Otto per mille Con le modifiche concordatarie del 1984, Stato italiano e Santa Sede decisero che il pagamento degli stipendi ai sacerdoti cattolici sarebbe stato sostituito con un nuovo meccanismo, introdotto poi con l’articolo 47 della legge n. 222/1985, che a sua volta estese il sistema alle altre confessioni religiose sottoscrittrici di intese con lo Stato (valdesi, ebrei, luterani, avventisti e pentecostali, buddhisti, induisti, Chiesa apostolica e Sacra diocesi ortodossa d’Italia). Entrato in vigore nel 1990, il sistema destina alla Chiesa cattolica, alle altre confessioni religiose e allo stesso Stato l’8 per mille del gettito Irpef, calcolato in base alle scelte (sia espresse che non espresse) compiute dai contribuenti in occasione della dichiarazione dei redditi.
Nel 2015, stando al sito 8xmille.it creato dalla Chiesa cattolica, le assegnazioni a suo favore sono state pari a 995.462.000 euro, di cui circa il 60% proveniente da scelte non espresse. Sempre sullo stesso sito è disponibile il rendiconto sintetico dell’utilizzo che ne ha fatto la Chiesa: 327 milioni per gli stipendi dei sacerdoti, 156 milioni per il culto e la pastorale nelle diocesi, 140 milioni per le Caritas diocesane, 100 milioni alla costruzione di nuove chiese, 85 milioni per gli interventi caritativi nel Terzo mondo, 60 milioni per il restauro dei beni culturali ecclesiastici, 42,4 milioni agli interventi di rilievo nazionale per il culto e la pastorale, 40 milioni per gli interventi caritativi di rilievo nazionale, 32,062 milioni per la catechesi e l’educazione cristiana, 13 milioni per le cause matrimoniali gestite dai tribunali ecclesiastici regionali.
Va infine ricordato che quella cattolica è l’unica confessione a ricevere un acconto sull’8 per mille dell’anno successivo.
995.462.000 Otto per mille di competenza dello Stato Al momento della dichiarazione dei redditi è possibile scegliere, oltre alla Chiesa cattolica e ad alcune confessioni religiose di minoranza, anche lo Stato. È la Presidenza del Consiglio che decide come ripartire tali fondi, che dovrebbero essere impiegati, ai sensi della legge n. 222/1985, per interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e conservazione di beni culturali. Una parte dei beni culturali oggetto di contributo è tuttavia sempre stata costituita da edifici religiosi di proprietà della Chiesa cattolica.
Il 3 gennaio 2012 il governo Monti ha comunicato di aver deciso di destinare i fondi di pertinenza statale «alle esigenze dell’edilizia carceraria e per il miglioramento delle condizioni di vita nelle prigioni». La quota di pertinenza 2012 è stata destinata al risanamento del debito e alle calamità naturali . Similmente la quota 2013 : dei 404.771 euro residui comunque destinati a iniziative specifiche, 236.335 sono finiti a realtà dichiaratamente cattoliche. Con la legge di stabilità 2014 si è infine deciso che il gettito di competenza statale potrà essere destinato anche a “ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all’istruzione scolastica”. La riforma della cosiddetta “buona scuola” ha tuttavia presto ridimensionato la portata della novità . Come se non bastasse, il governo Renzi sembra essersi incredibilmente “dimenticato” di procedere alla ripartizione delle somme del 2014, come denunciato dall’Uaar .
236.335 Cinque per mille La cifra inserita è una stima basata sull’analisi degli importi attribuiti per l’anno 2009 ed erogati nel 2011 alle prime venti associazioni presenti in ognuno dei quattro elenchi ufficiali oltre a quello dei comuni, pubblicati sul sito dell’Agenzia delle Entrate (enti del volontariato, ricerca scientifica, ricerca sanitaria, associazioni sportive dilettantistiche)
La somma attribuita alle associazioni cattoliche su questo campione è stata poi riparametrata sul totale della cifra corrisposta. La stima risulta pertanto essere di 54.500.000 euro. Va notato come diversi centri di assistenza fiscale cattolici siano stati posti sotto esame dall’Agenzia delle Entrate: sono sospettati di aver modificato la volontà del contribuente indirizzando la scelta verso associazioni consorelle .
54.500.000 Esenzioni Irpef per erogazioni liberali La legge n. 222/1985, oltre a introdurre il meccanismo dell’Otto per Mille, all’articolo 46 ha stabilito che «le persone fisiche possono dedurre dal proprio reddito complessivo le erogazioni liberali in denaro a favore dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero della Chiesa cattolica italiana». Ripresa all’interno del Dpr n. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi ), la possibilità è stata successivamente estesa anche ad altri soggetti, quali le associazioni. L’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 133/2007, ha inoltre precisato che «le erogazioni liberali in favore delle parrocchie che realizzano interventi su beni culturali tutelati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio possono essere detratte dall’imposta lorda per un importo pari al 19 per cento, se effettuate da persone fisiche, dedotte dal reddito d’impresa, se effettuate da imprese».
Gianluca Polverari, su Critica Liberale n. 123/4 del gennaio-febbraio 2006, ha calcolato che il mancato introito fiscale conseguente al provvedimento dovrebbe aggirarsi intorno al 31% del valore dell’erogazione. Nel 2014, secondo dati forniti dal sito cattolico Sovvenire.it , le erogazioni liberali in favore dei soli sacerdoti sarebbero state pari a 10.546.000 euro. Stimando prudenzialmente che quelle in favore delle associazioni e delle parrocchie ammontino quantomeno al doppio, e applicando al totale la percentuale del 31%, si ottiene un mancato introito fiscale di circa dieci milioni di euro.
10.000.000 Esenzioni Imu (Ici, Tares, Tasi) L’Imu (Imposta Municipale Propria) dal 2012 ha preso il posto dell’Ici, che era stata a sua volta istituita con il Dlgs n. 504/1992. L’articolo 7 ne disciplinava le esenzioni.
Con la sentenza n. 4645 dell’8 marzo 2004 la Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’uso quale casa di cura e pensionato di alcuni immobili di proprietà dell’Istituto Religioso del Sacro Cuore, ribadì autorevolmente che, trattandosi di attività «oggettivamente commerciali», gli immobili oggetto del contenzioso non potevano rientrare nell’ambito dell’esenzione (cfr. il sito del Sole 24 Ore ). Nel quadro del Decreto Fiscale collegato alla Legge Finanziaria 2006, il parlamento decise di andare contro la sentenza della Cassazione ed estese l’esenzione Ici anche agli immobili di proprietà ecclesiastica adibiti a scopi commerciali. Il decreto legge n. 223/2006 successivamente eliminò l’esenzione totale, stabilendo che la stessa «si intende applicabile alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale»: in pratica, era sufficiente che all’interno dell’immobile destinato ad attività commerciale si mantenesse anche solo una piccola struttura destinata ad attività religiose per garantire l’esenzione dall’Ici all’intero edificio. Una decisione che non piacque alla Commissione Europea la quale, in seguito a una denuncia dei radicali, aprì un’inchiesta contro il governo italiano per sospetti «aiuti di Stato» alla Chiesa e violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza.
Secondo le stime dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, diffuse nel settembre 2005 , il provvedimento relativo alla finanziaria 2006 avrebbe comportato un ammanco nelle casse comunali di circa 200-300 milioni di euro, 20-25 soltanto a Roma (25,5 secondo lo stesso Comune di Roma, scriveva L’Espresso dell’8 settembre 2011). Maltese, a p. 62, scrive che alla stima Anci vanno aggiunti «gli immobili considerati unilateralmente esenti da sempre e mai dichiarati ai Comuni, per giungere a un mancato gettito complessivo valutato per difetto intorno a 1 miliardo di euro l’anno». Folena, a p. 42, replica così all’articolo di Maltese pubblicato su Repubblica che ha costituito l’origine di questo passaggio ne La questua : «Unilateralmente? Assurdo: sarebbe come se ciascuno di noi, persona fisica, decidesse di ritenersi “unilateralmente esente” dall’Irpef e così non pagasse le tasse. Tanto assurdo che questo passaggio nel libro scompare». Non è vero, come si può notare. E ovviamente era possibile evadere totalmente l’Ici, perché era sufficiente non aver cominciato a pagarla a suo tempo sulla base della legge del 1992, cambiare l’uso dell’edificio in senso commerciale, e non comunicare tale modifica.
La legge, scrivevano i giuristi, non rendeva del resto facile stabilire quali condizioni debbano ricorrere affinché un edificio di culto non debba più essere considerato tale. A p. 41 Folena sostiene che «gli alberghi pagano, e se ciò non avviene, li si induca senza remissione a pagare: senza alcuna incertezza», confermando quindi che non esiste alcun controllo ecclesiastico ‘superiore’ che verifichi la correttezza tributaria dei vari enti ecclesiastici proprietari di edifici in cui si pratica l’attività alberghiera. Lo stesso Folena, a p. 48, scrive del resto che «quella delle “celebri” Orsoline [menzionate da Maltese a mo’ di esempio di attività alberghiera esente] è in realtà una scuola. D’estate vengono messe a disposizione le stanze delle studentesse: 80 euro pensione completa in alta stagione, sconti per famiglie, i bambini pagano la metà». Ma 80 euro sono, per l’appunto, una tariffa di mercato, anzi: condizioni più care di quanto praticato sul mercato da non professionisti. E la stessa scuola probabilmente applica, nel resto dell’anno, condizioni di mercato. Una ‘Casa del clero’ che offre stanze a persone comuni è stata inoltre individuata dal segretario radicale Mario Staderini insieme a tre pensionati per studenti (cfr. sito de L’Espresso ).
