Ogni anno, a partire dal 1998, Nessuno tocchi Caino pubblica un Rapporto in italiano e in inglese sulla pena di morte nel mondo con descritti i casi più eclatanti relativi alla sua applicazione. Le esecuzioni nel 2012 calano a 3.909, la Cina ne ha effettuate circa 3.000 il 76% del totale mondiale. “Nessuno tocchi Caino” presenta il Rapporto 2013.
L’evoluzione positiva verso l’abolizione della pena di morte in atto nel mondo da oltre quindici anni, si è confermata nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013. I Paesi o i territori che hanno deciso di abolirla per legge o in pratica sono oggi 158. Di questi, i Paesi totalmente abolizionisti sono 100; gli abolizionisti per crimini ordinari sono 7; quelli che attuano una moratoria delle esecuzioni sono 5; i Paesi abolizionisti di fatto, che non eseguono sentenze capitali da oltre dieci anni o che si sono impegnati internazionalmente ad abolire la pena di morte, sono 46. I Paesi mantenitori della pena di morte sono scesi a 40 (al 30 giugno 2013) rispetto ai 43 del 2011. I Paesi mantenitori sono progressivamente diminuiti nel corso degli ultimi anni: erano 42 nel 2010, 45 nel 2009, 48 nel 2008, 49 nel 2007, 51 nel 2006 e 54 nel 2005. Nel 2012, i Paesi che hanno fatto ricorso alle esecuzioni capitali sono stati 22, rispetto ai 20 del 2011, ai 22 del 2010, ai 19 del 2009 e ai 26 del 2008. Nel 2012, le esecuzioni sono state almeno 3.967, a fronte delle almeno 5.004 del 2011, delle almeno 5.946 del 2010, delle almeno 5.741 del 2009 e delle almeno 5.735 del 2008. Il calo delle esecuzioni rispetto agli anni precedenti si giustifica con la significativa riduzione stimata in Cina dove sono passate dalle circa 4.000 del 2011 alle circa 3.000 del 2012. Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, non si sono registrate esecuzioni in 3 Paesi – Egitto, Singapore e Vietnam – che le avevano effettuate nel 2011. Viceversa, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni: Botswana (almeno 1), Gambia (9), Giappone (7), India (1) e Pakistan (1) nel 2012; Indonesia (1), Kuwait (5) e Nigeria (4) nel 2013. Ancora una volta, l’Asia si conferma essere il continente dove si pratica la quasi totalità della pena di morte nel mondo. Se stimiamo che in Cina vi sono state circa 3.000 esecuzioni (circa 1.000 in meno rispetto al 2011), il dato complessivo del 2012 nel continente asiatico corrisponde ad almeno 3.879 (il 97,8%), in calo rispetto al 2011 quando erano state almeno 4.935. Le Americhe sarebbero un continente praticamente libero dalla pena di morte, se non fosse per gli Stati Uniti, l’unico Paese del continente che ha compiuto esecuzioni (43) nel 2012. Il 7 agosto 2012, la Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani ha chiesto agli Stati membri dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) che hanno ancora la pena di morte ad abolirla o, almeno, a introdurre una moratoria sulla sua applicazione. In Africa, nel 2012, la pena di morte è stata eseguita in 5 Paesi (erano stati 4 nel 2011) e sono state registrate almeno 42 esecuzioni: Sudan (almeno 19), Gambia (9), Somalia (almeno 8), Sudan del Sud (almeno 5), Botswana (almeno 1). Nel 2011 le esecuzioni effettuate in tutto il continente erano state almeno 24. In Europa, la Bielorussia continua a costituire l’unica eccezione in un continente altrimenti totalmente libero dalla pena di morte. Nel 2012 tre uomini sono stati giustiziati per omicidio.
Cina, Iran e Iraq i primi paesi boia del 2012
Dei 40 mantenitori della pena di morte, 33 sono Paesi dittatoriali, autoritari o illiberali. In 17 di questi Paesi, nel 2012, sono state compiute almeno 3.909 esecuzioni, il 98,5% del totale mondiale. Un Paese solo, la Cina, ne ha effettuate circa 3.000, circa il 76% del totale mondiale; l’Iran ne ha effettuate almeno 580; l’Iraq almeno 129; l’Arabia Saudita almeno 84; lo Yemen almeno 28; la Corea del Nord almeno 20; il Sudan almeno 19; l’Afghanistan 14; il Gambia 9; la Somalia almeno 8; la Palestina (Striscia di Gaza) 6; il Sudan del Sud almeno 5; la Bielorussia almeno 3; la Siria almeno 1; il Bangladesh 1; gli Emirati Arabi Uniti 1 e il Pakistan 1. Molti di questi Paesi non forniscono statistiche ufficiali sulla pratica della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto. A ben vedere, in molti di questi Paesi, la soluzione definitiva del problema, più che alla lotta contro la pena di morte, attiene alla lotta per la democrazia, l’affermazione dello Stato di diritto, la promozione e il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili. Sul terribile podio dei primi tre Paesi nel mondo che nel 2012 hanno compiuto più esecuzioni figurano tre Stati autoritari: Cina, Iran e Iraq.
