Redditi da lavoro in caduta libera, più di mezzo milione di lavoratori in Cassa integrazione e oltre 30mila imprese scomparse. In difficoltà anche il commercio, il turismo, i trasporti e le banche. Questa è la fotografia del Paese emersa dal Rapporto della CGIL in vista della manifestazione nazionale, ‘Il Lavoro prima di tutto’, che si svolgera a Roma il 20 ottobre.
Prosegue il monitoraggio della Confederazione sulle situazioni di crisi più acute che stanno letteralmente sconvolgendo il tessuto industriale del Paese, ma anche il sistema dei servizi, del commercio e del credito. Continua l’emorragia dei posti di lavoro con cifre da capogiro, mezzo milione di posti nel solo triennio 2008/2010, in tutti i settori manifatturieri, dalla meccanica alla siderurgia, dagli elettrodomestici alla farmaceutica, il tessile, la ceramica, ai quali si aggiungono quelli persi nell’edilizia, nel commercio, nelle telecomunicazioni, nei trasporti e nelle banche.
Siamo nel pieno di una crisi a 360 gradi, che non fa sconti a nessuno, ma colpisce un settore dopo l’altro. Infatti, quando chiude o riduce drasticamente la produzione uno stabilimento a scomparire dal mercato è anche il suo prodotto, e così in Italia rischiano di scomparire intere filiere come quella dell’alluminio in Sardegna (Alcoa, Eurallumina) o dell’acciaio (ThyssenKrupp, Lucchini, Ilva) con il conseguente aumento delle importazioni e quindi della dipendenza dall’estero della nostra economia. A rischio il made in Italy nel tessile e nell’industria del bianco (Merloni, Indesit), nella ceramica (Ginori), nell’alimentare e nel mobile imbottito che 10 anni fa copriva il 16% dell’intera produzione mondiale mentre oggi registra una mortalità delle attività produttive pari all’80%. E se è vero che l’industria italiana si è dimostrata meno sofferente sotto il punto di vista dell’export, passando dal 61,4% del 2000 al 55,6% del 2011, a subire enormemente la crisi sono le aziende che si rivolgono esclusivamente o quasi al mercato interno.
Il quadro per l’industria italiana è drammatico: i primi sentori della crisi il nostro paese li ha avvertiti nel 2008, quando ha registrato un calo dell’attività industriale del 22,1% (aprile 2008 marzo 2009) e da allora, sostanzialmente non si è più ripresa. A dimostrarlo è la scomparsa tra il 2009 e il 2011 di 30mila imprese. A questa sofferenza dell’attività industriale si sommano le richieste di ore di Cassa integrazione, circa un miliardo all’anno per 500mila lavoratori, che è importante sottolinearlo, incidono negativamente sulla produttività oraria che viene invece solitamente calcolata sul numero complessivo della forza lavoro.
Delocalizzazioni da costo, crisi di liquidità, mancanza di investimenti e infrastrutture, costi dell’energia troppo alti, processi di riorganizzazione per una domanda in continuo calo, sono alcune delle maggiori cause di crisi nel nostro Paese. Per questo la CGIL torna a ribadire la necessità di una politica industriale con al centro investimenti e innovazione in ambito energetico, ambientale e delle materie prime, che stimoli una più forte collaborazione tra pubblico e privato facendo leva sulla domanda pubblica. C’è bisogno di risorse per rendere competitivo il nostro paese. Far ripartire l’economia significa anche rianimare i consumi interni attraverso politiche non restrittive e a favore dei redditi da lavoro e da pensione che con gli attuali interventi del Governo stanno subendo una drastica riduzione.
E’ per dare voce a tutti coloro che questa crisi la vivono in prima persona e che lottano ogni giorno per salvare, se ancora possibile, il proprio posto di lavoro, tra Cassa integrazione, contratti di solidarietà e annunci di licenziamenti collettivi, che la CGIL chiama a scendere in Piazza San Giovanni l’Italia della crisi, ma che dalla crisi vuole uscire attraverso il lavoro.
Di seguito riportiamo gli aggiornamenti di alcune situazioni particolarmente critiche divise per settore.
