Più dell’85% degli stock ittici mondiali sono stati utilizzati al limite (o più) dei propri limiti biologici. Il 68% degli stock commerciali dell’UE sono vittime della sovrapesca. Una pesca sostenibile potrebbe creare fino a 37.00 posti di lavoro entro il 2022.
Il settore europeo della pesca produce ogni anno circa 6,4 milioni di tonnellate di pesce. La pesca e l’industria di trasformazione impiegano più di 350.000 persone, il che dimostra l’importante contributo di questo settore al benessere economico e sociale nelle regioni. Talune delle misure proposte dei nuovi regolamenti relativi alla PCP, incluso il FEAMP (Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca), rischiano di penalizzare i pescatori e lo sviluppo delle regioni europee costiere e marittime.
L’urgente necessità di riformare la politica comune della pesca (PCP) è ormai assolutamente evidente. Negli ultimi decenni gli stock ittici presenti nelle acque europee hanno subito un drastico declino e in alcuni casi rischiano il collasso totale. Nonostante l’Europa importi oggigiorno oltre il 60% del pesce che consuma, un quarto degli esemplari pescati viene completamente sprecato in quanto rigettato in mare senza vita. Il numero dei pescherecci è esagerato in rapporto alle risorse alieutiche disponibili, e malgrado ciò la capacità della flotta sia tuttora in espansione (3% l’anno). Il settore della pesca è scarsamente redditizio e in molti casi la sua vitalità dipende solo dalle sovvenzioni; le gravi difficoltà finanziarie hanno favorito la scelta di prospettive a breve termine e cattive pratiche non sostenibili che hanno seriamente danneggiato l’ambiente marino.
La situazione è ormai insostenibile.
Il declino degli stock ittici era già iniziato molto tempo prima della nascita della PCP nel 1983. I dati storici sembrano indicare che, in alcuni casi, le imbarcazioni a vela in legno utilizzate dei pescatori un secolo fa, pur dipendenti dal vento, non solo sbarcavano quantità di pesce più massicce rispetto ai pescherecci altamente tecnologici del giorno d’oggi, ma pescavano altresì esemplari di taglia molto maggiore.
Lo sfruttamento eccessivo delle risorse alieutiche non è certo un fenomeno recente, ma la PCP non ha contribuito in maniera significativa alla relativa attenuazione. L’errore non risiede tanto nell’idea di una regolamentazione comune a livello di UE, quanto piuttosto nella politica perseguita e in particolare nella relativa applicazione. La prospettiva a breve termine ha prevalso, e pare che i ministri, in sede di definizione delle quote annuali, abbiano superato le raccomandazioni scientifiche, in media, addirittura del 48%. Di conseguenza il numero di esemplari è diminuito, così come la taglia dei pesci catturati. Per quanto concerne il pesce di mare le attuali pratiche non sono in grado di garantire un approvvigionamento alimentare sostenibile.
Fortunatamente le nostre acque possono ospitare un numero di pesci di molto superiore a quello attuale, e non tutte le decisioni politiche si sono rivelate sbagliate. La tendenza alla riduzione di alcuni stock ittici è stata invertita. In un limitato numero di casi, che però è in aumento, la politica dell’UE sta contribuendo al ripristino di livelli degli stock superiori a quelli necessari ai fini del rendimento massimo sostenibile. L’obiettivo da perseguire in relazione alla totalità degli stock è proprio quello appena descritto.
La Commissione propone ampie riforme che includono i seguenti elementi fondamentali:
· definizione di piani di gestione a lungo termine per tutti gli stock, con l’obiettivo di raggiungere il rendimento massimo sostenibile entro il 2015;
· assegnazione annuale delle possibilità di pesca saldamente ancorata ai pareri scientifici o, in mancanza di questi ultimi, all’applicazione del principio precauzionale;
· divieto di rigettare esemplari di specie ittiche commerciali ormai morti;
· introduzione in tutta Europa di una gestione basata sui diritti (concessioni di pesca trasferibili) che offra ai pescatori un incentivo commerciale alla pesca sostenibile e affronti il problema della sovraccapacità;
· fine della microgestione da parte di Bruxelles, con il decentramento delle decisioni legate alla gestione ordinaria a favore di enti regionali in grado di tenere conto delle circostanze locali;
· obbligo per la flotta europea di rispettare standard elevati quando opera in acque di paesi terzi;
· sostegno allo sviluppo dell’acquacoltura in tutta Europa.
La Commissione si sta facendo portavoce dell’esigenza di un cambiamento. Oltre a ulteriori misure di salvaguardia per garantire il conseguimento degli obiettivi e la promozione della sostenibilità, sono necessarie misure aggiuntive volte ad assicurare la conformità alle norme.
Con gli emendamenti proposti si punta a:
· promuovere misure finalizzate al ripristino degli stock ittici;
· rafforzare il primato dei piani di gestione a lungo termine e porre un freno alla possibilità per i governi di ignorare i pareri scientifici in sede di definizione delle quote annuali;
· aprire la strada a un’estensione del divieto di rigetto a tutte le specie ittiche;
· garantire una maggiore tutela dell’ambiente marino;
· dimostrare che i sistemi di gestione basati sui diritti (concessioni di pesca trasferibili) si prestano a manipolazioni da parte degli Stati membri volte a soddisfare le priorità nazionali e a tutelare interessi specifici;
· creare maggiori opportunità per la pesca artigianale e le pratiche di pesca a impatto ridotto;
· prevedere norme più severe per i pescherecci dell’UE che operano in acque straniere;
· affrontare i problemi legati allo sviluppo dell’acquacoltura;
· porre l’accento sulla necessità che la politica della pesca sia trasparente e aperta al controllo pubblico.
L’oceano di plastica. La lotta per salvare il mare dai rifiuti della nostra civiltà. Il volume racconta la scoperta, da parte del capitano di marina Charles Moore, di una enorme massa galleggiante di rifiuti in pieno Oceano Pacifico. Moore vi incappò con il suo catamarano nel 1997 e da quel momento non ha più smesso di denunciarne l’esistenza agli enti preposti alla salvaguardia dell’ambiente e alle accademie scientifiche. Un libro che nell’ammonirci a ripensare radicalmente la nostra civiltà della plastica, al contempo ci sprona a una mobilitazione ecologista radicale.