Cina, esecuzioni più che dimezzate rispetto al 2006
Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie, anche di fonte ufficiale, in base alle quali condanne a morte ed esecuzioni sarebbero via via diminuite rispetto all’anno precedente. Tale diminuzione è stata più significativa a partire dal 1° gennaio 2007, quando è entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna a morte emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema del Popolo. Da allora, la Corte Suprema ha annullato “in media” il 10 per cento delle condanne a morte pronunciate ogni anno nel Paese. Secondo le stime di un esperto cinese, Liu Renwen, direttore del dipartimento di diritto penale della Facoltà di Legge dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, da quando la Corte Suprema del Popolo ha riacquistato il potere di condurre la revisione finale delle condanne a morte, il numero delle esecuzioni è diminuito di oltre il 50 per cento. Nel 2006, media statali avevano riportato le stime del professor Liu secondo cui il numero di circa 8.000 esecuzioni l’anno era allora un dato ‘realistico’. Secondo William A. Schabas, Professore di diritto internazionale presso la Middlesex University di Londra, nel 2012 “la Cina ha probabilmente giustiziato circa 3.000 persone”. “Ciò rappresenta un calo di oltre il 50% rispetto a solo cinque anni fa”, ha osservato sul suo blog il 18 dicembre 2012, forte della partecipazione per più di un decennio a numerose conferenze sulla pena di morte in Cina e dei molti incontri con esperti del sistema cinese di giustizia penale. Secondo quanto ha riportato il 28 febbraio 2013 la Fondazione statunitense Dui Hua, “il numero delle esecuzioni è stato drasticamente ridotto, anche se nel 2012 è rimasto a un livello elevato pari a circa 3.000 esecuzioni”. La Fondazione Dui Hua, diretta da John Kamm, un ex dirigente d’affari che si è votato alla difesa dei diritti umani e che continua a mantenere buoni rapporti con funzionari governativi cinesi, aveva stimato che nel 2011 erano state effettuate “circa” 4.000 esecuzioni, mentre nel 2010 ne erano state effettuate “circa” 5.000, come nel 2009 e in lieve calo rispetto al 2008 quando, secondo la Fondazione, il numero delle esecuzioni “ha superato le 5.000 e può essersi avvicinato alle 7.000”. Considerato che almeno il 90 per cento dei casi trattati dalla Corte Suprema è composto da casi capitali e che la Corte, nel 2012, ha definito 9.248 casi (1.267 in meno rispetto al 2011), una stima approssimativa ma realistica di Nessuno tocchi Caino fissa il numero delle condanne a morte del 2012, tra quelle definitive e quelle sospese per due anni, intorno alle 8.300 (in netto calo rispetto alle circa 9.400 stimate nel 2011). Considerato inoltre che, sin dal febbraio 2010, la Corte Suprema ha raccomandato ai tribunali di privilegiare – rispetto all’esecuzione immediata – la pena di morte con due anni di sospensione (normalmente poi commutata nel carcere a vita o a una pena detentiva a termine), è realistico ritenere che le esecuzioni nel 2012, come stimato dal Professor William Schabas e dalla Fondazione Dui Hua, siano state circa 3.000, in netto calo rispetto alle 4.000 circa del 2011. Il 14 marzo 2012, il Congresso Nazionale del Popolo ha approvato un nuovo emendamento che riforma la legge di procedura penale cinese in senso più garantista. Innanzitutto, la frase “rispettare e proteggere i diritti umani” è scritta nel primo capitolo della nuova legge relativo a obiettivi e principi fondamentali. Nell’emendamento, sono specificate ulteriormente le procedure per la Corte Suprema del Popolo nel riesame dei casi di pena di morte affinché tali casi siano trattati “con sufficiente attenzione” e sia rafforzata la “supervisione legale”.
Iran, primatista assoluto della pena capitale per numero di abitanti
Nella storia moderna, la Cina si è classificata sempre al primo posto per numero di esecuzioni, ma negli ultimi anni l’Iran è stato il primatista assoluto della pena capitale per numero di abitanti. Secondo il quinto rapporto annuale di Iran Human Rights (IHR) sulla pena di morte nella Repubblica Islamica, nel 2012 sono state effettuate almeno 580 esecuzioni, un numero tra i più alti degli ultimi anni. Secondo Human Rights Activists in Iran, nel 2012 sono state giustiziate almeno 587 persone. Iran Human Rights sottolinea che il numero effettivo delle esecuzioni in Iran è probabilmente molto superiore ai dati forniti nel suo rapporto annuale: almeno 240 altre esecuzioni non sono state incluse nel suo conteggio per le difficoltà incontrate nella ricerca di conferme. Ad esempio, sono state incluse nel rapporto 2012 solo 85 delle 325 esecuzioni che sarebbero avvenute segretamente nel carcere di Vakilabad. Nel 2011, sulla base delle stesse fonti, Iran Human Rights aveva calcolato almeno 676 esecuzioni. Dopo le proteste post-elettorali del 2009, il numero di esecuzioni pubbliche in Iran è aumentato drammaticamente. Secondo Iran Human Rights, nel 2012 sono state almeno 60, un numero sei volte superiore rispetto al 2009, quando almeno 12 persone sono state impiccate in luoghi pubblici. La tendenza è proseguita nel 2013. Nel mese di gennaio e febbraio soltanto, sono state impiccate sulla pubblica piazza almeno 20 persone e, al 30 giugno, si erano già svolte almeno 37 esecuzioni pubbliche. L’esecuzione di minorenni è proseguita nel 2012 e nel 2013, fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo che pure ha ratificato. Un presunto minorenne al momento del reato è stato giustiziato in pubblico a marzo 2012. Altri due minori al momento del fatto sono stati giustiziati nel 2013, uno a gennaio e l’altro a febbraio. L’applicazione della pena di morte con condanne ed esecuzioni per motivi essenzialmente politici è continuata in Iran anche nel 2012 e nel 2013. Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” erano in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Oltre alla morte, la punizione per Moharebeh è l’amputazione della mano destra e del piede sinistro, secondo il codice penale iraniano. Secondo Iran Human Rights (IHR), delle 294 persone giustiziate di cui fonti ufficiali iraniane hanno dato notizia nel 2012, almeno 23, il 3%, erano state accusate di Moharebeh (fare guerra a Dio).
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.
Iraq, esecuzioni raddoppiate
Nel 2012, l’Iraq ha messo a morte almeno 129 persone, il numero più alto dal 2005 e un aumento significativo e preoccupante rispetto al 2011, quando sono state giustiziate almeno 68 persone, che erano già il quadruplo rispetto alle 17 messe a morte nel 2010. L’Iraq ha già giustiziato almeno 50 persone nel 2013 (al 16 aprile). Le esecuzioni sono iniziate nell’agosto 2005. Da allora e fino al 16 aprile 2013, sono state eseguite almeno 497 condanne a morte, la gran parte per fatti di terrorismo. Ad aprile 2013, c’erano circa 1.400 persone detenute nel braccio della morte, secondo il Ministro della Giustizia iracheno, Hassan al-Shammari.
Democrazia e pena di morte
Dei 40 Paesi mantenitori della pena capitale, sono solo 7 quelli che possiamo definire di democrazia liberale, con ciò considerando non solo il sistema politico del Paese, ma anche il sistema dei diritti umani, il rispetto dei diritti civili e politici, delle libertà economiche e delle regole dello Stato di diritto. Le democrazie liberali che nel 2012 hanno praticato la pena di morte sono state 5 e hanno effettuato in tutto 58 esecuzioni, l’1,5% del totale mondiale: Stati Uniti (43), Giappone (7), Taiwan (6), Botswana (almeno 1) e India (1). Nel 2011 erano state 2 (Stati Uniti e Taiwan) e avevano effettuato in tutto 48 esecuzioni.
L’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2013 dopo una sospensione che durava dal 2008.
Stati Uniti: altri due Stati aboliscono la pena di morte, mentre continuano a diminuire gli Stati esecuzionisti e i detenuti nel braccio della morte
Nel 2012 le esecuzioni sono state 43, lo stesso numero del 2011, ma sono state effettuate in un numero minore di Stati.
Le esecuzioni sono avvenute in soli 9 Stati: Texas (15); Arizona (6); Oklahoma (6); Mississippi (6); Ohio (3); Florida (3); South Dakota (2); Delaware (1); Idaho (1).
