L’Italia, contrariamente alla sua immagine di esportatrice nel mondo della cultura mediterranea, vanta un saldo negativo nel settore oleario, almeno per quanto riguarda i volumi in quantità: sebbene calcolando le esportazioni nette in valore si ottenga per il 2012 un saldo positivo di 114,2 milioni di euro, dal punto di vista delle quantità tale saldo diventa negativo e pari a -183mila tonnellate nel 2012.
Addentrandosi nei meandri della bilancia commerciale italiana si scopre come, contrariamente all’immagine dell’Italia come esportatrice nel mondo della cultura mediterranea, il saldo del settore oleario sia in realtà negativo, almeno per quanto riguarda i volumi in quantità: infatti, sebbene calcolando le esportazioni nette in valore si ottenga per il 2012 un saldo positivo di 114,2 milioni di euro (+295,5% rispetto all’anno precedente, spiegato da una contemporanea crescita del valore delle esportazioni e diminuzione di quello delle importazioni), dal punto di vista delle quantità tale saldo diventa negativo e pari a -183mila tonnellate nel 2012 (comunque in ripresa rispetto al biennio 2010-2011 in cui il saldo negativo era ben oltre le 200mila tonnellate). Guardando al dettaglio delle importazioni per l’anno 2012, la quantità maggiore di olio di oliva importato risulta essere quello spagnolo con 392mila tonnellate (pari al 65,5% del totale, in calo di quasi cinque punti percentuali rispetto all’anno precedente), seguito dall’olio greco con circa 117mila tonnellate (pari al 19,5% del totale, in crescita di 1,1 punti percentuali sul 2011) e da quello tunisino con 76mila tonnellate (pari al 12,7% del totale, con un aumento di 5,7 punti percentuali sul 2011).
Il caso dell’olio proveniente dalla Tunisia merita un discorso a parte: infatti, con le sopracitate 76mila tonnellate, monopolizza le importazioni dai paesi extracomunitari, coprendo il 96% di esse e facendo registrare un notevole aumento (quasi undici punti percentuali) rispetto al 2011. Nel complesso, l’Italia è paradossalmente il primo importatore mondiale di olio di oliva, detenendo una quota pari al 35% (2011) e superando paesi come Stati Uniti, Germania e Regno Unito; al contrario, riguardo alle esportazioni, la quota italiana è pari nel 2011 al 22%, ampiamente al di sotto del livello della Spagna che si attesta su una quota di circa il 50%.
Queste cifre dimostrano che i consumatori sono vittime di vere e proprie truffe alimentari dal momento in cui, dietro al paravento di marchi sedicenti italiani ed etichette fuorvianti, vengono commercializzati oli di oliva di bassissima qualità, spesso ottenuti attraverso la raffinazione degli oli importati. Il procedimento adottato per la contraffazione, in sintesi, è il seguente: vengono importati oli grezzi provenienti da Spagna, Grecia e Tunisia sfruttando il loro basso costo di produzione (derivante sia da metodi di coltivazione iper-intensivi che dalla scarsa remunerazione del lavoro); in secondo luogo, dal momento che tali oli risultano essere di infima qualità, vengono miscelati con basse quantità di oli realmente italiani e successivamente “deodorati” (cioè trattati attraverso lavaggi chimici, non ammessi per legge per l’olio extravergine) in modo da migliorarne le caratteristiche organolettiche, correggendone quindi i difetti. L’obiettivo del processo di deodorazione è quello di eliminare il forte odore, il gusto acre e l’eccessiva acidità derivanti da una cattiva conservazione delle olive raccolte, che vengono lasciate per lungo tempo sotto al sole in cumuli oppure stipate nei cassoni degli autocarri favorendo la formazione di alcol metilici ed etilici degli acidi grassi attraverso un processo di fermentazione; infine, questi oli “taroccati” vengono imbottigliati e la bottiglia viene sommersa da riferimenti all’italianità del prodotto, in modo da rendere graficamente meno evidente (al fine quindi di confondere il potenziale acquirente) l’etichetta sulla quale deve essere obbligatoriamente riportata la dicitura di “miscela” per gli oli così ottenuti.
È chiaro che il processo appena descritto ha ricadute economiche ben precise, che spiazzano i produttori di vero olio Made in Italy costringendoli ad una guerra di prezzi al ribasso che non si può coniugare con una qualità elevata: infatti, a fronte di un prezzo medio superiore ai 6 euro al litro per un buon olio extravergine di oliva che si possa classificare come italiano, il prezzo di un olio “deodorato” si può attestare su pochi euro al litro. Come è facilmente comprensibile, la preoccupazione risiede nel fatto che tali acquisizioni, più che a rilanciare i marchi, punti nei fatti a “svuotarli” utilizzandoli come veicoli per commercializzare gli oli di bassa qualità: in questo modo, sfruttando quindi la fama dei marchi italiani nel mondo, sarebbe possibile trovare uno sbocco commerciale anche agli oli spagnoli, tunisini, greci che altrimenti avrebbero scarso (se non addirittura nullo) appeal.