Sul Fatto Quotidiano del 20 agosto 2011, che si sofferma in particolare sulla tassazione degli alberghi, è peraltro riportato questo passaggio: «A pagare, secondo l’Associazione nazionale dei comuni italiani, sono meno del 10 per cento di chi dovrebbe farlo, con un danno erariale di circa 500 milioni l’anno». Come lo stesso Folena ricorda (p. 42) i rapporti tra vescovi e i vertici dell’Anci sono cordiali, tanto che il segretario generale dell’associazione Angelo Rughetti ha invitato gli amministratori locali a partecipare al Congresso Eucaristico (cfr. Ultimissima dell’11 agosto 2011 ). Ed è del resto noto che, pur se la Cassazione è di diverso avviso (cfr. sentenza n. 17399/2011 ), nei rari casi in cui il mancato pagamento dell’Ici da parte di un ente religioso veniva esaminato da una commissione tributaria, l’ente tendeva a giustificare le proprie ragioni con semplici autocertificazioni e l’esito gli era generalmente favorevole: si veda il caso di una casa per ferie “scagionata” perché l’immobile «era al servizio di una comunità religiosa per attività ricettiva-assistenziale, senza fini di lucro, che veniva svolta con lo spirito apostolico proprio della Congregazione» (cfr. il sito del Sole 24 Ore ) . L’“assoluzione” da parte delle commissioni tributarie richiederebbe del resto un ulteriore intervento in Cassazione, che non sempre ha luogo (cfr. Ultimissima del 10 novembre 2011 ).
E, ancora, sebbene la locazione di un appartamento sia sempre stata gravata da ICI, sono invece esenti le canoniche e le abitazioni di residenza dei vescovi (cfr. Cassazione n. 6316/2005), così come quelle dei parroci, e persino quelle dei sacrestani. Infine, si ricorda che secondo stime non smentite effettuate dal Gruppo RE (che sostiene di operare sul mercato immobiliare «adottando canoni di comportamento deontologico rispettosi dell’Etica, interpretata secondo la Morale Cattolica»), pubblicate sul settimanale Il Mondo nel maggio 2007, il patrimonio immobiliare di proprietà della Chiesa e delle sue varie articolazioni rappresenta tra il 22 e il 25% del valore dell’intero patrimonio immobiliare italiano. Quantomeno 115.000 immobili, ha reso noto il quotidiano conservatore Il Tempo , di cui 25.000 nella sola Roma.
In attesa dell’intervento del governo, nel febbraio 2012 l’Anci diffuse una nuova stima , definita «prudenziale», che valutava tra i 500 e i 600 milioni l’entità dell’esenzione Ici-Imu. Va anche ricordato che le modifiche concordatarie del 1984, all’articolo 19, stabiliscono che «agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tale scopo, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e delle finalità di tali enti, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime»: pertanto, con l’introduzione e la generalizzazione delle esenzioni Ici-Imu, come ha notato per primo il prof. Piero Bellini dell’università La Sapienza di Roma, si è in presenza di «una modifica del Concordato da parte dello Stato, peraltro in favore della Chiesa, che avviene nelle forme non previste dallo stesso Concordato. Il quale, essendo “protetto” dalla Costituzione, non può essere modificato se non nelle forme previste dalla Costituzione stessa, cioè attraverso un accordo tra le parti». Un capitolo ancora a parte è quello delle chiese – non soggette a tassazione – dove tuttavia si fa pagare un biglietto d’ingresso in considerazione del valore artistico delle stesse: perché non dovrebbero essere colpite da imposta?
L’introduzione dell’Imu, nel 2012, non è stata immediatamente estesa alle proprietà ecclesiastiche: il governo Monti ha infatti preso tempo per stabilire le linee guida, e il Consiglio di Stato ha persino rispedito al mittente la prima bozza elaborata dall’esecutivo. In seguito è stato elaborato un nuovo regolamento che contiene luci e ombre, tanto da far parlare di «mini Imu» o addirittura di «bluff» , visto che la nuova normativa si presta a mille interpretazioni: a partire dall’assunto che per modalità non commerciale va intesa quella che manca del fine di lucro e stabilendo, caso per caso, quando si ritiene che manchi il fine di lucro (la corresponsione di una retta simbolica, la non redistribuzione di eventuali utili, il regime in convezione con lo Stato) sulla base dell’esame dello statuto dell’ente, che poteva comunque essere adeguato entro il 31 dicembre 2012 per rispondere ai requisiti richiesti.
Nel dicembre 2012 la Commissione Europea dava il via libera al regolamento Imu, rilevando nel contempo come la precedente normativa fosse illegittima: nello stesso tempo l’ha tuttavia “condonata”, ritenendo «oggettivamente impossibile», sulla sola base delle dichiarazioni del governo italiano, stabilire quanta parte degli immobili era da considerarsi commerciale e quindi non coperta dall’esenzione Ici. Il danno complessivo per le casse pubbliche nel periodo 2006-2012 era stimato tra i due e i tre miliardi di euro. Nel frattempo, come ha notato anche il periodico cattolico Adista , parlando di “imbroglio”, le nuove regole sono lungi dall’introitare, come previsto, le centinaia di milioni annui che la normativa precedente consentiva di non pagare. Non avendo nemmeno alcun riscontro di un’entrata in vigore delle nuove regole e di un’applicazione delle stesse, mentre si continua ad aver notizia di organizzazioni cattoliche soccombenti nei ricorsi per Ici non pagata negli anni precedenti, nel settembre 2013 l’Uaar ha scritto al Vice-Presidente della Commissione Europea, Joaquin Almunia, e alla Rappresentanza della Commissione europea in Italia, per denunciare come “i governi succedutisi nel nostro paese non intendono dunque in alcun modo intervenire sul trattamento di favore fiscale assicurato ai beni di proprietà della Chiesa cattolica”. Un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, emanato il 26 giugno 2014, ha infine introdotto per scuole paritarie e cliniche private un regime agevolato, esentandole di fatto dal pagamento dell’Imu e della Tasi. Il Ministero ha infatti stabilito che sono esenti dal pagamento le scuole paritarie che esigono una retta media per studente inferiore al costo medio per studente della scuola pubblica e le strutture ospedaliere private purché convenzionate. Nel novembre 2014, la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha però riaperto la questione, ammettendo un ricorso radicale contro le decisioni della Commissione Europea. E nel luglio 2015 la Corte di Cassazione ha dato ragione al Comune di Livorno, che aveva presentato ricorso contro il mancato pagamento delle tasse sugli immobili da parte di due scuole gestite da enti religiosi. Mostrando così platealmente quanto estesa sia l’area di evasione. A Roma, ha scritto il Corriere della Sera , un albergo su quattro è di proprietà ecclesiastica, ma solo il 40% vi paga le relative tasse: non solo quelle sulla proprietà e i rifiuti, ma persino quelle di soggiorno. L’arretrato per tali beni, secondo l’Agenzia delle Entrate , nella capitale ammonta a diciannove miliani di euro.
Riteniamo pertanto legittimo, in attesa di un’effettiva applicazione di imposte sui beni ecclesiastici a destinazione parzialmente commerciale o, più probabilmente, dell’avvio di una nuova fase di contenzioso tra amministrazioni locali ed enti ecclesiastici, continuare a stimare l’area di imposizione in almeno 600 milioni di euro di mancati introiti per le casse pubbliche.
Dal 2014 è inoltre entrata in vigore la Tasi, che sostituisce a sua volta l’Imu. A essa è stata accorpata la tassa sui rifiuti, e l’esenzione che era a discrezione dei comuni è diventata quindi legge nazionale , il cui beneficio aggiuntivo è stimabile in almeno venti milioni
620.000.000 Riduzione Ires L’Ires, Imposta sul Reddito delle Società, ha preso il posto dell’Irpeg ed è stata istituita con il Dlgs n. 344/2003. L’Ires grava con una percentuale del 27% sul reddito prodotto, con possibilità di riduzione della metà per diversi enti, tra i quali anche gli enti ecclesiastici che agiscono nel campo della sanità, dell’istruzione e del turismo: poiché l’agevolazione potrebbe violare le norme europee sulla concorrenza, essa è a sua volta finita nel mirino della Commissione europea.
Il mondo cattolico (cfr. Folena su Avvenire , il 23 agosto 2011) si difende sostenendo che si tratterebbe di un’attività sociale non profit improntata a «beneficienza» e «istruzione», ma è difficile attribuire tale definizione anche ai grandi enti gestiti imprenditorialmente e che applicano agli utenti e ai consumatori tariffe di mercato. Sono comunque deducibili dal reddito complessivo degli enti ecclesiastici anche i canoni, le spese per manutenzione o restauro dei beni, le spese per attività commerciali svolte dall’ente, dai membri delle entità religiose (art. 100, comma 2, lettera e) del Testo unico per le imposte sui redditi). Inoltre, per ogni membro alle dipendenze dell’ente religioso è deducibile un importo pari all’ammontare del limite minimo annuo previsto per le pensioni Inps (art. 100, comma 2, lettera i) del Tuir).
Il beneficio non è facilmente misurabile, e può essere soltanto stimato: Stefano Livadiotti, ne I senza Dio , p. 79, ha valutato in 500 milioni di euro il valore di tale “sconto”. La cifra è probabilmente esagerata, visto che i redditi dichiarati dagli enti ecclesiastici non sono certo elevati: difficilmente può dunque superare i 100 milioni. Va comunque ricordato che l’articolo 149 del Tuir conferisce a vita la qualifica di enti non commerciali (e quindi i conseguenti benefici fiscali) a quelli ecclesiastici (cfr. anche l’art. 111-bis del Dpr n. 917/1986): in tal modo gli enti ecclesiastici non commerciali che iniziano ad agire in ambiti commerciali sono “spinti” a continuare a beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge.
100.000.000 Riduzione Irap L’Irap, Imposta Regionale sulle Attività Produttive, è stata istituita con il Dlgs n. 446/1997 ed è applicata in proporzione al fatturato, lasciando inoltre alle Regioni la facoltà di rialzare l’aliquota ordinaria. La legge prevede una riduzione del 50% per gli enti non commerciali: ma, come per l’Ires, in tale categoria vengono fatti rientrare anche gli enti ecclesiastici che svolgono attività in settori quali l’istruzione, il turismo e la sanità. I radicali hanno inoltre ricordato che «le retribuzioni corrisposte ai sacerdoti sono dispensate dall’Irap».