Nel 2012, non ci sono state esecuzioni in cinque Stati – Alabama, Georgia, Missouri, South Carolina e Virginia – che le hanno effettuate nel 2011. D’altra parte, il South Dakota ha ripreso la pratica della pena di morte nel 2012, dopo una sospensione di fatto che durava dal 2007.
Nei primi sei mesi del 2013 (al 26 giugno), sono state effettuate 18 esecuzioni in 6 Stati.
Secondo il Death Penalty Information Center, nel 2012 le nuove condanne a morte sono state 78, il secondo numero più basso da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976. Il numero più basso di condanne a morte è stato quello del 2011: 76, un fortissimo calo rispetto agli anni precedenti nei quali non erano mai scese sotto 100.
Al 1° gennaio 2013, c’erano 3.125 detenuti nel braccio della morte, 64 in meno rispetto ai 3.189 del 1° gennaio 2012.
Ad aprile 2012 il Connecticut ha abolito la pena di morte e a maggio 2013 il Maryland è diventato il sesto Stato ad abolirla in sei anni. Gli altri quattro Stati che hanno recentemente abbandonato del tutto la pena capitale sono: New Jersey (2007), New York (2007), New Mexico (2009) e Illinois (2011). Inoltre, il Governatore dell’Oregon ha dichiarato una moratoria di tre anni su tutte le esecuzioni nel novembre 2011.
Delle 34 giurisdizioni in cui vige ancora la pena di morte, 9 non hanno effettuato esecuzioni da più di dieci anni: Colorado (ultima esecuzione nel 1997), Kansas (1965), Nebraska (1997), New Hampshire (1939), Oregon (1997), Pennsylvania (1999), Wyoming (1992), Amministrazione Militare (1961) e Governo Federale (2003). Da quando la pena di morte è stata reintrodotta nel 1976, tre Stati hanno giustiziato solo “volontari”, ossia persone che chiedevano con forza di affrettare la procedura di esecuzione. La Pennsylvania ne ha giustiziati 3, l’Oregon 2 e il Connecticut 1.
Uno dei fatti più importanti del 2012 è stato certamente il referendum in California sull’abolizione della pena di morte. Il 6 novembre 2012, gli elettori della California hanno respinto, con stretto margine, la proposta di abolire la pena capitale, sostituirla con l’ergastolo senza condizionale e l’obbligo per i detenuti di lavorare per risarcire le vittime. Nel giorno in cui si votava per le elezioni presidenziali che hanno confermato Barak Obama, gli elettori hanno votato al 52,7% contro la “Proposition 34”.
Secondo il Death Penalty Information Center (DPIC) dal 1973 alla fine del 2012 i condannati a morte poi completamente prosciolti sono stati 142, di cui 3 nel 2012.
Oltre alla questione degli errori giudiziari, che ha animato il dibattito politico negli anni recenti, sta prendendo piede la questione dei “costi della pena di morte”. Alcuni studi hanno calcolato che circa la metà delle condanne a morte emesse in primo grado viene poi annullata nei gradi successivi e convertita in condanne all’ergastolo. Altri studi hanno accertato che, anche nei casi in cui una condanna a morte “regge”, tenere una persona all’ergastolo tutta la vita costa fino a 20 volte di meno che tenerla nel braccio della morte solo qualche anno e poi giustiziarla. In media negli Stati Uniti una condanna a morte costa tra 1 e 3 milioni di dollari, contro i 500.000 dollari di costo di una condanna all’ergastolo senza condizionale. Allora, sta sempre più prendendo piede un’idea alternativa: rinunciare ai processi capitali, che di solito si svolgono contro persone sulle quali esistono già prove convincenti, e dedicare i fondi risparmiati alla riapertura di casi archiviati, per andare alla ricerca di assassini non ancora individuati.
Giappone, ripresa delle esecuzioni nel 2012
Dopo che nel 2011, per la prima volta in quasi vent’anni, nessun prigioniero è stato messo a morte nel Paese, 7 persone sono state giustiziate nel 2012 durante il mandato del Primo Ministro del Partito Democratico, Yoshihiko Noda. Altre 5 persone sono state impiccate nel 2013 dopo la schiacciante vittoria del Partito Liberal-Democratico di Shinzo Abe alle elezioni anticipate del dicembre 2012. Il 29 marzo 2012, tre detenuti sono stati impiccati nelle prigioni di Tokyo, Hiroshima e Fukuoka, le prime esecuzioni praticate nel Paese dal 2010. Il 3 agosto 2012, altri due prigionieri sono stati impiccati a Tokyo e Osaka, nel secondo giro di esecuzioni dell’anno. Il 27 settembre 2012, il Giappone ha impiccato altri due prigionieri nelle carceri di Sendai e Fukuoka, portando a sette il numero di persone giustiziate durante il governo del Partito Democratico guidato da Yoshihiko Noda. Il 21 febbraio 2013, tre condannati a morte sono stati impiccati a Tokyo, Nagoya e Osaka, nelle prime esecuzioni effettuate dal nuovo governo del Partito Liberal-Democratico guidato da Shinzo Abe. Il 26 aprile 2013, altri due prigionieri sono stati impiccati a Tokyo per omicidio.
India, ripresa delle esecuzioni nel 2012
L’India ha ripreso le esecuzioni nel 2012 dopo una moratoria di fatto che durava dal 2004. Un’altra esecuzione è stata effettuata nel febbraio 2013. Il 21 novembre 2012, è stato giustiziato un cittadino pakistano, Mohammad Ajmal Kasab, l’unico sopravvissuto di un gruppo di fuoco che aveva ucciso 166 persone durante un furioso attacco nella capitale finanziaria Mumbai nel novembre 2008. Il 9 febbraio 2013, è stato impiccato Muhammad Afzal, noto come Afzal Guru, militante del gruppo Jaish-e-Muhammad, che era stato condannato a morte per il coinvolgimento nell’attacco suicida del 13 dicembre 2001 contro il Parlamento indiano.
Botswana, ripresa delle esecuzioni nel 2012
Il numero delle esecuzioni, spesso effettuate in segreto, è sempre stato molto basso, una o al massimo due all’anno. Nel 2011 non sono state compiute esecuzioni, che sono riprese il 31 gennaio 2012, quando è stato impiccato Zibani Thamo, un detenuto finito nel braccio della morte per omicidio. Un’altra esecuzione è stata fatta il 27 maggio 2013, quando Orelesitse Modise Thokamolemo è stato impiccato nella Prigione Centrale di Gaborone dopo aver ricevuto sei condanne a morte per gli omicidi di suoi familiari, commessi in seguito a una lite sul cibo. La pena di morte è in vigore da quando il Botswana è divenuto indipendente dalla Gran Bretagna nel 1966. Da allora sono state messe a morte almeno 47 persone.
