulla criminalità organizzata casertana.
Cosentino sfila orgoglioso – impettito e solenne come si conviene in queste circostanze – sul tappeto rosso che lo guiderà al posto d’onore di quel palco. Non sa ancora (sebbene le voci e qualche articolo di stampa che sono circolati in quei giorni lo indichino come un politico in procinto di finire nel bel mezzo di un ciclone giudiziario) che il suo nome è già stato iscritto nel registro degli indagati dai pubblici ministeri che si occupano del clan dei Casalesi. Il reato: concorso esterno in associazione camorristica. La circostanza è invece ovviamente ben nota ai magistrati e ai generali finanzieri costretti, per pura “ragion di Stato”, ad accettare l’imbarazzante presenza.
Ma i guai per Cosentino sono appena cominciati. Cinque pentiti di camorra hanno già a lungo parlato di lui, davanti ai PM della Direzione distrettuale antimafia di Napoli: si tratta di Dario De Simone, Carmine Schiavone (cugino di Sandokan), Domenico Frascogna, Michele Froncillo e Gaetano Vassallo, i quali pare molto sappiano e tanto abbiano da raccontare sui presunti rapporti intrattenuti da Cosentino (Frascogna, nei verbali lo indica sempre come Nick ‘o ‘mericano) con ambienti poco raccomandabili del suo paese natale, Casal di Principe.
Ma poco importa. E Nick, felice e sorridente, sale sul palco d’onore, stringe mani, dispensa pacche sulle spalle a chiunque prima di intervenire per leggere il discorso di circostanza davanti alle gerarchie della Guardia di Finanza.
Ma che cosa raccontano i cinque collaboratori di giustizia ai magistrati inquirenti? Partendo dalla ricostruzione del giro di affari che ruota attorno alle imprese della famiglia Cosentino, ricompongo il mosaico della vorticosa e sorprendente carriera di un politico che ha saputo conquistarsi i favori del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Perché – è giusto dirlo subito, in partenza – Cosentino ha doti di scaltrezza politiche e umane non indifferenti: non a caso, prima di salire al dicastero di via XX Settembre, è riuscito a diventare il coordinatore regionale di Forza Italia, prima, e PDL in seguito (da quest’ultima carica Cosentino si è dimesso il giorno stesso nel quale la Camera dei Deputati ha detto “no” allaseconda richiesta di arresto, quella presentata in relazione all’inchiesta. E dunque torniamo alla domanda. Che cosa dicono di lui i cinque pentiti? Raccontano di un patto segreto. Un patto tra clan e politica, il cui obiettivo finale è il raggiungimento di un duplice risultato: da un lato sostenere elettoralmente politici amici, portando in alto – molto in alto – genteaffidabile, capace di poter poi assicurare coperture e soprattutto riconoscenza alla cosca; dall’altro, garantirsi l’acquisizione di grandi appalti in vari settori, ma soprattutto in quello per il quale i Casalesi hanno saputo eccellere, dimostrando lungimiranza, senso degli affari e una particolare predilezione per la gestione dei rifiuti. Perché è vero, come ha scritto Roberto Saviano, che per la camorra destra e sinistra non esistono quando in gioco entrano i soldi e gli affari: ma è altrettanto vero che se in politica ti scegli come interlocutore un vecchio amico, beh, allora tanto meglio.
Per quasi quattro settimane i magistrati della Procura (Alessandro Milita e Giuseppe Narducci) vanno su e giù per l’Italia ad incontrare nelle varie località segrete in cui sono stati trasferiti gli accusatori del potente politico e a trascrivere le loro dichiarazioni in atti che stanno per diventare un esplosivo dossier che accusa il sottosegretario di Stato Nicola Cosentino. Confrontando quelle dichiarazioni e incrociandone i contenuti, l’accusa prende corpo. Hanno fretta di chiudere questa prima fase investigativa, i PM, anche perché devono verificare la genuinità di dichiarazioni tanto gravi; ma si accorgono ben presto che quelle affermazioni collimano e convergono.
C’è tanto, a carico del luogotenente campano di Berlusconi.
Nelle carte del voluminoso fascicolo ci sono i fondi assicurati alla imprenditoria giovanile, ma anche gare d’appalto che sarebbero state precostruite a tavolino; associazioni di imprese nate con l’abito cucito addosso e un gruppo di esperti nei certificati antimafia.