Anche in questo caso la stima è alquanto difficile, e nessuno si azzarda a una stima specifica: Maltese, p. 30, scrive di 500 milioni per lo sconto «su Ires, Irap e altre imposte». Poiché i fatturati degli enti ecclesiastici sono verosimilmente più alti, in proporzione, dei redditi che generano, pensiamo sia corretto stimare tale “sconto” in circa 150 milioni.
150.000.000 Esenzioni Iva Il Dpr n. 633/1972 ha introdotto l’esenzione dall’Imposta sul valore Aggiunto per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività non commerciali. Anche in questo caso è molto difficile differenziare tra attività commerciali e non commerciali, e lo è ancor di più giungere a una stima plausibile. In ogni caso la cifra non deve essere granché dissimile da quella dell’Ires, e quindi aggirarsi sui cento milioni.
100.000.000 Altre esenzioni fiscali e doganali La Santa Sede dispone di esenzioni diverse, e più estese, rispetto agli enti cattolici di diritto italiano. In particolare, tutti i redditi dei fabbricati di sua proprietà (e l’aumento di valore degli stessi), non soltanto quelli a cui il Concordato attribuisce lo status di extraterritoriali, sono completamente esenti da tributi, così come sono esenti da imposte doganali e daziarie «le merci provenienti dall’estero e dirette alla Città del Vaticano, o, fuori dalla medesima, ad istituzioni ed uffici della Santa Sede » (art. 20 del Concordato del 1929). L’art. 17 del Trattato del Laterano del 1929 prevede, inoltre, che «le retribuzioni, di qualsiasi natura, dovute dalla Santa Sede, dagli altri enti centrali della Chiesa Cattolica e dagli enti gestiti direttamente dalla Santa Sede anche fuori di Roma, a dignitari, impiegati e salariati, anche non stabili, saranno nel territorio italiano esenti da qualsiasi tributo tanto verso lo Stato quanto verso ogni altro ente».
I radicali ricordano inoltre l’«esonero Irpef per gli impiegati e salariati, anche non stabili, della Santa Sede» e l’extraterritorialità dell’Opera Romana pellegrinaggi, le cui attività si svolgono però quasi esclusivamente sul territorio italiano, e le cui “disinvolte” modalità di gestione dei dipendenti sono state più volte segnalate dai mezzi di informazione nazionali (cfr. Ultimissima del 29 ottobre 2008 e Il Messaggero del 30 ottobre 2012 ). Di agevolazioni analoghe gode il Sovrano Militare Ordine di Malta, un ordine religioso cavalleresco dipendente dalla Santa Sede che viene considerato un soggetto di diritto internazionale e che gode, oltretutto, dei vantaggi dell’extraterritorialità.
In materia fiscale gli enti ecclesiastici godono in genere di esenzioni e privilegi in merito alle modalità di costituzione e registrazione (per esempio quali imprese sociali o quali persone giuridiche), che costituiscono pertanto un risparmio di non poco conto: da segnalare, per esempio, l’esonero dal pagamento della Tosap (Tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche) per l’effettuazione di attività di culto.
Va inoltre ricordata anche la legislazione di favore di cui godono gli immobili di proprietà ecclesiastica in materia di sicurezza. Come ha documentato l’Uaar , i privilegi concessi sono cospiscui, e consentono significative riduzioni di spesa. Similmente, gli edifici di culto sono esentati , grazie all’articolo 3 del decreto legge 63/2013, dal dotarsi di attestato di prestazione energetica, il cui costo si aggira intorno ai 300 euro per unità immobiliare. Infine, soltanto dal 2014 sono tassate in Italia le rendite finanziarie riconducibili alla Santa Sede.
Occorre infine aggiungere il trattamento di favore di cui godono le realtà ecclesiastiche quando, colte in castagna, trattano con lo Stato uno sconto sull’importo dovuto. Per esempio, il Fatto Quotidiano del 24 settembre 2009 ha reso noto che La Cascina, una cooperativa che fa parte della galassia di Comunione e Liberazione e che doveva versare al fisco 74 milioni di tasse, sanzioni e interessi arretrati, grazie all’intercessione di Gianni Letta avrebbe ottenuto uno sconto di 19 milioni di euro e una rateizzazione in 18 anni del rimanente.
L’entità dell’impatto di tali benefici non è stata mai quantificata da nessuno: prudenzialmente la indichiamo in 45 milioni.
45.000.000 Pensioni Gianluca Polverari, su Critica Liberale n. 123/4 del gennaio-febbraio 2006, ha ricordato che «la Legge 244/2003, dando esecuzione ad una Convenzione sottoscritta fra la Repubblica italiana e la Santa Sede nel 2000, ha previsto una spesa per il solo 2004 di 9.397.000 Euro per la sicurezza sociale dei dipendenti vaticani e dei loro familiari», e che «in materia previdenziale, secondo il disposto delle Leggi 791/1981 e 903/1973, è da annoverare il Fondo di previdenza per il clero, che, per il solo 2004 e relativamente ai fondi erogati a favore della componente cattolica, può attendibilmente stimarsi in 6.713.253 Euro».
Il disavanzo patrimoniale è tuttavia enormemente cresciuto nel tempo, e nel 2015 ha raggiunto la cifra record di 2,2 miliardi di euro . A tale cifra vanno aggiunti anche gli assegni sociali per quei religiosi – suore e frati – che, non avendo mai lavorato all’esterno della propria comunità, e non avendo quindi mai maturato contributi nemmeno all’interno, perché gli ordini religiosi non ne versano, al compimento dei sessantacinquesimo anno (decorrenza in corso di revisione) sono destinatari di un assegno sociale. Considerando inoltre anche delibere come quella della Regione Veneto, con cui sono stati destinati tre milioni e mezzo ai «religiosi anziani non autosufficienti» (cfr. Ultimissima del 16 gennaio 2010 : nelle Marche e in Toscana l’importo è invece di 320.000 euro), è lecito pertanto considerare una cifra totale intorno agli ottantacinque milioni.
85.000.000 Benefici statali sulle pubbliche affissioni Il Dpr n. 639/1972 prevede numerose agevolazioni tariffarie per le affissioni a contenuto religioso. Il beneficio che ne consegue è stimabile in almeno due milioni di euro.
2.000.000 Benefici statali per gli oratori La legge n. 206/2003, nota anche come «legge sugli oratori» (anche se nel corso della discussione è stata estesa «agli enti delle altre confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato un’intesa»), prevede l’esenzione dall’Ici dei locali dell’oratorio quali «opere di urbanizzazione secondaria».
Il mancato introito da parte dei comuni di questi fondi, calcolato dalla legge nell’importo di 2,5 milioni di euro annui, viene coperto dallo Stato. Inoltre, stabilisce la legge, «lo Stato, le regioni, gli enti locali, nonché le comunità montane possono concedere loro in comodato beni mobili e immobili, senza oneri a carico della finanza pubblica» (vedi anche Edifici di proprietà comunale concessi a condizioni di favore a enti e associazioni cattoliche ). La legge, infine, non preclude alla legislazione regionale la possibilità di concedere ulteriori contributi agli oratori (vedi anche Contributi regionali agli oratori ).
2.500.000 Contributi statali per i cappellani nelle Forze armate Il pagamento degli stipendi degli oltre 200 cappellani militari presenti nel Paese comporta un onere a totale carico dello Stato ai sensi della Legge 512/1961 che per il 2014 ammonta, stando ai dati diffusi da Adista , a 10.445.732 euro.
Va anche rilevato che a questi stipendi fanno poi seguito, una volta terminato l’incarico, anche le relative pensioni (art. 47 della legge n. 512/1961): su il Manifesto del 20 agosto 2011 si è ricordato, per esempio, che il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, in quanto ordinario militare per l’Italia dal 2003 al 2006 è andato in pensione con il grado di generale di Corpo d’Armata dell’Esercito, maturando in tal modo il diritto a quasi 4.000 euro mensili.
Sempre sul Manifesto , il 17 agosto 2012, Luca Kocci ha calcolato in sette milioni l’incidenza delle pensioni, oltre ai dieci che costano ora i cappellani in servizio. Vi sono però anche i costi relativi alla creazione e al mantenimento delle strutture di cui si avvalgono i cappellani, e persino quelli per il loro aggiornamento spirituale . Per questo motivo è legittimo pensare che l’incidenza totale sia di almeno venti milioni.
20.000.000 Contributi statali per i cappellani nella Polizia di Stato «Con l’intesa fra il Ministro dell’Interno e il Presidente della Conferenza episcopale italiana, firmata il 9 settembre 1999 e resa esecutiva con D.P.R. n° 421 del 27/10/1999», scrive la pagina del sito Cei dedicata all’assistenza spirituale al personale della Polizia di Stato, «si stabiliscono le modalità per assicurare l’assistenza spirituale al Personale della Polizia di Stato di religione cattolica».
Dal sito emerge che in ogni provincia vi è un cappellano provinciale. Anche in questo caso devono essere calcolati i costi per la creazione e il mantenimento delle strutture di cui si avvalgono i cappellani, a cui vanno aggiunte le spese per i festeggiamenti di San Michele Arcangelo, patrono della Polizia di Stato, e tutte quelle dettagliatamente elencate nel decreto del ministero degli interni Pisanu dell’8 ottobre 2004. L’incidenza di tali costi può essere valutata in metà della cifra stimata per i cappellani militari, ovvero circa nove milioni.