Indonesia, ripresa delle esecuzioni nel 2013
L’Indonesia ha ripreso le esecuzioni nel 2013 dopo una sospensione che durava dal 2008. Il 15 marzo 2013, è stato messo a morte un trafficante di droga del Malawi, Adami Wilson, fucilato nelle prime ore del mattino nelle Pulau Seribu (Mille Isole), un arcipelago a nord di Giacarta. Il 17 maggio 2013, altri tre uomini sono stati fucilati nel carcere di Nusakambangan, su una piccola isola al largo di Java. Jurit bin Abdullah e Ibrahim bin Ujang erano stati riconosciuti colpevoli di aver decapitato e mutilato un uomo. Il terzo detenuto, Suryadi Swabuana, era stato condannato per aver ucciso un’intera famiglia nel 1991. Dall’anno dell’indipendenza nel 1945, in Indonesia sono state giustiziate 63 persone. Il 20 dicembre 2012, l’Indonesia ha anche cambiato il suo voto sulla Moratoria ONU sull’uso della pena di morte da contrario ad astensione. Il delegato indonesiano ha dichiarato che il dibattito pubblico sulla pena di morte in Indonesia era “in corso, anche riguardo a una possibile moratoria”.
Taiwan
Il 21 dicembre 2012, Taiwan ha messo a morte sei prigionieri del braccio della morte, il maggior numero di esecuzioni praticate in un solo giorno negli ultimi anni. Le esecuzioni sono state effettuate in quattro carceri in diverse parti del Paese: Taipei, Taichung, Tainan e Kaohsiung. Il 19 aprile 2013, altri sei detenuti sono stati giustiziati nelle carceri di Taipei, Taichung, Tainan e Hualien. Questa è la quarta volta che una serie di esecuzioni viene effettuata da quando Tseng Yung-fu è diventato Ministro della Giustizia nel 2010, per un totale di 21 giustiziati durante il suo mandato. Oltre alle sei condanne a morte eseguite nel dicembre del 2012, altre cinque esecuzioni erano state effettuate nel marzo 2011 e quattro nell’aprile 2010, le prime dopo una pausa che durava dal 2005. Dal 1981 sono state giustiziate a Taiwan 558 persone, secondo i dati del Ministero della Giustizia.
Europa libera dalla pena di morte, se non fosse per la Bielorussia e la Russia
L’Europa sarebbe un continente totalmente libero dalla pena di morte se non fosse per la Bielorussia, Paese che anche dopo la fine dell’Unione Sovietica non ha mai smesso di condannare a morte e giustiziare i suoi cittadini. Nel 2012, sono state effettuate almeno tre esecuzioni. La Russia, sebbene ancora Paese mantenitore, è impegnata invece ad abolire la pena di morte in quanto membro del Consiglio d’Europa e dal 1996 rispetta una moratoria legale delle esecuzioni. Per quanto riguarda il resto dell’Europa, tutti gli altri Paesi l’hanno abolita in tutte le circostanze.
Abolizioni legali, di fatto e moratorie
Il trend mondiale verso l’abolizione di diritto o di fatto della pena di morte in corso ormai da oltre quindici anni ha trovato una ulteriore conferma anche nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013. Altri 7 Paesi hanno rafforzato ulteriormente il fronte a vario titolo abolizionista nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013. Nel gennaio del 2012, la Lettonia ha abolito completamente la pena di morte. Nel marzo 2012, la Mongolia ha ratificato il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, relativo all’abolizione della pena di morte. Nel luglio 2012, anche il Benin è divenuto parte del Secondo Protocollo Opzionale. Nel gennaio 2013, la Repubblica Democratica del Congo ha superato i dieci anni senza effettuare esecuzioni, divenendo così un Paese abolizionista di fatto. Dal marzo 2013, dopo dieci anni consecutivi senza esecuzioni, il Qatar può essere considerato un Paese abolizionista di fatto. Nell’aprile 2013, anche Cuba ha superato i dieci anni senza effettuare esecuzioni, divenendo così un Paese abolizionista di fatto. Nel giugno 2013, dopo dieci anni consecutivi senza esecuzioni, lo Zimbabwe è divenuto un Paese abolizionista di fatto. Negli Stati Uniti, il Connecticut ha abolito la pena di morte ad aprile 2012 e a maggio 2013 il Maryland è diventato il sesto Stato ad abolirla in sei anni. In Oregon nel novembre 2011 è stata istituita una moratoria che durerà 3 anni. Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, ulteriori passi politici e legislativi verso l’abolizione o fatti comunque positivi come moratorie di fatto o commutazioni collettive di pene capitali si sono verificati in numerosi Paesi. Nel maggio 2012, il Marocco ha accettato le raccomandazioni ricevute in sede di Riesame Periodico Universale dell’ONU a proseguire nella moratoria di fatto sulle esecuzioni nella prospettiva dell’abolizione totale. Nel giugno 2012, il Governo del Ghana ha accettato la raccomandazione della Commissione di Revisione Costituzionale che la pena di morte sia completamente abolita. Nel settembre 2012, il Madagascar ha firmato il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici per l’abolizione della pena di morte.
Lo Zambia non ha mai giustiziato nessuno dal 1997, grazie a una moratoria presidenziale sulle esecuzioni confermata dagli ultimi tre capi di Stato.
Una moratoria è osservata in Mali fin dagli anni ‘80 e tutte le condanne a morte sono commutate automaticamente in ergastolo.
In Libano regge la moratoria di fatto delle esecuzioni in atto dal 2004.
La pena capitale non è praticata in Giordania dal 2006, il che fa pensare che la monarchia stia andando verso la sua abolizione.
Nel 2012, per il terzo anno consecutivo, non sono state effettuate esecuzioni in Thailandia.
Nel 2012, per la prima volta negli ultimi anni, non sono state emesse sentenze capitali in Burkina Faso, in Camerun e in Uganda.
Nel 2012, per il secondo anno consecutivo, nessuna condanna a morte è stata riportata in Etiopia.
Nel 2012, il Presidente di Myanmar ha continuato la sua politica di commutazione delle condanne a morte in ergastolo.
Nel gennaio 2013, sei detenuti della Guyana, che erano nel braccio della morte da troppo tempo, hanno ottenuto la commutazione della pena in ergastolo.
Il 20 dicembre 2012, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una nuova Risoluzione su una Moratoria sull’Uso della Pena di Morte, la quarta dal 2007, con un numero record di Paesi che ha votato a favore. Il risultato è stato di 111 voti a favore (3 in più rispetto alla Risoluzione del 2010), 41 contro (come nel 2010), 34 astensioni (+ 2) e 7 assenti al momento del voto (come nel 2010).