Meccanica
Nelle aziende metalmeccaniche del comparto auto, ferroviario e navale, si registrano le maggiori richieste di Cassa Integrazione, un chiaro sintomo della grave crisi che la meccanica deve affrontare. Secondo alcuni dati resi noti dall’Osservatorio CIG del dipartimento Settori produttivi della CGIL Nazionale sul totale delle ore di Cassa integrazione registrate da inizio anno, la meccanica pesa per 253.714.842, coinvolgendo 162.638 lavoratori (prendendo come riferimento le posizioni di lavoro a zero ore). Preoccupante anche il ricorso alla Cassa integrazione ordinaria (CIGO) che rispetto all’anno precedente è aumentata del 46,99%, mentre la Cassa integrazione in deroga (CIGD) ha raggiunto le 28.788.690 ore richieste. Fabbriche e cantieri chiusi o sull’orlo del fallimento in tutta Italia, per mancanza di commesse e per la crisi del mercato.
Al centro della crisi della meccanica auto la vicenda della FIAT e del suo piano ‘Fabbrica Italia’, che nei fatti non è mai stato attuato. Migliaia i lavoratori, impiegati nei vari stabilimenti, che ancora attendono investimenti e risposte dall’A.d. del Lingotto, Sergio Marchionne. Nello stabilimento di Mirafiori prosegue, infatti, la cassa integrazione per i circa 5mila impiegati degli Enti Centrali che ad ottobre si sono fermati per sei giorni. Stessa situazione a Pomigliano dove sono previste ulteriori due settimane di Cassa integrazione dal 29 ottobre al 9 novembre. Infine, Termini Imerese ha chiuso i cancelli lo scorso 24 novembre 2011 e 1.340 operai sono rimasti a casa, oltre agli 800 dell’indotto. Il decreto esodati-bis avvierà alla pensione 640 addetti della FIAT e aprirà la strada ad un altro anno di CIG per circa 600 lavoratori. Ora si attendono notizie sul futuro industriale dello stabilimento siciliano.
A fare i conti con i progetti industriali della FIAT in Italia anche parecchie aziende dell’indotto come la Pcma Magneti Marelli (Ex Ergom) di Napoli con 500 lavoratori esclusi dal progetto ‘Fabbrica Italia’ e altri 250 che attendono di essere riassorbiti dalla FIP (Fabbrica Italia Pomigliano) per la produzione della Nuova Panda e sui quali incombe la scadenza della cassa integrazione per ristrutturazione. Ancora irrisolta la vertenza di Irisbus della Valle Ufita (Avellino), unico a produrre pullman in Italia, che coinvolge 658 lavoratori di cui 190 ‘esodati’. Per quanto riguarda la ricollocazione del 30% dei lavoratori, condizione per poter accedere al secondo anno di CIG a zero ore, attualmente 70 lavoratori sono stati ricollocati in altre aziende, 30 di questi nella sfera Fiat, Iveco e Cnh. Altri 73 lavorano in distacco comandato. Per i 190 ‘esodati’ si attende la conclusione dell’iter del decreto con la sua pubblicazione, affinchè si possa ottenere la proroga della cassa integrazione per cessazione di attività. Anche in questo caso il nodo resta la ricerca di un imprenditore che rilevi la produzione.
Non solo FIAT. La crisi della meccanica auto, coinvolge purtroppo anche altre aziende come la Om carrelli elevatori che dopo aver trasferito ad Amburgo la produzione ha messo in Cassa integrazione per due anni i 274 dipendenti dello stabilimento di Bari. Per i lavoratori della Lear di Grugliasco, 430 in totale, è stata attivata a luglio la Cassa integrazione per riorganizzazione della durata di un anno, prorogabile per altri 12 mesi, l’azienda produce attualmente sedili per la linea Musa Idea di Mirafiori e per la Maserati.