9.000.000 Contributi statali per i cappellani nelle carceri In Italia vi sono oltre duecento istituti di reclusione, in ognuno dei quali agisce almeno un cappellano cattolico. Il loro trattamento giuridico è disciplinato dalla legge n. 68/1982, che all’epoca stanziava per tale servizio la cifra di 1.414.826.908 lire. Presso il Ministero di Giustizia, a far tempo dalla legge n. 68/1982, è inoltre attivo l’incarico di Ispettore dei cappellani. Anche in questo caso devono essere calcolati i costi per la creazione e il mantenimento delle strutture di cui si avvalgono i cappellani. Va ricordato infine che, grazie a una circolare del ministero della Giustizia del luglio 2014, i cappellani carceri non sono nemmeno tenuti più ad assicurare diciotto ore di servizio minimo settimanale. Date queste premesse, una previsione di incidenza di circa otto milioni di euro può essere considerata verosimile.
8.000.000 Contributi statali per i “grandi eventi” della Chiesa cattolica Il governo italiano ha facoltà, attraverso decreti e ordinanze, di proclamare «grandi eventi» quegli avvenimenti «che richiedono interventi urgenti, un coordinamento complesso, una rapida esecuzione e misure straordinarie per prevenire possibili rischi e per assicurare la tutela della vita, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente», e la cui gestione è pertanto affidata alla Protezione Civile .
Metà di essi sono eventi riguardanti il mondo cattolico: negli anni passati sono stati dichiarati «grandi eventi», per esempio, alcune visite del papa in città italiane, l’anno giubilare paolino, l’esposizione delle spoglie di san Pio da Petrelcina, l’agorà dei giovani italiani a Loreto, l’incontro del papa con gli aderenti ai movimenti e alle comunità ecclesiali. Nel 2011 l’unico “grande evento” cattolico è stato considerato il Congresso eucaristico, per il quale il governo ha impegnato la somma di 3.651.315,21 euro. Nel 2012 è stato invece l’incontro mondiale delle famiglie, svoltosi a Milano, e per il quale il governo ha stabilito l’effettuazione «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Per il momento non riteniamo pertanto necessario valorizzare anche tale cifra: tuttavia, gli stanziamenti che il governo ha promesso per il giubileo indetto da papa Francesco verranno inseriti non appena saranno stati documentati.
0 Insegnamento della religione cattolica nelle scuole Curzio Maltese, ne La Questua , ha stimato il costo degli insegnanti di religione cattolica in circa un miliardo di euro. La Corte dei Conti, nella relazione 2012 sui costi del lavoro pubblico, ha calcolato in 13.675 i docenti di religione a tempo indeterminato in ruolo a fine 2010, con una spesa di 466,1 milioni di euro. Assumendo che il numero di questi docenti sia distribuito proporzionalmente nei 4 cicli d’istruzione (370.711 classi, secondo la sintesi dei dati pubblicata dal Miur) si ottiene che le ore di insegnamento sarebbero 287.143, e di conseguenza il costo medio settimanale risulta 1.623 euro.
Proiettandolo sulle 548.808 ore totali richieste in base al numero delle classi, coperte da personale a tempo determinato, si arriva a una proiezione di circa 870 milioni, che aumentato del 15% (per la crescita degli stipendi a partire dal 2010 e per effetto degli scatti maturati biennalmente dai precari, un privilegio esclusivo dei precari che insegnano religione cattolica) dà un totale di circa un miliardo, in linea con le stime di Maltese. La retribuzione dei docenti di Irc è infatti più alta degli insegnanti normali, e la questione è stata oggetto di un’inchiesta dell’Unione Europea, sollecitata dal deputato radicale Maurizio Turco (cfr. Ultimissima dell’8 ottobre 2008 ). La cosiddetta riforma della “buona scuola” ha a sua volta assegnato anche ai docenti di Irc il voucher di 500 euro.
Esistono inoltre convenzioni sottoscritte dalle amministrazioni comunali e inerenti gli insegnanti di religione nelle scuole d’infanzia comunali: per esempio, quella del Comune di Verona riguarda sei docenti presso le scuole d’infanzia comunali per un impegno di spesa di circa 137 mila euro l’anno. Tenendo anche presente i costi amministrativi e gestionali supplementari che gravano sulle scuole in seguito alla necessità di assicurare questa docenza supplementare, nonché il costo dei libri di testo che, specialmente per quanto riguarda la scuola primaria, grava normalmente su fondi pubblici, si ritiene lecito stimare i costi complessivi dell’insegnamento della religione cattolica in almeno 1,25 miliardi di euro.
1.250.000.000 Contributi statali alle scuole cattoliche La legge n. 62/2000 ha stabilito che le scuole paritarie private fanno parte a pieno titolo del sistema di istruzione nazionale, e devono pertanto essere finanziate. Lo stanziamento totale da erogare per il 2015 ammonta a 471,9 milioni. A questa cifra va aggiunto l’impatto della detrazione per chi iscrive i figli a tali scuole, introdotta con la riforma della “buona scuola”, e che è stata stimata in 66 milioni . Con la stessa riforma, alle scuole paritarie (e solo a quelle) è stata concessa la possibilità di accedere alle graduatorie del Cinque per Mille. Infine, va ricordato l’impatto del ricorso, da parte di tali scuole, agli ammortizzatori sociali. Poiché circa il 65% delle scuole paritarie italiane sono cattoliche o si ispirano alla morale cattolica, la stima totale del contributo a loro favore è stimabile in 400 milioni.
400.000.000 Contributi statali alle università cattoliche Anche le università cattoliche ricevono contributi statali. Nel 2014
le assegnazioni totali da parte del Miur previste dalla legge n. 243/1991 sono ammontate a 72.445.”’ euro, di cui 40.477.680 ai sette atenei cattolici.
40.477.680 Contributi statali all’editoria cattolica Ai sensi della legge n. 250/1990 (rivista nel luglio 2012) il governo eroga annualmente contributi per la stampa a numerose testate giornalistiche. Nel 2013, i contributi erogati a testate cattoliche sono stati pari a quasi sette milioni. A parte vanno considerati i fondi pubblici ricevuti da Radio Maria.
A queste cifre occorre poi aggiungere il «credito d’imposta pari al 10 per cento della spesa per l’acquisto della carta utilizzata per la stampa delle testate edite e dei libri» (cfr. legge n. 350/2003, commi 181-183, in particolare la lettera h) di quest’ultimo: «Sono escluse dal beneficio le spese per l’acquisto di carta utilizzata per la stampa dei seguenti prodotti editoriali… le pubblicazioni aventi carattere postulatorio, cioè finalizzate all’acquisizione di contributi, di offerte, ovvero di elargizioni di somme di denaro, ad eccezione di quelle utilizzate dalle organizzazioni senza fini di lucro e dalle fondazioni religiose esclusivamente per le proprie finalità di autofinanziamento»).
Il tutto porta a una stima di almeno quindici milioni di euro.
15.000.000 Tariffe postali agevolate L’articolo 2 della legge n. 662/1966 ha stabilito che possono usufruire di tariffe postali agevolate anche «le fondazioni ed associazioni senza fini di lucro aventi scopi religiosi nonché gli enti ecclesiastici». L’agevolazione tariffaria è stata poi confermata con il decreto del ministro per lo sviluppo economico del 23 dicembre 2010 . La copertura di tale agevolazione ammonta a trenta milioni: si può considerare che, complessivamente, il mondo cattolico ne usufruirà per almeno un quarto, ovvero sette milioni e mezzo di euro.
7.500.000 Riduzione del canone TV Livadiotti ha ricordato sull’Espresso dell’1 settembre 2011 l’esistenza di «un canone Rai molto speciale». È quello applicato, in base a un decreto del ministero dello Sviluppo economico sui televisori installati fuori dagli appartamenti, agli apparecchi degli istituti religiosi: «185 euro e 10 centesimi per il 2009, meno della metà rispetto ai 370 euro e 17 centesimi richiesti ad affittacamere e campeggi a uno o due stelle». Stimando in almeno duemila gli apparecchi in questione, il danno erariale è di circa 370.000 euro.
370.000 Ambasciate presso la Santa Sede La Santa Sede è considerata un soggetto internazionale: ha i suoi ambasciatori sparsi per il mondo (i “nunzi”) e accoglie gli ambasciatori dei paesi esteri con cui intrattiene relazioni diplomatiche continuate. Stante la ridotta dimensione dello Stato della Città del Vaticano, le ambasciate si trovano però tutte sul territorio italiano. E le prerogative ed immunità di cui godono tali ambasciatori gravano di fatto sullo Stato italiano. Si può stimare in almeno dieci milioni il costo sulla cittadinanza di tale onere.
10.000.000 Sicurezza delle gerarchie e delle proprietà ecclesiastiche La struttura della Polizia di Stato comprende anche un ispettorato di pubblica sicurezza “Vaticano”, il cui compito è di effettuare la vigilanza in piazza San Pietro (territorio vaticano, per l’appunto), nonché di garantire la sicurezza del papa durante le sue frequenti visite in territorio italiano. L’Ispettorato è composto da circa 150 agenti, e i relativi costi (stipendi, armi, logistica) non devono per nulla essere limitati.
Occorre poi considerare il fatto che pressoché tutti i cardinali e i vescovi italiani godono di una scorta, come periodicamente emerge dalla cronaca (cfr. per esempio i casi di Firenze , Genova , Milano , Trieste ). Esiste infine un accordo specifico tra i carabinieri e la Cei per assicurare una sorveglianza speciale contro i furti nelle chiese. In considerazione dell’elevato numero di personale impiegato, riteniamo lecito stimare tali costi in almeno quaranta milioni annui.
40.000.000 Consumi idrici ed energetici del Vaticano L’articolo 6 dei Patti Lateranensi stabilisce che «l’Italia provvederà a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati che alla Città del Vaticano sia assicurata un’adeguata dotazione di acque in proprietà». Non esiste alcuna specificazione della quantità ritenuta «adeguata».
Nel 1999, in occasione della quotazione in borsa dell’azienda idrica romana, l’Acea, la società ha chiesto al Vaticano l’arretrato e il consumo per tutti i consumi non legati all’effettivo utilizzo di acqua, quali la manutenzione delle fognature e la gestione dei liquami. La querelle è stata risolta dal governo italiano con la legge finanziaria per il 2004, decidendo di versare all’Acea 25 milioni per gli arretrati e 4 milioni di euro annui a partire dal 2005. A tale cifra va aggiunto il consumo di gas: l’esenzione è prevista dalla tabella A del Dlgs. n. 504/1995. Una stima totale di cinque milioni di euro all’anno è pertanto verosimile.