Gli Stati membri delle Nazioni Unite sono ora 193, uno Stato in più rispetto al 2010, il Sudan del Sud, che ha votato a favore della Risoluzione, nonostante mantenga ancora la pena di morte. Ciad, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone e Tunisia, che si erano astenuti o erano assenti nel 2010, per la prima volta hanno votato a favore.
Ripresa delle esecuzioni
Sul fronte opposto, nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, 8 Paesi hanno ripreso le esecuzioni, in alcuni casi dopo molti anni di sospensione. Oltre a Botswana, Giappone, India e Indonesia [vedi il paragrafo “Democrazia e pena di morte”], hanno ripreso le esecuzioni il Gambia (9) e il Pakistan (1) nel 2012 e il Kuwait (5) e la Nigeria (4) nel 2013. Nel maggio 2013, Papua Nuova Guinea ha abrogato la legge sulla stregoneria ma ha esteso l’applicazione della pena di morte in alcuni casi. Negli Stati Uniti, nessuno Stato “abolizionista” ha reintrodotto la pena di morte, ma il South Dakota, che non compiva esecuzioni dal 2007, ne ha effettuate due nel 2012.
Pena di morte in base alla Sharia
Nel 2012, almeno 872 esecuzioni, contro le almeno 898 del 2011, sono state effettuate in 12 Paesi a maggioranza musulmana (come nel 2011), molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia. Sono 17 i Paesi mantenitori che hanno nei loro ordinamenti giuridici richiami espliciti alla Sharia. In alcuni casi, questi sistemi giuridici derivano anche da fonti consolidate e sovrapposte, sia storiche sia recenti, religiose e laiche. Comunque, il problema non è il Corano, perché non tutti i Paesi islamici che a esso si ispirano praticano la pena di morte o fanno di quel testo il proprio codice penale, civile o, addirittura, la propria legge fondamentale. Il problema è la traduzione letterale di un testo millenario in norme penali, punizioni e prescrizioni valide per i nostri giorni, operata da regimi fondamentalisti, dittatoriali o autoritari al fine di impedire qualsiasi cambiamento democratico.
Dei 47 Paesi e territori a maggioranza musulmana nel mondo, 23 possono essere considerati a vario titolo abolizionisti, mentre i mantenitori della pena di morte sono 24, dei quali 12 l’hanno praticata nel 2012. Impiccagione, decapitazione e fucilazione, sono stati i metodi con cui è stata applicata la Sharia nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013. Non risulta siano state eseguite condanne a morte “legali” tramite lapidazione.
L’impiccagione, ma non solo…
Tra i metodi di esecuzione di sentenze capitali in base alla Sharia, il più diffuso è l’impiccagione, la quale è preferita per gli uomini ma non risparmia le donne.
Almeno 748 impiccagioni in base alla Sharia sono state effettuate nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013 in Afghanistan, Palestina, Iran, Iraq e Sudan.
L’impiccagione in versione iraniana avviene di solito tramite delle gru o piattaforme più basse per assicurare una morte più lenta e dolorosa. Come cappio è usata una robusta corda oppure un filo d’acciaio che viene posto intorno al collo in modo da stringere la laringe provocando un forte dolore e prolungando il momento della morte. L’impiccagione è spesso combinata a pene supplementari come la fustigazione e l’amputazione degli arti prima dell’esecuzione. Nel 2011, in seguito alla “Campagna sulle Gru” lanciata dal gruppo Uniti Contro l’Iran Nucleare (UANI), alcune società che producono gru – le giapponesi Tadano e UNIC e l’americana Terex – hanno deciso di non stipulare più contratti con il governo iraniano dopo aver saputo che i loro prodotti erano usati in Iran per le esecuzioni pubbliche.
La decapitazione
La decapitazione come metodo “legale” per eseguire sentenze in base alla Sharia è un’esclusiva dell’Arabia Saudita. In Arabia Saudita, l’esecuzione avviene di solito nella città dove è stato commesso il crimine, in un luogo aperto al pubblico vicino alla moschea più grande. Il condannato viene portato sul posto con le mani legate e costretto a chinarsi davanti al boia, il quale sguaina una lunga spada tra le grida della folla che urla “Allahu Akbar!” (Dio è grande). A volte, alla decapitazione segue anche l’esposizione in pubblico dei corpi dei giustiziati. La procedura prevede che il boia stesso fissi la testa mozzata al corpo del giustiziato per poi farlo pendere per circa due ore dalla finestra o dal balcone di una moschea o appenderlo a un palo, durante la preghiera di mezzogiorno. Talvolta i pali formano una croce, da cui l’uso del termine “crocifissione”.
Nel 2012, l’Arabia Saudita ha decapitato almeno 84 condannati a morte, 43 sauditi e 41 cittadini stranieri, secondo un conteggio tenuto da Nessuno tocchi Caino sulla base di notizie pubblicate dai media locali. Le persone giustiziate nel 2013 (all’8 luglio) sono state almeno 57, secondo un conteggio della Agence France Presse tenuto in base a notizie ufficiali. Come “esecuzioni extragiudiziarie” andrebbero invece classificate le decapitazioni effettuate in Somalia dagli estremisti islamici di Al-Shabaab, in Afghanistan nelle zone controllate dai Talebani e in Yemen da islamisti legati ad Al-Qaeda.
La fucilazione
Non propriamente una punizione islamica, la fucilazione è pure stata usata nel 2012 (almeno 37 esecuzioni) e nei primi mesi del 2013 in Yemen, Emirati Arabi Uniti e Somalia in esecuzione di condanne basate anche sulla Sharia. Nel marzo 2013, l’Arabia Saudita ha autorizzato esecuzioni (almeno 7) tramite fucilazione come alternativa alla decapitazione pubblica, il metodo tradizionale in uso nel Regno. Non risulta siano state effettuate esecuzioni legali o comminate condanne capitali in Libia nel 2012.
La lapidazione
Tra le punizioni islamiche, la lapidazione è la più terribile. Il condannato è avvolto da capo a piedi in un sudario bianco e interrato. La donna è interrata fino alle ascelle, mentre l’uomo fino alla vita. Un carico di pietre è portato sul luogo e funzionari incaricati – in alcuni casi anche semplici cittadini autorizzati dalle autorità – effettuano la lapidazione. Le pietre non devono essere così grandi da provocare la morte con uno o due colpi, sicché la morte che viene inflitta risulta lenta e dolorosa. Se il condannato riesce in qualche modo a sopravvivere alla lapidazione, sarà imprigionato per almeno 15 anni ma non verrà giustiziato.
Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, non risulta siano state eseguite condanne a morte “legali” tramite lapidazione. Comunque, lapidazioni extra-giudiziarie per adulterio sono state effettuate in Somalia a opera di miliziani Al-Shabaab, nel nord del Mali da estremisti islamici e in Pakistan a opera di una jirga tribale. Nell’aprile 2013, il Consiglio dei Guardiani dell’Iran ha reinserito la lapidazione in una precedente versione del nuovo codice penale che l’aveva omessa come pena esplicita per l’adulterio.
Il “prezzo del sangue”
Secondo la legge islamica, i parenti della vittima di un delitto hanno tre possibilità: esigere l’esecuzione della sentenza, risparmiare la vita dell’assassino con la benedizione di Dio oppure concedergli la grazia in cambio di un compenso in denaro, detto Diya o “prezzo del sangue”. Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, casi relativi al “prezzo del sangue” si sono risolti col perdono o con l’esecuzione in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran e Kuwait. In Arabia Saudita, numerosi casi di “prezzo del sangue” si sono risolti positivamente grazie all’opera del Comitato per la Riconciliazione, un’organizzazione nazionale che assicura il perdono ai prigionieri del braccio della morte e aiuta a risolvere le lunghe dispute inter-familiari e tribali. Il Comitato ha contribuito dal 2008 a salvare la vita di centinaia di persone che erano state condannate a morte.
La versione iraniana del “prezzo del sangue” stabilisce che per una vittima donna esso sia la metà di quello di un uomo. Inoltre, se uccide una donna, un uomo non potrà essere giustiziato, anche se condannato a morte, senza che la famiglia della donna abbia prima pagato a quella dell’assassino la metà del suo “prezzo del sangue”.
Blasfemia e apostasia
In alcuni Paesi islamici, la pena capitale è stata estesa in base alla Sharia anche ai casi di blasfemia, cioè può essere imposta a chi offende il profeta Maometto, altri profeti o le sacre scritture. Dei 47 Paesi a maggioranza musulmana nel mondo, al massimo 5 consentono la pena capitale per blasfemia: il Pakistan, l’Arabia Saudita, l’Iran, gli Emirati Arabi Uniti e forse l’Afghanistan (la nuova Costituzione incorpora norme sui diritti umani che contraddicono norme penali che considerano la blasfemia un reato capitale). I non-musulmani non possono fare proseliti e alcuni governi proibiscono ufficialmente i riti religiosi pubblici da parte di non-musulmani. Convertire dall’Islam ad altra religione o rinunciare all’Islam è considerato apostasia ed è tecnicamente un reato capitale.
In Arabia Saudita, in Iran e in Pakistan vi sono persone detenute nel braccio della morte con l’accusa di stregoneria, apostasia e blasfemia. Nel giugno 2012, l’Emiro del Kuwait si è rifiutato di firmare un disegno di legge approvato dal Parlamento che prevedeva la pena di morte per i principali “reati” di blasfemia. Nel dicembre 2012, l’Egitto ha approvato una nuova Costituzione che comprende anche il divieto di “insultare o diffamare tutti i profeti e i suoi messaggeri”.
Pena di morte nei confronti di minori
Applicare la pena di morte a persone che avevano meno di 18 anni al momento del reato è in aperto contrasto con quanto stabilito dal Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo. Ciononostante, l’esecuzione di minorenni al momento del reato è proseguita in Iran nel 2012 e nel 2013. Uno è stato giustiziato in pubblico a marzo 2012. Altri due sono stati giustiziati nel 2013, uno a gennaio e l’altro a febbraio. Il regime iraniano ha dato a intendere che il nuovo codice penale – approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’aprile 2013 – abolisce la pena di morte per gli adolescenti di età inferiore a 18 anni, ma alcuni esperti hanno messo in dubbio che l’Iran abbia completamente abolito la pena di morte per i minori.
Nel 2012, due persone sono state messe a more nello Yemen per reati che avrebbero commesso quando avevano meno di 18 anni. Nel marzo 2013, un altro ragazzo è stato messo a morte nonostante fosse minorenne quando ha commesso un presunto omicidio.
Nel gennaio 2013, l’Arabia Saudita ha decapitato una lavoratrice domestica dello Sri Lanka che aveva solo 17 anni al momento del crimine.
Nel maggio 2013, per la prima volta nella storia del Tribunale per i minori, due adolescenti sono stati condannati a morte nelle Maldive.
La “guerra alla droga”
Il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici ammette un’eccezione al diritto alla vita per quei Paesi che ancora non hanno abolito la pena di morte, ma solo riguardo ai “reati più gravi”. Gli organismi delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno dichiarato i reati di droga non ascrivibili alla categoria dei “reati più gravi”. Un’altra questione riguarda la presenza, in molti Stati, di leggi che prescrivono la condanna a morte obbligatoria per alcuni reati di droga. L’obbligatorietà della pena capitale, che non tiene conto del merito specifico di ogni singolo caso, è stata fortemente criticata dalle autorità internazionali a tutela dei diritti umani.
Secondo il Rapporto 2012, The Death Penalty for Drug Offences, prodotto da Harm Reduction International (HRI), i Paesi o territori che nel mondo mantengono leggi che prevedono la pena di morte per reati legati alla droga sono 33, dei quali 13 la prevedono obbligatoriamente in alcuni casi particolari: Brunei-Darussalam, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran, Kuwait, Laos, Malesia, Oman, Singapore, Siria, Sudan, Sudan del Sud e Yemen. L’ideologia proibizionista in materia di droga ha continuato a dare un contributo consistente alla pratica della pena di morte anche nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013.
Nel nome della guerra alla droga, nel 2012, sono state effettuate esecuzioni in Arabia Saudita, Cina e Iran. Mentre condanne a morte per droga sono state pronunciate, anche se non eseguite, in 10 Stati: Emirati Arabi Uniti, India, Indonesia, Malesia, Pakistan, Qatar, Sri Lanka, Thailandia, Vietnam e Yemen.
Nel 2012, circa tre quarti delle sentenze capitali in Malesia sono state comminate per reati legati alla droga. Nel gennaio 2012, per la prima volta in India, una corte speciale ha condannato a morte un uomo per un crimine legato alla droga.
La “guerra al terrorismo”
Nel 2012 e nei primi sei mesi del 2013, numerose esecuzioni per fatti di terrorismo sono state effettuate in Iran, Iraq, India e Somalia, mentre centinaia di condanne a morte sono state pronunciate anche se non eseguite in Algeria, Bangladesh, Egitto, Libano, Mauritania e Sudan. In Pakistan, numerose condanne a morte, anche per reati comuni, sono state ordinate da tribunali speciali contro il terrorismo.
Tra i condannati a morte o giustiziati per “terrorismo” in Iran potrebbero esserci in realtà anche oppositori politici, in particolare appartenenti alle minoranze etniche e religiose iraniane: azeri, kurdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.