Per il settore ferroviario e la produzione di mezzi di trasporto su rotaia, grande preoccupazione da parte di lavoratori e sindacati è data dal piano di dismissioni annunciato da Finmeccanica che prevede la cessione di Ansaldo Breda, la vendita di Ansaldo Sts e di una quota che il gruppo detiene in Ansaldo Energia. Un duro colpo per la regione Liguria nella quale Finmeccanica impiega 7.400 lavoratori diretti più 5mila nell’indotto. Per quanto riguarda Ansaldo Breda ed Sts (leader nei sistemi di segnalamento ferroviario), ancora si lotta contro la svendita a gruppi stranieri delle due società in forte crisi economica, una scelta che metterebbe a rischio l’intero patrimonio industriale italiano nel settore. A risentire del piano Finmeccanica anche le aziende dell’indotto Ansaldo Breda, come la Simmi di Acerra specializzata nella produzione di schermi di areazione per treni che è in bilico tra il concordato preventivo e il fallimento, investita da un debito di 4 miliardi con i fornitori aggravato dalla mancanza di commesse da parte di AnsaldoBreda. Attualmente i dipendenti sono 208 (22 sono stati assunti da altre imprese) e non percepiscono più neppure la CIG scaduta lo scorso 4 settembre. Non molto diversa la situazione alla Firema, gruppo casertano in amministrazione straordinaria dal 2010 con debiti per 200 milioni. La Firema possiede siti produttivi in tutta Italia: Caserta, Milano, Spello (Perugia) e Tito (Potenza) per un totale di 650 addetti, oggi nell’80% dei casi in cassa integrazione fino a marzo 2013. Si attende un compratore che salvi il gruppo.
Crollo di ordini e di forza lavoro anche per la cantieristica navale in Italia e totale assenza di politiche di sostegno al comparto, sia come infrastrutture sia a livello commerciale e finanziario. E’ questo il quadro in cui i gruppi del settore sono costretti a fare i conti. Fincantieri è uno dei maggiori gruppi esistenti al mondo nella progettazione e costruzione di navi mercantili, attualmente controllato da Fintecna la finanziaria del ministero dell’economia. Dopo la presentazione di un piano industriale “lacrime e sangue” che prevedeva 2.551 esuberi e la chiusura dei cantieri di Castellamare di Stabia e Sestri Ponente, nonché il ridimensionamento di Riva Trigoso, il 21 dicembre 2011 è stato fatto un accordo nazionale separato, non firmato dalla FIOM CGIL. L’accordo prevede la richiesta di Cassa Integrazione straordinaria per riorganizzazione (24 mesi) per circa 3.650 lavoratori, di cui 1.240 sono esuberi strutturali distribuiti negli 8 cantieri. Successivamente sono stati fatti accordi locali per ogni stabilimento, firmati anche dalla FIOM CGIL, in cui in parte si è modificato l’accordo nazionale separato in ambito di gestione degli ammortizzatori sociali e in qualche caso si è intervenuti anche sul piano industriale. In generale la situazione per il settore della cantieristica navale è molto critica.
Per il sito di Castellammare di Stabia Fincantieri, nei giorni scorsi, si è impegnata a garantire la continuità produttiva del sito stabiese al quale verrà affidata una nuova mission produttiva (traghetti, naviglio fluviale, senza escludere il mercato dei grandi yacht) e non si farà ricorso ai licenziamenti provvedendo all’assegnazione in tempi rapidi di nuove commesse. Tuttavia lavoratori e sindacati sono preoccupati perchè la revisione del protocollo d’intesa sulla base della nuova mission potrebbe cancellare il bacino di costruzione, indicato precedentemente come elemento fondamentale, comportando criticità produttive e occupazionali.
A Palermo la Fincantieri è stata esclusa dalla gara per i lavori di ristrutturazione del bacino galleggiante da 52 mila tonnellate del Porto di Palermo. A Trieste ha siglato un contratto con Viking Ocean Cruises per la costruzione di due navi extra lusso e stanno studiando ulteriori importanti possibilità di collaborazione anche nel settore delle navi per le crociere fluviali, comparto in cui Viking è leader mondiale.
Elettrodomestici
Il settore degli elettrodomestici, dopo quello dell’automotive, è uno dei comparti produttivi che più di altri sta subendo gli effetti della crisi con il rischio di chiusura di storici stabilimenti del bianco come Indesit, Merloni, Electrolux. La crisi non risparmia nessun distretto di produzione dell’elettrodomestico in Italia: Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Marche, Campania e Friuli Venezia Giulia. Sono ormai all’ordine del giorno gli annunci da parte dei grandi produttori di elettrodomestici di delocalizzazioni soprattutto in Polonia e Turchia, mentre la crisi economica sta colpendo proprio i consumatori dei prodotti made in Italy. Cassa integrazione ordinaria, straordinaria e i contratti di solidarietà sono rimasti l’unica ancora di salvezza per i dipendenti del settore.