5.000.000 Beni immobili statali adibiti a edifici di culto Istituito con l’articolo 55 della legge n. 222/1985 (la stessa dell’Otto per Mille), il Fondo Edifici di Culto possiede un patrimonio immobiliare, gestito dal Ministero dell’interno, di circa settecentocinquanta templi di elevato valore, per diversi dei quali si paga il biglietto d’ingresso.
Come rilevano i radicali nella presentazione di una proposta di legge alla Camera, «le circa settecento chiese appartenenti al Fec vengono solitamente concesse in uso gratuito per fini di culto all’Autorità ecclesiastica»; i proventi del patrimonio derivanti da locazioni di immobili adibiti ad uso di civile abitazione sono invece utilizzati «per la conservazione, il restauro, la tutela e la valorizzazione degli edifici di culto».
Gli immobili statali adibiti a edifici di culto non si limitano tuttavia a quelli che fanno parte del Fec. Lo Stato italiano possiede infatti diversi edifici di interesse religioso come chiese, monasteri, e immobili simili, anche di enorme valore (per esempio l’abbazia di Montecassino, quella di Pomposa, la Certosa di Pavia, il Monastero di San Benedetto).
Il Dpr n. 296/2005 , nel regolamentare le modalità di cessione dei beni immobili statali a vario titolo, prevede inoltre delle agevolazioni specifiche destinate agli enti religiosi. Gli articoli 10 e 11 stabiliscono quali sono i soggetti che hanno titolo per chiedere di beneficiare della cessione, rispettivamente, a titolo gratuito e a canone agevolato, e mentre nel secondo caso vengono anche comprese genericamente organizzazioni non lucrative, nel primo caso sono citate solo istituzioni statali, enti ecclesiastici e oratori. Il capo IV della legge, inoltre, prescrive che in ogni caso il canone annuale per edifici di culto, abbazie, certose e monasteri, ammonti al massimo a 150 euro, eventualmente indicizzabili.
Pertanto, si stima prudenzialmente che il beneficio derivante da tali concessioni (gratuite o quasi-gratuite) e il costo che grava sullo Stato per il loro mantenimento abbiano una consistenza di circa 200.000.000 di euro ogni anno.
200.000.000 Servizio civile Il Servizio Civile Nazionale, istituito con la legge n. 64/2001, dal 2005 si svolge su base esclusivamente volontaria. Nel 2010 i volontari avviati al servizio sono stati 19.412. Hanno percepito circa 500 euro netti al mese.
Possono usufruire di questo impegno le amministrazioni pubbliche, le associazioni non governative (Ong) e le associazioni no profit che operano negli ambiti specificati dalla legge. Molti dei beneficiari sono organizzazioni cattoliche, che impiegano i volontari anche per fini opinabili, quali l’accoglienza dei pellegrini a Lourdes, che è stata comunque ritenuta legittima dal governo italiano (cfr. Ultimissima del 3 giugno 2011 ).
Con queste premesse, riteniamo corretto stimare l’incidenza sui bilanci pubblici del servizio svolto a favore di realtà cattoliche in almeno venti milioni di euro.
20.000.000 Finanziamenti statali all’associazionismo sociale Il ministero del lavoro e dell’associazionismo sociale assegna ogni anno contributi ai progetti e alle iniziative delle associazioni che ne fanno richiesta e che soddisfano i requisiti richiesti dalla normativa. Nel 2014 sono stati erogati 2,58 milioni di euro: 880.128 di essi sono andati a realtà cattoliche.
880.128 “Legge mancia” Ogni anno la commissione bilancio della Camera delibera la distribuzione di contributi “a pioggia” a soggetti segnalati dai deputati. Di qui il nome di “legge mancia” con cui è conosciuta. L’ultima distribuzione nota , decisa il 2 marzo 2011, ha portato a erogare 2.665.000 euro. 895.000 euro di questi fondi sono andati, direttamente o indirettamente, a realtà appartenenti al mondo cattolico. Anche al Senato vige un “andazzo” simile: come ha denunciato il Movimento 5 Stelle , nel 2013 sono stati assegnati 147.459,00 euro a enti religiosi. Il tutto porta a stimare in almeno un milione l’anno la somma erogata attraverso tali canali.
1.000.000 Altri contributi statali Lo Stato spende direttamente ogni anno una somma imprecisata che viene impiegata a beneficio delle varie realtà cattoliche. Anche nei modi più impensati. Come per esempio l’acquisto di un elicottero, del costo di 25 milioni, impiegato quasi esclusivamente a beneficio di papa Benedetto XVI (cfr. il sito de L’Espresso ).
Vi sono poi leggi che impegnano lo Stato in attività confessionali, come la n. 24/2005 , che prevede l’organizzazione di “cerimonie, iniziative, incontri, in particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, dedicati ai valori universali indicati al primo comma di cui i Santi Patroni speciali d’Italia sono espressione”.
Leggi che possono sfociare in altre leggi, che consentono ai frati francescani di Assisi di ricevere duecentomila euro ogni anno . Nel corso della finanziaria 2012, che pure il governo Monti aveva promesso essere “lacrime e sangue”, sono spuntati fuori anche cinque milioni per l’ospedale Gaslini di Genova, presieduto dal card. Bagnasco, e dodici per l’ospedale Bambin Gesù di Roma, di proprietà del Vaticano. Le contribuzioni possono del resto essere dati per i motivi più bizzarri e negli ambiti più imprevedibili, come i 426.000 euro che il Ministero dell’Istruzione ha stanziato, nell’ambito dei finanziamenti per la ricerca scientifica, in favore della Fondazione Scienze Religiose Giovanni XXIII .
Non mancano nemmeno le donazioni, effettuate ogniqualvolta un prelato interviene a una cerimonia. L’Uaar non è in grado di verificare ogni singola voce del bilancio statale, né può (come ha fatto per le amministrazioni locali) effettuare verifiche a campione. Presume pertanto che la somma complessiva che grava sulle casse pubbliche possa stimarsi quantomeno in cento milioni.
100.000.000 Spese straordinarie delle amministrazioni locali in occasione di importanti eventi cattolici Alcuni eventi cattolici di importanza nazionale usufruiscono di ulteriori contributi da parte delle amministrazioni locali. Non è facile ricostruire questi dati perché sono dispersi in mille rivoli. Per esempio, l’esposizione della Sindone a Torino ha inciso sui bilanci pubblici per almeno due milioni, come la visita del papa a Lamezia Terme; il congresso eucaristico di Ancona almeno per quattro; la beatificazione di Karol Wojtyla a Roma e l’incontro mondiale delle famiglie almeno per cinque. L’Uaar ritiene che, ogni anno, almeno venti milioni di euro siano utilizzati per tali eventi.
20.000.000 Contributi delle amministrazioni locali alle scuole cattoliche Ai contributi statali alle scuole cattoliche si aggiungono anche i contributi erogati dalle amministrazioni locali. È difficile ricostruire il quadro complessivo perché tali contributi sono devoluti a ogni livello: regionale, provinciale, comunale, senza escludere il circoscrizionale. Non esiste alcun quadro complessivo, e realizzarlo sarebbe probabilmente impossibile: per questo motivo elenchiamo a mo’ di esempio alcune realtà che hanno sostenuto la scuola paritaria.
Il Veneto ha erogato 14,5 milioni di euro (cfr. Ultimissima del 5 agosto 2011 ). La Lombardia 50 milioni attraverso i soli buoni scuola, a cui si aggiungono le integrazioni al reddito. La legge ligure n. 14/2002 stanziò 774.685 euro a sostegno delle famiglie, alla quale si è aggiunta la legge n. 15/2006 sul diritto allo studio, mentre la Regione Toscana eroga annualmente circa 1,5 milioni, quella siciliana circa diciassette, il Lazio intorno ai cinque, una piccola regione come la Basilicata quasi tre milioni (tra finanziamenti diretti e quelli ai progetti delle scuole paritarie). Lo stanziamento di diverse decine di milioni di euro è inoltre previsto dal Piano triennale di interventi in materia di istruzione, diritto allo studio e libera scelta educativa della Regione Piemonte.
La Provincia autonoma di Trento ha stanziato nel 2009 11,7 milioni (cfr. Ultimissima del 28 febbraio ), quella di Parma oltre un milione: la Provincia di Bergamo si limita invece a 387 mila euro, quella di Carbonia-Iglesias a 196.000.
A livello comunale, Verona destina 2,37 milioni alle sole scuole cattoliche, Bologna oltre un milione, Lodi 390.000, ma anche i comuni più piccoli stanziano cifre significative: Carugate (MI) 175.000 euro, Silea (CS) 102.000, Quarto d’Altino (VE) 31.000. Da notare che nei comuni più piccoli è particolarmente diffusa l’abitudine di ripianare i debiti delle scuole d’infanzia parrocchiali.
Vanno infine aggiunti i fondi per l’acquisto di libri di testo destinati alle famiglie meno abbienti, i contributi destinati alle borse di studio per studenti meritevoli (i provvedimenti non discriminano tra statale e privato), e quelli alle infrastrutture: la sola Regione Lombardia ha destinato, nel 2010, quasi 800.000 euro per i soli istituti cattolici, la Regione Veneto quasi cinque milioni.
Da questa sommaria ricognizione emerge come la somma erogata da tutte le amministrazioni locali italiane è persino superiore a quella stanziata a livello governativo. Poiché circa il 65% delle scuole paritarie italiane sono cattoliche o si ispirano alla morale cattolica, ed alcuni provvedimenti sembrano essere stati indirizzati soltanto a esse, il contributo a loro favore è stimato dall’Uaar in almeno 500 milioni.