Nel 2012, l’Iraq ha giustiziato almeno 129 persone, quasi tutte per reati connessi al terrorismo. Nel 2013, al 16 aprile, l’Iraq ha già giustiziato altri 50 presunti terroristi.
Nel maggio 2013, il Presidente Barack Obama ha riformulato la strategia antiterrorismo degli Stati Uniti, promettendo di nuovo che avrebbe chiuso il controverso centro di detenzione militare di Guantanamo e invitando il Congresso a eliminare le restrizioni sul trasferimento dei detenuti verso altri Paesi o nelle carceri degli Stati Uniti per essere processati in tribunali civili o militari.
Arresti e processi per “minaccia alla sicurezza nazionale” sono diminuiti in Cina nel 2012 rispetto ai “livelli storici” raggiunti nel 2008 in vista dei Giochi Olimpici di Pechino, ma sono risultati comunque elevati.
La persecuzione di appartenenti a movimenti religiosi o spirituali
Nel 2012 e nei primi mesi del 2013, la repressione nei confronti di membri di minoranze religiose o di movimenti religiosi o spirituali non riconosciuti dalle autorità, è continuata in Cina, Corea del Nord, Iran e Vietnam.
In Iran, la persecuzione di quasi tutti i gruppi religiosi non sciiti – in particolare nei confronti dei Bahai, così come dei Musulmani Sufi, dei Cristiani Evangelici, degli Ebrei e dei gruppi sciiti che non condividono la religione ufficiale del regime – è aumentata significativamente nel 2012.
In Vietnam, particolarmente dura è continuata a essere la repressione nei confronti dei Montagnard, la minoranza etnica di religione cristiana che abita gli altipiani centrali. Mentre i Montagnard protestanti hanno affrontato la repressione religiosa per molti anni, i Montagnard cattolici sono diventati un obiettivo della persecuzione da parte del governo più recentemente.
Pena di morte per reati non violenti, politici e di opinione
Secondo il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, “nei Paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi”. Il limite dei “reati più gravi” per l’applicazione legittima della pena di morte è sostenuto anche dagli organismi politici delle Nazioni Unite i quali chiariscono che per “reati più gravi” si intendono solo quelli “con conseguenze letali o estremamente gravi”. Ciononostante, nel 2012 e nei primi mesi del 2013, condanne a morte o esecuzioni per reati non violenti o per motivi essenzialmente politici si sono verificate in Cina, Iran, Corea del Nord e Vietnam.
In Cina, la restituzione alla Corte Suprema del Popolo nel 2007 del potere esclusivo di approvare le condanne a morte ha portato i tribunali del Paese a gestire i casi capitali in maniera più prudente, in particolare quelli relativi a reati non violenti. Nel marzo 2013, presentando il suo rapporto alla sessione annuale dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il Presidente della Corte Suprema, Wang Shengjun, ha detto che i giudici sono stati cauti nel comminare la pena di morte e la Corte Suprema ha riesaminato molto attentamente le loro sentenze. “Ci siamo premurati che la pena di morte venisse inflitta a un numero molto ristretto di persone condannate per reati di estrema gravità.”
L’Iran ha continuato ad applicare la pena di morte per reati chiaramente non violenti. Ci sono state alcune modifiche apportate nel nuovo Codice Penale Islamico approvato nella sua ultima versione dal Consiglio dei Guardiani nell’aprile 2013. Il termine “omosessuale” è presentato nella nuova legge come un dato di rilevanza penale anche per le relazioni tra uomini, mentre prima era riferito solo a quelle tra donne. In ogni caso, i rapporti sessuali tra due individui dello stesso sesso continuano a essere considerati crimini Hudud e soggetti a punizioni da cento frustate fino all’esecuzione.
La pena di morte “top secret”
Molti Paesi, per lo più autoritari, non forniscono statistiche ufficiali sull’applicazione della pena di morte, per cui il numero delle esecuzioni potrebbe essere molto più alto. In alcuni casi, come la Cina e il Vietnam, la questione è considerata un segreto di Stato e le notizie di esecuzioni riportate dai giornali locali o da fonti indipendenti rappresentano una minima parte del fenomeno. Anche in Bielorussia vige il segreto di Stato, retaggio della tradizione sovietica, e le notizie sulle esecuzioni filtrano dalle prigioni tramite parenti dei giustiziati o organizzazioni internazionali molto tempo dopo la data dell’esecuzione. In Iran, dove pure non esiste segreto di Stato sulla pena di morte, le sole informazioni disponibili sulle esecuzioni sono tratte da notizie selezionate dal regime e uscite su media statali o da fonti ufficiose o indipendenti. Secondo Iran Human Rights (IHR), nel 2012 sono state compiute almeno 580 esecuzioni, un numero tra i più alti degli ultimi anni. Almeno 240 altre esecuzioni non sono state incluse nel suo conteggio per la difficoltà incontrate nella ricerca di conferme. Ci sono poi situazioni in cui le esecuzioni sono tenute assolutamente nascoste e le notizie non filtrano nemmeno dai giornali locali. È il caso di Egitto, Corea del Nord e Siria. In Iraq le esecuzioni segrete non si sono mai fermate, nemmeno sotto il governo di Nouri al-Maliki.
Vi sono, infine, Paesi come Arabia Saudita, Giappone e Singapore, dove le esecuzioni sono di dominio pubblico solo una volta che sono state effettuate, mentre familiari, avvocati e gli stessi condannati a morte sono tenuti all’oscuro di tutto.
La “civiltà” dell’iniezione letale
I Paesi che hanno deciso di passare dalla sedia elettrica, l’impiccagione o la fucilazione alla iniezione letale come metodo di esecuzione, hanno presentato questa “riforma” come una conquista di civiltà e un modo più umano e indolore per giustiziare i condannati a morte. La realtà è diversa.
Sempre più la pena di morte viene vista nel mondo come una forma di tortura, dal momento che infligge una grave sofferenza mentale e fisica ai condannati a morte, ha detto lo Special Rapporteur dell’ONU sulla tortura, Juan Mendez, intervenendo il 23 ottobre 2012 al Comitato diritti umani dell’Assemblea Generale. “A seguito di un certo numero di esecuzioni negli Stati Uniti, è ormai evidente che il sistema [dell’iniezione letale], come attualmente gestito, non funziona nel modo più efficiente come previsto”, ha detto Mendez nella sua relazione, aggiungendo che “per alcuni prigionieri ci vogliono molti minuti prima di morire mentre altri cadono in preda all’angoscia.” “Nuovi studi arrivano alla conclusione che, anche se l’iniezione letale è somministrata senza errori tecnici, nei giustiziati potrebbe verificarsi uno stato di soffocamento; quindi la visione convenzionale dell’iniezione letale come una morte serena e indolore è discutibile.”