La Indesit ha annunciato la chiusura del sito di None in provincia di Torino per trasferire la produzione di lavastoviglie ad incasso a Radomsko in Polonia. Si tratta della terza chiusura in pochi mesi, dopo Brembate e Refrontolo. In bilico ci sono altri 360 lavoratori su 4.500 totali del gruppo, attualmente in Cassa integrazione a rotazione in deroga fino al 31 ottobre e stipendi ridotti del 30%. Ora il problema rimane quello della cessione di attività e del riassorbimento della forza lavoro.
La Electrolux conferma gli investimenti anche a fronte di obiettivi produttivi in lieve flessione a Porcia (PN), Susegana (TV) e Forlì, ma in forte decremento a Solaro. Infatti a Porcia Electrolux continua a concentrare la produzione di lavatrici per l’alto di gamma con il marchio Aeg che ha lanciato un nuovo prodotto. Tuttavia sono ancora lontani i risultati sul piano sociale per la gestione degli esuberi che prevedeva 30mln di euro per esodi incentivati, agevolazioni di part-time, autoimprenditorialità, riqualificazione, ricollocazione e reindustrializzazione. Attualmente su 841 esuberi, 654 sono ancora da gestire: a Porcia su 198 eccedenze hanno lasciato la fabbrica solo 32 persone; a Solaro le uscite sono state 56, a Susegana 64 su 334. Intanto a Porcia scadrà il secondo anno di CIG straordinaria a luglio 2013, a Susegana a marzo.
Vertenza ancora aperta per la A.Merloni dopo la cessione dei tre stabilimenti del ‘bianco’ (Umbria e Marche) all’imprenditore Giovanni Porcarelli della Qs Group che si è reso disponibile a riassumere solo 700 lavoratori alla J&P Industries. E’ di pochi giorni fa la stesura di un nuovo accordo di programma per la reindustrializzazione e il reinserimento di quei lavoratori ex Merloni che non sono stati assunti dalla J&P attualmente in Cassa integrazione. L’accordo prevede 35 milioni di euro di risorse nazionali (divisi a metà tra Umbria e Marche) destinate allo sviluppo e alla diversificazione dei sistemi produttivi regionali e riconosce agli imprenditori che creeranno nuova occupazione un contributo a fondo perduto del 20% e un mutuo agevolato del 50%.
Edilizia
Il settore delle costruzioni, dall’inizio della crisi, ha perso circa 325mila posti di lavoro che salgono a 500mila unità se si considerano anche i settori collegati. Questi sono solo alcuni dati che descrivono la voragine occupazionale che continua ad aprirsi nel settore dell’edilizia. Un dramma lavorativo conseguente alla chiusura, nei soli ultimi due anni, di circa 27mila imprese di costruzioni. Intanto, nei cantieri cresce l’irregolarità e l’illegalità: lavoro nero, caporalato, partite iva, elusione ed evasione contributiva e fiscale, infiltrazioni delle economie criminali nel sistema degli appalti. Il quadro è reso ancor più chiaro dalle parole del Segretario Generale della FILLEA CGIL, Walter Schiavella: “stiamo assistendo alla morte del settore delle costruzioni. Fino ad oggi sono sparite 20 Ilva, 100 Termini Imerese, 200 Alcoa, ed ancora non è finita”.
