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Quanto costa agli italiani lo spreco alimentare domestico?

Sprechi alimentari

Perché rifiutiamo, scartiamo, sprechiamo? Cosa ci spinge a un gesto che in ogni cultura è considerato negativo? Lo spreco richiama nel linguaggio comune lo sperperare, il dissipare, lo scialacquare. Verbi questi che stridono se accostati a qualsiasi bene, ma ancor di più se legati al cibo, bene primario essenziale, che consumiamo nelle nostre case. È proprio questo l’anello “debole” della filiera agroalimentare. Per capire cosa accade nelle nostre economie domestiche è nato l’Osservatorio che fa da “sentinella” agli sprechi fra le quattro mura: Waste Watcher, ideato da Last Minute Market, spin off dell’Università di Bologna, in collaborazione con SWG, società di ricerche di mercato, e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna (DISTAL). Waste Watcher 2014/Knowledge for Expo si propone di fornire alla collettività strumenti di comprensione delle dinamiche sociali, comportamentali e degli stili di vita che generano e determinano lo spreco delle famiglie, al fine di costituire una base di conoscenza comune e condivisa, in grado di orientare le politiche e le azioni di prevenzione dello spreco alimentare degli attori pubblici e privati. L’indagine è basata su una ricerca di tipo socio-economico svolta scientificamente, basata su opinioni e autopercezioni, non su misurazioni oggettive né dello spreco, né di altre dimensioni.

Quanto costa agli italiani lo spreco alimentare domestico? “Lo spreco complessivo di cibo, dai campi alla filiera al bidone della spazzatura domestico, vale complessivamente 8,1 miliardi di euro all’anno, ovvero 6,5 euro settimanali a famiglia per 630 grammi circa di cibo sprecato” ha spiegato il Presidente di Last Minute Market Andrea Segre’, alla presentazione del Rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo. “Studiare meglio le cause e i comportamenti familiari sara’ il primo passo per garantire policies adeguate di prevenzione dello spreco. Per questo Waste Watcher propone sin d’ora di attivare anche in Italia i ‘Diari di famiglia’, come già succede negli altri Paesi europei: si tratta di monitoraggi e rilevazioni scrupolosamente annotate da centinaia di famiglie campione, a proposito del consumo e soprattutto dello spreco settimanale. In questo modo potremo arrivare a dati del tutto realistici, laddove i monitoraggi finora effettuati possono registrare la percezione personale sullo spreco in famiglia”. La tendenza è verso una lieve riduzione dello spreco di cibo: erano infatti 8,7 miliardi secondo il monitoraggio pilota di Waste Watcher dell’ottobre 2013. “Ma i dati seguono l’andamento generale di riduzione dei consumi”, ha sottolineato Andrea Segrè.

Non sprecare sembra essere il nuovo comandamento degli italiani: il 63% degli intervistati desidera un’Italia vigile contro gli sprechi, prima ancora di un’Italia equa (39%), solidale (22%), tollerante (12%), sicura (42%), e in generale rispettosa dell’ambiente (47%). Ma c’è di più: l’81% degli italiani controlla se il cibo scaduto è ancora buono prima di gettarlo (era il 63% solo pochi mesi fa, nel gennaio 2014) e il 76% porta o vorrebbe portare a casa il cibo avanzato al ristorante. Il 30% degli intervistati lo fa con una certa frequenza, il 46% vorrebbe farlo ma non trova i contenitori al ristorante ed è troppo timido per chiederli. Il cibo, secondo gli italiani (60%), è il comparto su cui maggiormente si concentra la piaga dello spreco: più che per l’acqua (37%) o l’energia elettrica (20%). Coerentemente, in un’ottica di riduzione dello spreco ma anche di svolta culturale sulle tematiche ambientali connesse, gli italiani chiedono provvedimenti. In particolare auspicano (8,3 in scala da 1 a 10) una vera e propria campagna di educazione alimentare nelle scuole, oltre ad informazioni diffuse sul tema spreco (le considera utili il 94% degli italiani), a partire dai danni che lo spreco di cibo provoca anche rispetto all’ambiente.

Le etichette giocano un ruolo chiave: gli intervistati sollecitano un sistema chiaro per le modalità di consumo. Il 90% afferma di leggerle sistematicamente per verificare la scadenza dei prodotti e l’83% dichiara di conoscere la differenza tra “data di scadenza” (within) e “preferenza di consumo” (best before). Ma solo il 67% di chi ritiene di saperlo (54% del totale del campione) ha dimostrato di conoscere realmente il significato. Anche la tecnologia entra in campo come guida di riferimento per contenere lo spreco: fra le innovazioni auspicate dagli intervistati primeggiano la tecnologia intelligente per gli imballaggi del cibo, con packaging che virano di colore e possono monitorare la freschezza dei cibi (76%); ma anche sistemi di controllo delle temperature del frigorifero (75%) e sistemi di pianificazione della spesa (67%).