I PM prendono nota e inizia una corsa contro il tempo per chiudere la fase delle indagini preliminari con un clamoroso botto finale: la richiesta di arresto per Cosentino. Perché – questo sostiene la Procura di Napoli – il patto scellerato tra clan e politica esiste davvero, e l’ex sottosegretario all’Economia ne sarebbe stato il garante.
Concorso esterno in associazione mafiosa: ecco prendere corpo l’accusa più infamante che si possa incollare sulle spalle di un politico (di peggio c’è solo quello che accadrà il 6 dicembre 2011, ma questa è storia dei nostri giorni). Se poi questo politico è anche un parlamentare, e – peggio ancora – con un incarico di governo, la miscela diventa esplosiva. Favori e voti in cambio degli appalti: un ripetitivo deja-vu in Campania.
Per i collaboratori di giustizia la macchina era perfettamente oleata: vagonate di assunzioni da parte degli imprenditori collusi garantivano a Cosentino (ma non solo a lui) il consenso elettorale, e – guarda caso – tali assunzioni si verificano alla vigilia di ogni tornata elettorale, come sottolinea il giudice per le indagini preliminari Raffaele Piccirillo nella sua ordinanza di custodia cautelare destinata a Cosentino. Anche Michele Orsi – imprenditore titolare della azienda Eco4 – viene ascoltato in Procura e sul punto conferma tutto. Poche settimane dopo (è il tempismo con il quale i Casalesi agiranno nel mettere in esecuzione la loro spietata sentenza contro chi sta parlando con i magistrati inquirenti) verrà assassinatoda un commando di killer di camorra. Un brutto segnale, questo omicidio, che di fatto inaugura le attività della cosiddetta “ala stragista” del clan dei Casalesi. Per la cronaca va ricordato che in seguito i carabinieri di Caserta daranno esecuzione a cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di alcuni esponenti del clan, arrestando i presunti responsabili del delitto avvenuto davanti al Roxy Bar di Casal di Principe. Tra gli arrestati c’è anche il figlio del titolare del locale, accusato di favoreggiamento aggravato.
Ma torniamo a quelle dichiarazioni esplosive e leggiamo un passaggio delle cose dette da Orsi nel suo interrogatorio: “Confermo che esiste un rapporto politico privilegiato allacciato sin dagli albori della società mista con Nicola Cosentino (Orsi aggiunge anche il nome di un altro politico nazionale, il parlamentare Mario Landolfi). Si è raggiunto anche il limite del 70 per cento delle assunzioni richieste dai politici: risorse umane di personale inutile e talvolta del tutto inoperoso, che venivano effettuate puntualmente in concomitanza con le scadenze elettorali o per conquistare il favore di persone che potevano tornare utili in ragione del ruolo professionale o politico rivestito. Questa rappresentava la contropartita che i protettori politici richiedevano e puntualmente ottenevano dagli imprenditori mafiosi della Eco4. Una società mista che faceva comodo a tutti».
Fatti gravissimi che inducono un magistrato attento e scrupoloso come il gip Piccirillo a convincersi della bontà delle accuse, e a concludere che “l’Eco4 si rivelò poi una società che faceva comodo a tutti. Circa il 70 per cento delle assunzioni che vennero poi operate per la Eco4 erano inutili ed erano motivate per lo più da ragioni politico-elettorali, richieste da soggetti come Valente, Cosentino e Landolfi. Vi erano poi alcune assunzioni che furono motivate dalla necessità di assecondare gli interessi delle amministrazioni comunali, utili per ottenere gli affidamenti”.
Insomma, il quadro è abbastanza chiaro, e per gli inquirenti il sistema appare consolidato, collaudato e soprattutto trasversale.
Orsi cita infatti anche i casi di alcune assunzioni di un vicesindaco e di un consigliere comunale entrambe richieste da Cosentino, “che avrebbe poi sollecitato pure l’assunzione di due nipoti del cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, da noi regolarmente attuate”. Per dovere di cronaca vale la pena ricordare che, su quest’ultima circostanza, sono giunte ripetute smentite da parte della Curia di Napoli.
Il Casalese. Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di lavoro