Dal Nord al Sud Italia, grandi e piccole imprese delle costruzioni soffrono della mancanza di investimenti, lasciando a casa, ogni anno, migliaia di lavoratori: in Toscana 16mila persone hanno perso la loro occupazione, in Campania 19mila, in Sardegna 18mila, dati analoghi si registrano anche in altre regioni. La crisi non risparmia neanche le aziende storiche come la Selciatori e Posatori e la Lavoranti Muratori di Milano. 100 anni di storia che oggi devono fare i conti con scelte gestionali errate. A rischio oltre 250 persone. Nella migliore delle ipotesi, i selciatori otterrebbero un sostegno al reddito per un anno, con la speranza di essere ricollocati in altre realtà produttive del territorio. Resta alta l’attenzione sulla vicenda Italcementi che ha annunciato la chiusura definitiva degli stabilimenti di Vibo Valentia e Porto Empedocle che occupano circa 180 addetti oltre all’indotto. Lo stop delle attività di produzione del cemento andrebbero a gravare ulteriormente sulla situazione occupazionale di due regioni, la Calabria e la Sicilia, già fortemente compromessa. Licenziati i 157 operai della Cefalù20 occupati nel raddoppio ferroviario della linea Palermo-Messina, tratta Fiumetorto-Cefalù-Ogliastrillo. L’azienda aveva già da tempo confermato l’intenzione di avviare allo scadere della CIGS (30 settembre), i licenziamenti con decorrenza 1 ottobre 2012. Ora i 157 lavoratori si trovano in disoccupazione speciale per l’edilizia, una misura necessaria per la riassunzione da parte di ditte affidatarie. Scongiurato il rischio fallimento per il gruppo RDB. Il 14 settembre scorso, il tribunale di Piacenza ha infatti deciso di concedere l’amministrazione straordinaria, procedura concessa alle grandi Imprese in stato di insolvenza, al fine di conservarne il patrimonio, i posti di lavoro e per tentare in extremis un risanamento. La RDB SpA opera con stabilimenti su tutto il territorio nazionale nel settore dell’edilizia industrializzata in calcestruzzo, occupa circa 874 persone ed è divisa in tre linee di attività: prefabbricati, gasbeton e mattoni faccia a vista, ma in ragione della difficoltà della congiuntura, della progressiva erosione della marginalità e del crollo del fatturato, ha annunciato di dismettere gli asset non strategici e ridurre così i costi operativi. A rischio i lavoratori degli stabilimenti di Bitetto, Occimiano, Lomagna, Osio, Montepulciano, Lomello e Villafranca. Continua l’occupazione del cantiere nel carcere di Uta in Sardegna da parte dei dipendenti della società Opere pubbliche. Una mobilitazione che va avanti dall’aprile scorso contro il mancato pagamento della cassa edile e degli stipendi. I lavoratori, infatti, devono ancora ricevere oltre 100mila euro di arretrati dalla società Opere pubbliche. Inoltre i lavoratori, insieme ai sindacati chiedono il rispetto dell’accordo sottoscritto il 5 settembre scorso nel quale si prevedeva che in caso di mancato versamento di quanto dovuto dalle Opere pubbliche, la società Ciotola (componente dell’associazione temporanea di imprese vincitrice dell’appalto) si sarebbe sostituita nel pagamento di quanto dovuto.
Mobile imbottito. Un decennio fa, circa il 60% dell’intera produzione italiana di sedie, divani e poltrone proveniva dal distretto del mobile imbottito collocato tra la Basilicata e la Puglia, che riusciva, inoltre, a coprire il 16% dell’intera produzione mondiale. Degli oltre 15mila lavoratori impiegati nelle 513 aziende ne restano oggi appena 6mila collocati nelle 163 aziende sopravvissute. Un calo del fatturato vertiginoso. Si è passati da 1,3miliardi a 630milioni di euro. Come riferiscono i sindacati si è registrata una mortalità delle attività produttive dell’80%, ed una conseguente crisi occupazionale di circa 10mila addetti espulsi dalla produzione, mentre la parte restante dei 5mila addetti sono in CIG ed in CIGS destinati in gran parte alla disoccupazione. Mercato in frenata, difficoltà nel credito con le banche, un accordo di programma che resta sulla carta: sono questi i maggiori problemi per il settore.
Tra l’arcipelago delle aziende del mobile imbottito in crisi spicca la vertenza della Natuzzi, l’azienda leader nella produzione di divani e salotti made in Italy, con sede a Santeramo (Matera). L’azienda che occupa 2.700 lavoratori ha richiesto la Cassa Integrazione a zero ore per 1.300 dipendenti. Inoltre, l’azienda vorrebbe ridurre da otto a sei le ore giornaliere di lavoro per tutti i dipendenti in servizio. Allarme anche per la Nicoletti. Il 31 dicembre prossimo il percorso dei 308 ex lavoratori della storica azienda del salotto potrebbero concludersi con la scadenza della CIG in deroga approvata il 5 luglio scorso dal MISE.