500.000.000 Utilizzo dei fondi strutturali europei L’Unione Europea ha istituito dei fondi strutturali per il finanziamento di progetti volti soprattutto a eliminare le forti disparità economiche tra varie regioni del continente, a sostegno quindi specialmente delle aree maggiormente svantaggiate. I principali di questi fondi sono il Fesr (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e il Fse (Fondo Sociale Europeo), e insieme agli altri incidono sull’intero bilancio dell’Ue per più di un terzo. La programmazione per l’erogazione di questi fondi ai vari progetti viene effettuata su base pluriennale e al momento siamo nella seconda programmazione relativa al periodo 2007-2013, mentre il ciclo precedente interessava il periodo 2000-2006.
Per accedere alla ripartizione dei fondi le singole regioni e i singoli paesi devono redigere appositi Programmi Operativi che possono essere nazionali (Pon), interregionali (Poin) o regionali (Por). Va inoltre tenuto presente che il Fesr partecipa al contributo con una quota che varia dalla metà del totale a meno del 40%, e se la quota è la stessa anche per gli altri fondi ne consegue che dei contributi erogati dal fondo (che comunque grava indirettamente anche sulla fiscalità generale, perché anche l’Italia vi contribuisce in quanto paese membro) più della metà compete allo Stato o alla Regione.
Per quanto riguarda i Por, a p. 79 del suo libro La Questua Curzio Maltese scrive in proposito: «Non solo l’Italia è in fondo alla classifica nello sfruttamento dei fondi comunitari, ma per giunta li spende in larga misura per restaurare beni ecclesiastici. Una regione come la Sicilia destina fino all’80-90 per cento dei fondi a chiese e proprietà di enti religiosi».
In realtà, fermo restando il fatto che il restauro dei beni ecclesiastici è effettivamente oggetto di finanziamento, le proporzioni sembrano essere diverse. Siamo andati in cerca di documenti che attestino gli importi effettivamente erogati e, per quanto riguarda la programmazione 2000-2006, abbiamo trovato dei dati sul sito del Dipartimento dei Beni Culturali della Regione Sicilia . Va premesso che sono diversi i dipartimenti coinvolti nell’attuazione del programma operativo, e il dipartimento osservato ha la responsabilità sulle misure e sottomisure 2.01, 2.02, 2.03, 5.01c e 6.06c. Inoltre, non in tutte queste misure sono presenti finanziamenti ad enti ecclesiastici, o comunque per progetti di interesse religioso, per via della natura stessa degli interventi previsti dalla misura; infatti finanziamenti di questo tipo sono riscontrabili solo nelle misure 2.01 e 2.03 per un ammontare di oltre 125 milioni di euro, costituenti poco meno del 20% del totale delle misure prese in considerazione.
Proiettando i dati della Sicilia sul totale nazionale e sul totale delle regioni che accedono ai fondi, e dividendo la somma ottenuta per sette (gli anni di durata del programma), si ottiene una stima di circa 107 milioni all’anno. Per quanto riguarda invece la programmazione 2007-2013, attualmente in corso, risulta di gran lunga più semplice reperire informazioni in quanto la stessa Unione Europea, con il regolamento CE n.1828/2006 , ha obbligato le varie Autorità di Gestione a pubblicare sul proprio sito istituzionale l’elenco di tutti i beneficiari. Inoltre, la documentazione aggiornata, compresi gli elenchi dei beneficiari, può essere ottenuta a partire dal sito del Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In tutti i casi è possibile scaricare documenti in vari formati, unica eccezione è il Ministero dell’istruzione che invece pubblica una maschera di ricerca che rende lunga e farraginosa la ricostruzione dell’elenco completo.
Dalle ricerche effettuate sugli elenchi delle regioni risulta che il totale dei contributi elargiti per progetti a carattere religioso ammonta a quasi 50 milioni di euro. Poiché le regioni meridionali ricadono in obiettivi da cui sono escluse quelle settentrionali, ne consegue che la maggior parte di questo genere di interventi interessano il sud. La parte del leone la fa la regione Puglia che con in suoi 16 milioni di euro copre un terzo del totale dei finanziamenti. La Regione Abruzzo è arrivata a destinare 3,6 milioni di euro a una sola nuova chiesa . La Regione Sicilia sta invece utilizzando tali fondi per la creazione di un museo dei valori cristiani a Lipari.
107.000.000 Cambi di destinazione d’uso Dopo aver parlato dei Fondi strutturali europei, Curzio Maltese, ne La Questua , a p. 79 aggiunge: «Una volta ristrutturati con i soldi pubblici, molti beni ecclesiastici vengono poi messi sul mercato e venduti per trasformarli in alberghi, realizzando così per la casa madre, il Vaticano, colossali profitti». Le “trasformazioni” (in linguaggio tecnico: cambi di destinazione d’uso) sono frequenti e documentate (Maltese, a p. 80, cita l’esistenza di diverse centinaia di casi), e portano cospicui vantaggi economici alle realtà ecclesiastiche.
Si veda, a mero titolo di esempio, il caso nel piccolo comune di Rivalta di Torino, in cui la parrocchia dei Santi Pietro e Andrea, proprietaria di un terreno agricolo di 9 mila metri quadri con destinazione agricola, ha deciso di venderlo, chiedendo però prima al Comune di renderlo edificabile, in modo da avere un milione e mezzo di euro per i lavori di ristrutturazione dell’oratorio (cfr. Ultimissima del 19 ottobre 2011 ). Su scala ben più vasta l’iniziativa immobiliare avviata dalla curia di Verona, e giustificata con un asserito buco di bilancio di circa 18 milioni di euro: vendita di due terzi dell’area di 387mila metri quadrati del seminario di San Massimo, con abbattimento dei palazzi del Seminario minore e delle mense; secondo L’Arena dell’1 giugno 2008, la diocesi conta di introitare circa 60 milioni di euro dalla trasformazione dell’area, ribattezzata “Ecoborgo”, in edifici residenziali, direzionali e commerciali.
Operazioni di questo tipo sono frequenti soprattutto per i cambi di destinazione d’uso dei conventi, sempre meno utilizzati per i propri fini istituzionali, e per così dire “vocati” a diventare alberghi. Ma non mancano strutture di altro tipo: a Ravenna, la trasformazione in albergo di lusso di un orfanotrofio con i fondi stanziati per il Giubileo, solo tardivamente ratificata dall’amministrazione locale, ha portato il vescovo e il tesoriere della diocesi a essere indagati per malversazione (cfr. Ultimissima del 4 novembre 2011 ). I vantaggi economici ottenuti in tutta Italia dai diversi enti ecclesiastici possono ben difficilmente essere inferiori a 150 milioni di euro.
150.000.000 Servizi appaltati in convenzione ad organizzazioni cattoliche Questa è forse la voce più difficile da stimare. Esiste infatti tutta una serie di interventi sociali, di competenza sia statale, sia locale, per fronteggiare la povertà, il disagio sociale, la tossicodipendenza, l’Aids, l’arrivo di migranti, i disabili, fino all’attività sportiva, che sono generalmente dati in appalto (in convenzione, ma non sempre) a organizzazioni cattoliche, o che addirittura sono svolti all’interno degli oratori o di altre strutture parrocchiali. Che apparentemente vengono svolti senza fini di lucro, ma che costituiscono comunque una voce in perdita per lo Stato.
Per esempio, Sofia Basso, su Left del 29 maggio 2009, ha scritto degli «alti rimborsi richiesti dalle strutture del privato-sociale, in prevalenza cattoliche: al costo medio giornaliero per ragazzo di 77 euro delle comunità di accoglienza pubbliche, le private contrappongono rette giornaliere medie di 324 euro per ogni minore assistito». La sola convenzione con la comunità terapeutica “Opera Pia Miliani di San Severino Marche per l’assistenza a pazienti tossicodipendenti” costa alla Regione 155.000 euro l’anno. L’articolo di Giovanna Cracco su Paginauno ricorda inoltre come la procura di Potenza abbia aperto un’inchiesta «sulla cooperativa La Cascina – facente parte del Consorzio Gruppo La Cascina, un colosso che supera i 200 milioni di fatturato l’anno e vicino a Comunione e liberazione – che sembra essersi aggiudicata l’appalto del Centro di Policoro, in provincia di Matera, senza aver nemmeno depositato presso la prefettura i documenti obbligatori comprovanti l’idoneità dell’edificio». Il tutto grazie ad amicizie politiche, pure indagate. Infine, un articolo di Giuseppe Pipitone sul Fatto Quotidiano ricorda quanto il mondo cattolico sia impegnato (guadagnandoci sopra) nei centri di accoglienza per immigrati.
Da non dimenticare anche i numerosi processi che hanno coinvolto don Cesare Lodeserto per aver distratto milioni di euro, ottenuti da comuni e amministrazioni pubbliche, in favore del centro di accoglienza Regina Pacis, da lui diretto. Secondo la Cassazione , il religioso non era tenuto ad alcuna rendicontazione: dunque, trattenendo per uso privato fondi pubblici, non avrebbe nemmeno commesso reato. La predilezione per il volontariato cattolico porta sempre a decisioni che finiscono per favorirlo, anche nei casi più impensabili: per esempio, gli oltre novecentomila euro raccolti ogni anno in monetine presso la Fontana di Trevi, che finiscono alla Caritas diocesana, come le somme alcuni Comuni del Veneto sottraggono ai mendicanti .
L’Uaar ha cercato sui siti delle più importanti organizzazioni cattoliche i relativi bilanci, al fine di verificare quanto incidono gli stanziamenti pubblici, ma i dati trovati sono pochi, datati e spesso criptici: del resto la resistenza a pubblicare i bilanci viene in primis da diocesi e parrocchie, come ha ammesso anche il giornalista di Avvenire Roberto Beretta (cfr. Ultimissima del 9 novembre ). Si può tuttavia evidenziare, a mo’ di esempio, che la sola Fondazione Banco Alimentare, una struttura della galassia di Cl che si occupa della raccolta e della distribuzione da enti pubblici e privati delle eccedenze alimentari da affidare agli enti caritativi sparsi sul territorio (e quindi non svolge alcun servizio in convenzione), nel solo 2008 ha raccolto proventi da enti pubblici per 3.818.066 euro.