Stati Uniti, dal Pentothal al Pentobarbital
Tutte le esecuzioni del 2012 sono avvenute per iniezione letale, tutte utilizzando il Pentobarbital (da solo o in cocktail) in sostituzione del Pentothal, un farmaco ormai superato per via dell’entrata in commercio di farmaci di nuova generazione preferiti in ambito ospedaliero.
Il Pentobarbital è un barbiturico molto simile al Pentothal, ma a larghissima diffusione, quindi economico e di facile reperibilità. Oltre che come sedativo e anestetico, è utilizzato nel trattamento del Morbo di Huntington, dell’epilessia e di una serie di altre disfunzioni del sistema nervoso centrale. Ma è noto anche per essere usato dai veterinari per uccidere cavalli azzoppati o animali malati in stato terminale.
Il 26 giugno 2013, il Texas ha giustiziato il suo 500° detenuto da quando ha ripreso le esecuzioni nel 1982. Kimberly McCarthy è stata dichiarata morta venti minuti dopo che i funzionari della prigione hanno iniziato a somministrarle una dose letale di Pentobarbital. “Dio è grande”, sono state le sue ultime parole prima di chiudere gli occhi. Ha avuto un respiro duro, roco, rumoroso per diversi secondi prima di calmarsi. Poi, il suo petto è sobbalzato su e giù per un altro minuto prima che smettesse di respirare.
Cina, un “privilegio” per alti funzionari e cittadini stranieri
Le sentenze capitali in Cina sono ancora per lo più eseguite con un colpo di fucile sparato a distanza ravvicinata al cuore oppure alla nuca con il condannato in ginocchio, le caviglie ammanettate e le mani legate dietro la schiena. Nel 1996, con un emendamento al Codice di procedura penale, la Cina ha autorizzato esecuzioni tramite iniezione letale, per la quale sarebbe stato usato lo stesso cocktail di tre farmaci introdotto per la prima volta negli Stati Uniti. “L’iniezione è più umana, riduce la paura e la sofferenza”, hanno dichiarato le autorità cinesi. “E’ preferita sia dai condannati sia dai loro familiari.” Il nuovo sistema è “più pulito, più sicuro e più conveniente” rispetto all’uso di armi da fuoco, secondo il direttore del dipartimento ricerca della Corte Suprema del Popolo, Hu Yunteng. L’iniezione letale è stata applicata per la prima volta il 28 marzo 1997 a Kunming, capoluogo della Provincia dello Yunnan. Da allora, è impossibile sapere quante persone sono state giustiziate con l’iniezione letale, dal momento che in Cina i dati sulla pena di morte sono ancora coperti dal segreto di Stato. Comunque, il “privilegio” di essere giustiziati in questo modo pare sia stato spesso riservato a ex alti funzionari del regime condannati a morte e, in base a una sorta di legge del contrappasso, a cittadini stranieri colpevoli di traffico di droga o a cittadini cinesi condannati per aver messo in commercio cibi o bevande adulterate chimicamente che hanno provocato morti.
Il 1° marzo 2013, il noto trafficante di droga birmano Naw Kham e tre dei suoi complici sono stati giustiziati con un’iniezione letale nella città di Kunming.
Il 2 luglio 2013, una donna è stata giustiziata con una iniezione letale per aver avvelenato il latte che ha provocato la morte di tre bambini e l’intossicazione di almeno altri trenta.
Il 3 luglio 2013, una cittadina filippina condannata a morte per traffico di droga in Cina è stata giustiziata mediante iniezione letale.
In molte Province sono state allestite anche delle unità mobili su dei furgoni da 24 posti, opportunamente modificati, che raggiungono il luogo dove si è svolto il processo. Questo evita il trasferimento dei condannati nei posti previsti per le esecuzioni, una procedura che implica notevoli misure di sicurezza. Il detenuto è assicurato con delle cinghie a un lettino di metallo posto sul retro del furgone. Una volta inserito l’ago, un poliziotto preme un bottone e automaticamente la sostanza letale viene iniettata nella vena. Il mezzo è dotato anche di una telecamera che filma l’esecuzione, in modo che rimanga una registrazione audio-video da visionare in caso di eventuali contestazioni procedurali.
E’ facile immaginare che il passaggio dal colpo di pistola all’iniezione letale nelle unità mobili possa favorire il traffico illegale di organi dei condannati. Le iniezioni lasciano intatto il corpo e richiedono la presenza di medici. Gli organi possono essere espiantati in un modo più veloce ed efficace che nel caso in cui i detenuti siano fucilati.
Il 6 dicembre 2012, un avvocato di Pechino, Han Bing, ha rivelato che un ospedale cinese è stato trasformato in sito per l’esecuzione di un condannato a morte. Il detenuto sarebbe stato portato di corsa la mattina stessa nell’ospedale, dove è stato costretto a firmare un modulo per la donazione di organi. E’ stato ucciso in un ospedale dove la “qualità” dei suoi organi sarebbe stata preservata.
Vietnam, sospese centinaia di esecuzioni per la carenza del farmaco usato per le iniezioni letali
Nel giugno 2010, l’Assemblea Nazionale del Vietnam ha deciso di sostituire il metodo della fucilazione con l’iniezione letale. La riforma è stata motivata con la necessità di “trovare un modo di esecuzione più umano” rispetto al plotone di esecuzione. “L’iniezione di veleno provoca meno dolore ai condannati e, poi, il loro corpo resta intatto. Costa di meno e riduce lo stress psicologico degli addetti all’esecuzione.” Le esecuzioni con il nuovo metodo sarebbero dovute partire dal 1° luglio 2011, quando la legge sull’esecuzione delle condanne penali è entrata in vigore, ma sono state rinviate più volte, prima a causa della mancanza delle strutture necessarie e di personale addestrato, poi per la carenza delle sostanze letali. Il 28 maggio 2012, la stampa vietnamita ha reso noto che le esecuzioni di centinaia di condannati a morte erano state sospese per la carenza del farmaco usato per le iniezioni letali. Il Ministro della Salute, Nguyen Thi Kim Tien, ha detto che le autorità vietnamite non riescono a giustiziare i condannati a morte perché l’Unione Europea – principale produttrice delle sostanze – si rifiuta di esportare le sostanze necessarie per effettuare le iniezioni. Nel maggio 2013, il Governo ha approvato una nuova legge che consente l’uso di sostanze chimiche di produzione nazionale per giustiziare i prigionieri. La nuova legge, in vigore a partire dal 27 giugno 2013, non menziona il nome delle sostanze chimiche. Tuttavia, il veleno sarà fornito dal Ministero della Salute e comprende il farmaco paralizzante sensoriale, il farmaco che paralizza il sistema muscolo-scheletrico e il farmaco per arrestare l’attività del cuore.