Settore ceramica
La crisi economica non risparmia nessun settore produttivo e a farne le spese anche l’industria della ceramica, delle piastrelle e dei materiali refrattari, concentrati prevalentemente nel distretto di Modena, Reggio Emilia, Imola e Faenza e anche la ceramica sanitaria e stoviglierie concentrate prevalentemente nel distretto industriale di Civita Castellana (Viterbo).
E’ proprio nel polo industriale della Tuscia, quello di Civita Castellana, in cui si concentra quasi il 52% della produzione di ceramica sanitaria, che la crisi occupazionale si inasprisce ogni giorno di più. Dopo la perdita di circa 2mila posti di lavoro conseguente alla chiusura delle aziende legate alla produzione di stoviglierie e piastrelle sono oggi in bilico altri 3mila lavoratori e lavoratrici occupati nel settore della porcellana per usi igienici sanitari, che da anni soffrono di un massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali. In particolare, secondo alcuni dati della FILCTEM CGIL di Viterbo, nelle 70 aziende della filiera della ceramica, ben 54 hanno avviato procedure di cassa integrazione, sono coinvolti oltre 2mila lavoratori. La situazione non è migliore nel distretto di Reggio Emilia, in particolare nella provincia di Sassuolo: i forni per piastrelle attivi sono scesi da 641 a 500, gli occupati negli ultimi dieci anni sono diminuiti di 7mila unità, passando da 31mila a 23mila addetti.
Dopo 277 anni di vita, la storica azienda Richard Ginori, che ha arredato la tavola di milioni di Italiani con i suoi servizi di piatti, chiude i battenti, avviando la procedura di Cassa integrazione straordinaria per circa 337 lavoratori (80 impiegati e 257 operai). L’unica speranza è il concretizzarsi della vendita, al momento le aziende interessate a rilevare l’attività di ‘Richard Ginori 1735’ sono due la Sambonet e la Lenox International. La Sanbonet, azienda piemontese, ha annunciato la riassunzione di soli 130 lavoratori su un totale di 330, il mantenimento del decorato a Sesto e il trasferimento dei piatti in Baviera negli stabilimenti Rosenthal e la logistica a Novara. Inoltre, si impegna ad investire 2 milioni di euro per ammodernare la fabbrica fiorentina. La multinazionale americana Lenox invece si impegna a riassorbire il doppio dei dipendenti e ad acquisire il marchio subappaltando la produzione alla Apulum. In questo caso la produzione rimarrebbe a Sesto con la prospettiva di un nuovo stabilimento nell’area nel 2016. Lavoratori e sindacati sono preoccupati.
Commercio e turismo
A subire le conseguenze delle crisi aziendali e delle difficoltà economiche di tante imprese, sono di riflesso, tanti dipendenti del commercio e del turismo. Sono oltre 250 le vertenze nazionali aperte che riguardano aziende presenti su più regioni e più del 55% riguardano il terziario. Trasferimenti di ramo d’azienda, casse integrazioni in deroga e mobilità in deroga sono le procedure più utilizzate, solo nel periodo tra gennaio e giugno 2012, sono stati coinvolti oltre 20mila i lavoratori del terziario e 5mila nel turismo.
Due i casi più eclatanti. Nh Hotel, catena alberghiera multinazionale, che ha dichiarato di voler licenziare su tutto il territorio quasi 400 lavoratori; e Fnac Italia, la catena francese di libri e multimedia che, esclusa dal piano di rilancio della casa madre, rischia di chiudere tutti i punti vendita in Italia, lasciando a casa 600 dipendenti. Tra l’altro, entrambi le aziende sono presenti quasi nelle stesse città: Roma, Napoli, Firenze, Milano. Recente anche l’annuncio da parte della Compass Group, multinazionale della ristorazione collettiva e dei servizi collegati, della mobilità per 824 dipendenti su un totale di 7.941 in Italia. Il gruppo conta 360mila dipendenti nel mondo ed opera nel nostro paese con marchi come Eurest (ristorazione aziendale); Medirest (ristorazione sanitaria); Scolarest (scolastica); Eurest service (servizi di supporto); Ristomat e Lunch time (buoni pasto).