È dunque lecito ritenere che il favore sussidiaristico che spinge i dirigenti pubblici a favorire le organizzazioni cattoliche, anche quando non competitive, e limitatamente alla stipula di convenzioni per lo svolgimento di incarichi di conclamata competenza pubblica, comporti un esborso di denaro pubblico valutabile in almeno 150 milioni.
150.000.000 Convenzioni pubbliche con la sanità cattolica Gianluca Polverari, su Critica Liberale n. 123/4 del gennaio-febbraio 2006, ricorda «i fondi pubblici erogati a favore degli ospedali, delle strutture di ricovero e dei policlinici cattolici, beneficiari di cifre certamente ragguardevoli, dal momento che costituiscono una parte non trascurabile del totale dei finanziamenti pubblici destinati alla sanità convenzionata, non necessariamente di tipo confessionale, che per il 2004 assommava a circa 1.500 miliardi di Euro». Maltese, p. 40, precisa che «nel settore della sanità, le convenzioni pubbliche con gli ospedali cattolici classificati ammontano a circa 1 miliardo di euro, quelle con gli istituti di ricerca a 420, quelli con le case di cura a 250».
Folena, p. 52, critica Maltese per aver gettato «schizzi di fango» sull’Ospedale Bambin Gesù di Roma, ma non smentisce i dati pubblicati. L’entità del reddito che le realtà cattoliche traggono da tali convenzioni è ignota, ma anche limitandola più che prudentemente al solo 10% del valore delle convenzioni (che non corrisponde al ‘fatturato’ totale riveniente dal pagamento delle prestazioni) tale importo equivale a 167.000.000 euro.
167.000.000 Contributi regionali per i cappellani negli ospedali Al momento Intese o comunque accordi fra le Regioni e le Conferenze episcopali regionali sono tredici: due, relative a Sardegna e Calabria, risultano ancora in fieri. Le rimanenti regioni, come verificato per Liguria e Abruzzo, si può presumere che facciano riferimento a vecchie normative quali il Dpr n. 128/1969 (“Ordinamento interno dei servizi ospedalieri”). Nonostante siano reperibili i testi delle intese delle tredici Regioni con le rispettive Conferenze Episcopali, tuttavia i relativi oneri sono pressoché ignoti. Le uniche informazioni trovate riguardano Emilia Romagna e Toscana (incomplete), Trento (Provincia) sub iudice , Veneto. Sulla base delle retribuzioni medie ricavabili da queste poche notizie, e considerando una certa costanza di valori, si può ragionevolmente ipotizzare in circa 25.000 euro il costo medio di un As (Assistente Spirituale) considerando che i tipi di contratto che intercorrono, oltre all’assunzione in ruolo, sono i più disparati (convenzioni, part time, contratti di collaborazione, ecc):
Bologna: Sant’Orsola Malpighi, 25.400 euro Toscana: 27.922 euro Trento (Provincia): 27.561 euro Veneto: 23.735 euro Taranto: 24.333 euro Si trovano in rete numeri di assunti ma senza gli importi, né si ritrovano le relative delibere; se gli emolumenti calcolati fossero reali, al costo medio di 25.000 euro per As dovremmo attenderci una spesa in questo ordine di misura:
Lombardia: 120 As per 3.000.000 di euro Sicilia: 300 As per 7.500.000 di euro Lazio: 200 As per 5.000.000 di euro Emilia Romagna: i costi sono stati forniti direttamente dall’assessorato regionale in un seguito a una richiesta del consigliere Franco Grillini e sulla scia di un’inchiesta del circolo Uaar di Bologna : quasi nove milioni in quattro anni. Se Lazio e Sicilia possono risultare accettabili, non convince il dato lombardo che appare sottostimato per una regione in cui la sanità è in mano a CL. Poiché in genere la maggior parte delle Intese prevede che in ogni ospedale debba essere presente almeno un As, numero che viene incrementato di una ulteriore unità ogni 200-350 Pl (posti letto), si può formulare un’ipotesi su questa base. Nello specifico si possono mediare i valori più affidabili (Toscana, Trento, Veneto) contro quelli più opinabili (Lombardia, Lazio, Sicilia) ottenendo due valori (191 e 147 Pl per As) che possono rappresentare una ragionevole variabilità. Considerando che in Italia risultano 205.896 Pl pubblici si può ipotizzare che il numero degli As oscilli fra 1.078 e 1.401; nel caso di una spesa di 25.000 euro cadauno l’importo totale oscillerà fra i 27 e i 35 milioni di euro. Dunque una cifra intorno ai 30 milioni di euro, ma non certo esaustiva.
Si deve ricordare che a carico del Ssn e delle Asl ricadono le numerose spese di mantenimento di questo servizio. Si va dall’allestimento e dal mantenimento di cappelle, sacrestie e uffici, a quello degli As che hanno diritto ad alloggio ed a spese di mantenimento (luce, riscaldamento, pulizie, ecc). Anche in questo caso il computo è difficile se non si ricorre a un’ipotesi di ricarico annuo di 2.500 euro per As, in realtà poco più di 200 euro al mese – cifra sicuramente fin troppo conservativa per rappresentare il corrispettivo di un affitto o di un rimborso trasporti per gli As che devono servire più strutture – e si giunge così a una stima di 35 milioni di euro (fra i 30 e i 40 milioni). Si ha anche notizia che il Ssn pagherebbe più sacerdoti che odontoiatri: 387 contro 171. Dunque se anche questi 387 dovessero essere da sommare a quelli fin qui ipotizzati la spesa finale ricadrebbe fra i 40 e i 50 milioni di euro.
35.000.000 Contributi regionali agli oratori Anche la ricerca sui contributi destinati agli oratori si è rivelata molto difficile, in quanto numerose sono le fonti di finanziamento e innumerevoli i soggetti che ne godono. In compenso pochi e dispersi sono i documenti affidabili e le informazioni che l’Uaar ha potuto verificare. In base a un’inchiesta svolta da Marco Accorti per L’Ateo , è ragionevole ipotizzare che solo per la legge sugli oratori vengano investiti dalle Regioni almeno 50 milioni di euro l’anno, fermo restando che non sono l’unica fonte di finanziamento. Né gli oratori sono gli esclusivi beneficiari, ma anche le altre strutture che “fanno parrocchia”. I provvedimenti si susseguono: l’ultimo, una legge della Regione Campania di dicembre 2012 che ha stanziato 2,5 milioni di euro .
50.000.000 Altri contributi erogati dalle Regioni La stima è basata sull’esame delle delibere di giunta 2010 di tre Regioni: Basilicata (2.040.000 euro; 588.879 abitanti; 3,46 euro per abitante), Liguria (3.552.425,34; 1.615.986, 2,20), Marche (560.000,00; 1,559.542; 0,36), al netto dei contributi già considerati in altre voci specifiche. La media regionale è dunque di 2,00 euro per abitante.
Poiché la popolazione totale è calcolata dall’Istat in 60.340.328, e poiché si è ritenuto, prudenzialmente, di moltiplicare la cifra per due (perché non tutti i contributi emergono dalle delibere – in quanto non sono state analizzate le determine, le delibere di consiglio e della presidenza nonché il bilancio; le delibere di giunta non consentono sempre l’immediato riconoscimento dell’effettivo destinatario; talvolta rimandano ad allegati non disponibili; nessuna regione ha reso disponibile online l’albo dei beneficiari previsto dal Dpr n. 118/2000), la proiezione su scala nazionale porta a un valore di circa 242,2 milioni di euro.
È comunque noto che altre regioni, come la Lombardia, guidata dal ciellino Roberto Formigoni, hanno destinato alla Chiesa cattolica un volume di risorse notevolmente superiore: cfr. il libro La lobby di Dio , di Ferruccio Pinotti; la vicenda di Enrico De Alessandri, funzionario regionale sospeso per un mese per aver criticato il sistema di potere che ruota attorno a Comunione e liberazione (cfr. Repubblica del 3 dicembre 2009 ); l’ultima raffica di contribuzioni poco prima delle dimissioni (cfr. L’Espresso ).
Anche il Veneto non è da meno: cfr. il libro Cosa Loro , di Sebastiano Canetta ed Ernesto Milanesi, e delibere quali quella di oltre due milioni (cfr. per manutenzione e restauro delle parrocchie ) per manutenzione e restauro delle parrocchie: per lo stesso fine la Regione Sicilia ha tuttavia erogato ben otto milioni. E che dire dell’Emilia-Romagna? Nella ricostruzione post-sisma ha preferito finanziare la sistemazione delle chiese anziché delle case . Ma ogni Regione può “vantare” la propria generosità nei confronti della Chiesa cattolica: si pensi ai 50.000 destinati dalla Calabria per la sola festa di san Francesco da Paola.
242.200.000 Altri contributi erogati dalle Province La stima è basata sull’esame delle delibere di giunta 2010 di sei Province, al netto delle cifre già evidenziate in altre voci specifiche: Brindisi (403.096 abitanti; 10.800 euro; 0,03 euro per abitante); Carbonia-Iglesias (130.186; 85.000; 0,65), Crotone (173.812; 462.250; 2,66 euro per abitante), Grosseto (227.063; 0; 0), Sondrio (182.709; 13.000; 0,07) e Verona (914.382; 95.750; 0,10).
La media provinciale è dunque di 0,59 euro per abitante. Poiché la popolazione totale è stata calcolata dall’Istat in 60.340.328, e poiché si è ritenuto, prudenzialmente, di moltiplicare la cifra per due (perché non tutti i contributi emergono dalle delibere – in quanto non sono state analizzate le determine, le delibere di consiglio e il bilancio; le delibere di giunta non consentono sempre l’immediato riconoscimento dell’effettivo destinatario; talvolta rimandano ad allegati non disponibili; solo una Provincia su sei – Verona – ha reso disponibile online l’albo dei beneficiari previsto dal Dpr n. 118/2000), la proiezione su scala nazionale porta a un valore di circa 70.700.000 di euro.