Il Rapporto 2014 sullo Spreco domestico di Waste Watcher – Knowledge for Expo si articola in cinque ambiti di indagine: l’approccio allo spreco alimentare, le abitudini alimentari degli italiani, la misurazione dello spreco alimentare domestico, gli strumenti per contrastarlo e il profilo dei nuclei familiari tra attenzione e disattenzione allo spreco. Lo spreco domestico in Italia, nel complesso, parrebbe attestarsi a livelli inferiori rispetto a quello monitorato in altri Paesi europei: nei quali, tuttavia, si utilizza un sistema incrociato di rilevazioni legate ai diari alimentari e alla quantificazione dei rifiuti nel bidone della spazzatura, strumenti che portano a rilevare – secondo la letteratura scientifica di settore – uno spreco doppio rispetto alla sola percezione degli intervistati. In generale, l’atteggiamento riguardo allo spreco alimentare varia conseguentemente all’età, alla sensibilità per l’ambiente, al tempo disponibile, ai figli, alla responsabilità sociale dell’intervistato.

Sono sei i cluster individuati con il Rapporto 2014: sei tipologie di consumatori che compongono il quadro complessivo dell’opinione pubblica, segmentando l’universo dei nuclei familiari:

  • virtuosi (22%): questo gruppo raccoglie la parte più sensibilizzata al tema dello spreco alimentare; lo inquadra sia come una immoralità, sia come un danno ambientale. Con queste motivazioni forti alle spalle riesce a sprecare veramente pochissimo.
  • attenti (27%): il loro atteggiamento è attento allo spreco ma con qualche licenza. Anche questo gruppo è caratterizzato sia dalla sensibilità ai temi ambientali che dalla valutazione morale sullo spreco; ma con un’intensità leggermente minore. La differenza sostanziale è che in questo cluster vi sono più coppie con figli. Sprecano poco.
  • indifferenti (10%): quelli che formano questo gruppo non hanno che una marginale attenzione ai temi della salvaguardia dell’ambiente e non ritengono che lo spreco alimentare produca dei danni. Nonostante questa condizione queste famiglie sprecano relativamente poco, meno della media delle famiglie italiane. La causa del loro comportamento corretto è di origine economica; è un gruppo che ha dei redditi limitati ed è il contenimento della spesa a motivarli nel non sprecare. Sprecano sotto la media nazionale ma più dei gruppi precedenti.
  • incoerenti (26%): accade spesso, nella società, che “si predichi bene e si razzoli male”. Questo gruppo si muove proprio così: segnala l’importanza dell’ambiente, percepisce il danno dello spreco e la sua immoralità, condivide i provvedimenti utili alla riduzione di questo fenomeno; però spreca.
  • spreconi (4%): si tratta di un piccolo cluster ma è significativo di un atteggiamento sociale, relativo non solo a questo tema; “io non ho responsabilità”, è la società che deve pensarci. Questo gruppo ha scarso interesse per l’ambiente e non ritiene che vi siano conseguenze più generali dovute allo spreco; per di più avendo anche una media capacità economica non vive neanche questo deterrente rispetto allo spreco alimentare domestico.
  • incuranti (11%): questo gruppo mostra di cogliere la problematicità dello spreco, ma come tema a se stante; non si scalda troppo per l’ambiente e, soprattutto, non ha interesse ad approfondire le conseguenze e le interdipendenze dello spreco alimentare.

Riassumendo: 1/3 della produzione mondiale non raggiunge i nostri stomaci. Ovvero 1 miliardo e 600 milioni di tonnellate di alimenti viene gettato via. L’80% sarebbe ancora consumabile:

  • 32% produzione agricola (510 milioni di t)
  • 22% post raccolta e immagazzinaggio (355 milioni di t)
  • 11% industria alimentare (180 milioni di t)
  • 13% distribuzione (200 milioni di t)
  • 22% consumo domestico (345 milioni di t)

Il totale dello spreco alimentare nei paesi industrializzati (222 milioni di t) equivale alla produzione alimentare dell’Africa Sub Sahariana (230 milioni di t).

  • ACQUA: L’acqua necessaria per produrre il cibo che si spreca a livello mondiale è pari a 250 miliardi di litri. È il consumo di New York City per i prossimi 120 anni (fino al 2134).
  • SUOLO: Il suolo necessario per produrre la quantità di cibo sprecata è pari a 1,4 miliardi di ha. Il 30% della superficie agricola utilizzabile mondiale.
  • CO2: La quantità di CO2 prodotta dalla produzione, trasformazione, conservazione, trasporto del cibo sprecato è pari a 3,3 miliardi di t di CO2. È il terzo inquinatore dopo Cina (7,3 milioni di t) e USA (6,9 milioni di t).
  • $: Il costo del cibo sprecato è pari a 750 miliardi di dollari. Il PIL della Svizzera.
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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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