Banche
Se l’industria in Italia è al collasso, il quadro non migliora in ambito bancario. Sono ancora molte le vertenze aperte in attesa di soluzione e che riguardano migliaia di lavoratori in esubero (circa 20mila) e 13mila ‘esodati’. Nei prossimi tre anni è prevista la chiusura di circa 2.700 sportelli.
Le prime difficoltà si sono presentate nel 2005 con gli accorpamenti e le acquisizioni che hanno cambiato radicalmente i modelli organizzativi del settore creditizio, una fase di cambiamento alla quale si è sommata la crisi economica. Per dare un’idea dello stato del settore riportiamo gli esuberi per ogni Gruppo bancario previsti fino al 2015: Gruppo Monte dei Paschi di Siena 4.600 esuberi; Gruppo Ubi 1578 esuberi; Gruppo Intesa Sanpaolo 5.000 esuberi; Gruppo Bper 450 esuberi; Banca Popolare di Bari 250 esuberi; Credito Valtellinese 150 esuberi; Gruppo Banco Popolare 1.000 esuberi; Gruppo Unicredit 800 esuberi; Gruppo Bnl Bnp Paribas 370 esuberi; Banca Etruria 200 esuberi; Veneto Banca 246 esuberi; Gruppo Popolare di Milano 700 esuberi; Gruppo Cariparma Crèdit-Agricole 360 esuberi.
Agroindustria
In Italia assistiamo al dramma anche nel settore della Forestazione che occupa oltre 60mila lavoratori su tutto il territorio nazionale di cui circa 58mila (il 93%) concentrati nel sud d’Italia (Sicilia 49%; Calabria 15%; Sardegna 10%; Campania e Basilicata 8%; Puglia 2,5%). Si tratta di una vertenza nazionale, che come si vede dai numeri coinvolge in maniera forte il Meridione e le Isole.
I lavoratori forestali rappresentano una ricchezza di cui l’Italia avrebbe grande bisogno se consideriamo la natura del territorio, il patrimonio boschivo, l’uso delle acque, la tutela da incendi e alluvioni. Basti pensare che in periodo estivo se si taglia sulla cura dei cigli delle strade e della manutenzione dei boschi il risultato sono incendi dalle conseguenze devastanti. Lo stesso se pensiamo alla condizione di abbandono in cui versano vaste aree del paese, da Nord a Sud, per le quali fenomeni di dissesto idrogeologico rappresentano la norma. Prevenzione, tutela e cura del territorio, attraverso il lavoro dei forestali, sarebbe già una delle ricette per arginare la crisi.
In molte regioni i forestali non percepiscono gli stipendi anche da 15 mesi. Ad esempio in Campania gli oltre 4mila lavoratori idraulico forestali, nonostante siano da 15 mesi in attesa di stipendio, sopperiscono alla mancanza di manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio. Si tratta di una vertenza lunga e difficile, che non vede risposte adeguate da Regione e Comunità montane. Simile la situazione in Sicilia.
In Sardegna l’Ente Foreste della Sardegna ha alle sue dipendenze circa 7mila addetti, tra tempo indeterminato e tempo determinato. E la Regione, se da un lato non stabilizza i lavoratori semestrali, dall’altro trova i fondi per aprire cantieri verdi nei comuni senza un progetto ed una pianificazione precisi, si assiste così ad interventi estemporanei e disorganici che non danno lavoro vero e duraturo, anzi creano precarietà, e non programmano una gestione e valorizzazione del territorio.
Nel settore agricolo la situazione è aggravata dai contratti provinciali di lavoro agricoli (CPL): circa 100 contratti aspettano di essere rinnovati da dieci mesi (sono scaduti il 31 dicembre 2012), riguardano gli operai agricoli e della cooperazione. I lavoratori impiegati nel lavoro agricolo sono oltre 1 milione. La richiesta del sindacato è un aumento salariale medio del 6% in modo da far recuperare ai lavoratori potere d’acquisto salariale.