La cifra è da ritenersi prudenziale: si pensi che la sola Provincia autonoma di Trento ha destinato, nel 2012, 3,65 milioni di euro alla ristrutturazione di edifici di proprietà ecclesiastica e circa sette milioni per la ristrutturazione del seminario, trasformato in polo culturale.
70.700.000 Contributi comunali per l’edilizia di culto (oneri di urbanizzazione secondaria) In seguito all’introduzione della legge n. 10/1977, cd. “legge Bucalossi” (confluita nel testo unico emanato con Dpr n. 380/2001), i comuni possono (ma non sono sempre obbligati) destinare all’edilizia di culto una parte degli oneri di urbanizzazione secondaria raccolti annualmente.
Il calcolo è complesso, ed è per questo che da alcuni anni l’Uaar ha avviato una specifica campagna, la campagna “Oneri” , che ha lo scopo di stimare l’entità di tali contributi, i quali tendono alquanto incongruamente a basarsi sul numero di fedeli forniti dalle stesse diocesi e parrocchie cattoliche (e, come mostra il caso di Genova , diocesi gestita dallo stesso presidente Cei, il card. Angelo Bagnasco, la cifra dei fedeli da loro presentata può essere addirittura superiore al numero degli abitanti).
Peraltro, gli utilizzi di questi contributi non sono sempre pertinenti con la destinazione di culto dell’edificio finanziato: cfr. la richiesta di una parrocchia di Cologna Veneta (VR) per la «manutenzione al servizio igienico esterno alla chiesa, ad uso della comunità parrocchiale». Le stime basate sui dati raccolti, e sulla proiezione della popolazione di riferimento sulla popolazione nazionale, ammontano a 1,56 euro pro capite, che su base nazionale diventano quindi a circa 94,1 milioni di euro.
94.100.000 Contributi comunali per i cappellani cimiteriali Sono inquadrati nella pianta organica con l’VIII qualifica funzionale. Il loro numero è ignoto. Si stima prudenzialmente che l’incidenza dei loro stipendi, su base nazionale, sia paragonabile a quella dei cappellani provinciali nella Polizia di Stato, ovvero circa sei milioni.
6.000.000 Esenzioni comunali dalla tariffa per la gestione dei rifiuti Vedi alla voce “Esenzioni Imu”.
— Edifici di proprietà comunale concessi a condizioni di favore a enti e associazioni cattoliche Le amministrazioni locali dispongono assai spesso di edifici e appartamenti che mettono a disposizione del mondo non profit a condizioni di estremo favore, per uso sia temporaneo sia continuativo. A esserne avvantaggiate sono soprattutto realtà del mondo cattolico. L’Uaar, con riferimento alla sola città di Roma, ha presentato nel 2009 un esposto alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti, dal quale emergeva come ben ventitré locali fossero messi a disposizione di realtà cattoliche nella capitale.
Ma in realtà più piccole la situazione non è poi così diversa: il Comune di Castellalto (TE), con delibera n. 232/2010, ha concesso in comodato gratuito i locali scolastici alla locale parrocchia affinché vi tenesse attività catechetiche. A Trieste, poi, esiste addirittura un retaggio asburgico per cui diciannove chiese sono tuttora proprietà del Comune, che si fa carico delle spese di straordinaria manutenzione, ma il cui uso è dato gratuitamente alla Curia; a Udine si arriva a pagare il religioso che dice messa al cimitero comunale. L’Uaar stima l’incidenza di tali condizioni di favore sulle casse dei comuni italiani in almeno quindici milioni di euro.
15.000.000 Sconti comunali per l’accesso a zone a traffico limitato A Roma, il costo dei permessi per i residenti in Vaticano è di 56,38 euro anziché 350, con minori entrate per le casse comunali di 300.000 euro circa.
Ma eccezioni sono concesse un po’ ovunque, nelle città italiane con zone a traffico limitato, tanto che è possibile valutare l’incidenza totale in almeno due milioni di euro.
2.000.000 Altri contributi erogati dai Comuni La stima è basata sull’esame delle delibere 2010 delle giunte comunali di dodici comuni di dodici regioni diverse, differenti per dimensione: Anguillara Sabazia RM (18.613 abitanti; 24.707,72 euro; 1,33 euro per abitanti), Bastia Umbra PG (21.600; 7.100,00; 0,35); Castellalto TE (7.496; 1.338,00; 0,18); Castelnuovo TN (991; 5.820; 5,87); Grassano MT (5512; 1.036; 0,19); Misano Adriatico RN (12.157; 12.000; 0,99); Montesarchio BN (13.707; 30.000,00; 2,19); Padova (in questo caso anche circoscrizioni; 212.989; 241.124,00; 1,13); Prata di Pordenone PN (8.458; 5.150; 0,61); Revello CN (4.221; 500; 0,12); Sant’Elia a Pianisi CB (1.983; 8.960; 4,52); Vita TP (2.169; 17.477,91; 8,06).
La media comunale è dunque di 2,13 euro per abitante. Poiché la popolazione totale è stata calcolata dall’Istat in 60.340.328, e poiché si è ritenuto, prudenzialmente, di moltiplicare la cifra per due (perché non tutti i contributi emergono dalle delibere – in quanto non sono state analizzate le determine, le delibere di consiglio e il bilancio; le delibere di giunta non consentono sempre l’immediato riconoscimento dell’effettivo destinatario; talvolta rimandano ad allegati non disponibili; solo due comuni su dodici hanno reso disponibile online l’albo dei beneficiari previsto dal DPR n. 118/2000), la proiezione su scala nazionale porta a un valore di circa 257.000.000 euro.
Esistono ovviamente Comuni che si distinguono per corrispondere cifre assai superiori a questa media: si pensi a Trieste, che con un solo provvedimento è riuscito ad assegnare alle sole parrocchie 1,7 milioni di euro, o al Comune di Oppeano, in provincia di Verona, che – compresi i contributi per le scuole paritarie – destina addirittura 44,50 euro per abitante a realtà cattoliche.
Nel calcolo effettuato mancano peraltro i benefici derivanti da delibere “una tantum”, che possono anche essere surreali: si pensi al Comune di Jesolo, che ha concesso ai preti il diritto alla tumulazione gratuita . Non mancano nemmeno gli errori marchiani, come quello del Comune di Milano che, non chiedendo le fatture, ha finanziato due volte gli oratori. Senza che i beneficiari lo facessero presente.
257.000.000 Benefici concessi da enti, fondazioni e società a partecipazione pubblica Tutte le grandi società private controllate dallo Stato si contraddistinguono per un atteggiamento di favore nei confronti della Chiesa cattolica e delle sue articolazioni. I benefici si possono suddividere in tre tipi: contributi diretti (per esempio le sponsorizzazioni che aziende come Poste Italiane, Trenitalia, Ferrovie Nord hanno concesso al Meeting di Comunione e liberazione), sconti sui servizi offerti (per esempio gli sconti per i pellegrini concessi da Trenitalia, cfr. Ultimissima del 4 settembre 2011 ), o messa a disposizione gratuita di propri spazi (per esempio le trasmissioni dedicate, il portale internet, lo spazio sul Televideo che la Rai riserva alla Chiesa cattolica, le tariffe agevolate della Sipra per la pubblicità sui canali Rai, o i viaggi “offerti” gratuitamente al papa).
Un caso eclatante di spreco sono i cinque milioni di euro che la società pubblica Arcus ha impiegato a beneficio della congregazione vaticana di Propaganda Fide, e che la Corte dei Conti ha chiesto siano restituiti allo Stato (cfr. Ultimissima del 30 giugno 2010 ); la stessa Arcus ha deliberato di devolvere 1,4 milioni per il restauro della cattedrale di San Vigilio a Trento. Bisogna poi aggiungere i costi delle visite in Vaticano effettuate da amministratori e dipendenti di tali società per essere ricevuti in udienza dal papa. Molte società dispongono infine di cappellani: l’Atac di Roma, per esempio, ne ha due, ma un cappellano era presente anche alle Olimpiadi di Londra.
Non vanno dimenticate le fondazioni: se la Fondazione Cariverona ha stanziato 450.000 euro per la costruzione dell’oratorio della parrocchia di San Pio X a Vicenza, la Fondazione Crt ha da parte sua avviato il progetto Architetture tra memoria e futuro , «iniziativa congiunta» con la Regione Piemonte e le Diocesi piemontesi e valdostane, per il quale ha stanziato venti milioni di euro. Sui siti di alcune di queste realtà è possibile in alcuni casi verificare gli importi concessi: per es. la Fondazione Cariplo , oppure Enel Cuore onlus . Considerando anche gli enti statali, per i quali valgono considerazioni simili, il valore complessivo di tali benefici può essere prudenzialmente stimato in almeno duecento milioni di euro.
200.000.000 Cerimonie di culto in orario di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, negli enti e nelle società controllate dallo Stato Ogni anno, negli uffici pubblici, si svolgono migliaia di cerimonie di culto cattoliche durante l’orario di lavoro. Quasi mai la partecipazione a tali cerimonie è defalcata dallo stipendio. Calcolando prudenzialmente in duemila le cerimonie, in cinquanta la media dei partecipanti e in quindici euro l’ora il salario medio lordo di ogni partecipante, si ha un’incidenza sui conti pubblici di almeno un milione e cinquecentomila euro.
1.500.000 Interessi sul debito Destinare oltre sei miliardi di euro ogni anno alla Chiesa cattolica significa, per un paese indebitato, pagare anche interessi su tale somma. Poiché il costo medio del debito italiano, nel 2014, è stato dell’1,35 per cento, gli interessi pagati per far fronte ai costi pubblici della Chiesa ammontano a circa 87,5 milioni.
NB: per semplicità di conteggio si è preferito evitare di effettuare il calcolo degli interessi composti, che avrebbe ulteriormente innalzato la stima.
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