Alla Parmalat è recente la firma di un accordo con i sindacati dopo l’annuncio del nuovo piano industriale di ristrutturazione che prevedeva la chiusura di tre siti produttivi (Genova, Como e Pavia) e l’esubero di 30 lavoratori a Collecchio per un totale di 120 posti di lavoro a rischio. Il nuovo accordo prevede un piano di investimento per 180 Mln € in tre anni per un aumento dei volumi prodotti pari al 4%; inoltre è previsto un importante investimento di 10 Mln € nel sito di Collecchio a Parma con una nuova linea per la produzione di bottiglie per latte Uht. Per quanto riguarda la chiusura dei tre siti è stato concordato un piano sociale che prevede il ricorso alla cassa integrazione per cessazione attività. 30 nuovi posti di lavoro verranno messi a disposizione negli stabilimenti dell’Azienda di Lactalis. Il suddetto piano sociale prevede una serie di incentivi ai lavoratori per favorire la collocazione, e per quanto riguarda i lavoratori del sito di Genova, la Parmalat si impegna, di fronte a nuove iniziative imprenditoriali che dovessero acquisire lo stabilimento, ad inserire nel contratto di vendita la clausola di riassunzione dei dipendenti in cassa integrazione.
La Cargill, multinazionale americano-olandese leader mondiale nella produzione di mangimi e amido di mais, ha annunciato un programma di ristrutturazione che prevede chiusure e licenziamenti su tutto il territorio nazionale. Nei giorni scorsi lo stabilimento di Vigonza (Padova) ha chiuso i battenti lasciando a casa 31 dipendenti che andranno in Cassa integrazione a zero ore per due anni.
Telecomunicazioni
La crisi economica e occupazionale non risparmia il settore delle telecomunicazioni le cui crisi e processi di riorganizzazione interessano un gran numero di lavoratori. Una crisi che è destinata a peggiorare nei prossimi mesi in quanto tutti i gestori registrano cali evidenti di fatturato che si ripercuoteranno su processi di ristrutturazione\riorganizzazione e su processi di ulteriore delocalizzazione e\o internalizzazione che non potranno non avere risvolti sugli appalti.
Alla Teleperformance 350 lavoratori saranno licenziati a fine anno nella sede di Roma; 130 esuberi sono già stati dichiarati nella sede di Parco Leonardo, mentre a Taranto 1700 persone sono in Cassa integrazione in deroga sino al 31 dicembre, nel frattempo l’azienda ha avanzato la richiesta di ridurre l’orario di lavoro. Ericsson ha aperto le procedure di licenziamento per 374 lavoratori ed ha avviato la cessione di due rami d’azienda. La Vodafone ha licenziato le prime 32 persone di Comdata Care reintegrate dal giudice ed ha avviato le procedure per ulteriori 100 persone anch’esse reintegrate. Fastweb ha ultimato la cessione di parte della rete e del Customer per un totale di circa 600 persone. Sielte ha firmato la Cassa Integrazione per un massimo di 500 persone su tutto il territorio nazionale. Almaviva ha in corso i contratti di solidarietà sulla sede di Palermo (circa 4mila dipendenti) ed ha aperto la procedura di CIG per cessazione di attività (chiusura della sede romana di via Lamaro) mettendo in serio rischio l’occupazione di 632 lavoratori. Alla Telecom sono ancora in essere i contratti di solidarietà su buona parte del perimetro; a novembre terminerà l’operazione di “societarizzazione” del ramo IT e verranno trasferiti sotto la controllata SSC circa 2200 lavoratori. 4You ha inviato le lettere di licenziamento a 100 lavoratori di Palermo. Ceva Logistic (esternalizzata Telecom) ha licenziato 33 lavoratori a seguito del ridimensionamento della commessa Telecom.
Per quanto riguarda i servizi postali di ‘Poste Italiane’ messi a dura prova dai nuovi e veloci mezzi di comunicazione come e-mail, web e social network, registrano un calo del personale pari al 30%. Tuttavia, il progetto di riorganizzazione presentato nei mesi scorsi da Poste Italiane è stato sospeso grazie ad un accordo raggiunto tra azienda e sindacati. Gli esuberi nelle prime 5 regioni interessate (Toscana, Piemonte, Marche, Emilia Romagna e Basilicata) sarebbero stati 1763 nei settori ‘operazioni e recapito’ e avrebbero raggiunto i 10mila su tutto il territorio nazionale su un totale di 144mila dipendenti in Italia. Inoltre l’azienda avrebbe sospeso la chiusura dei 1.200 uffici postali, su 14mila esistenti. Ora si attende il raggiungimento di un accordo complessivo entro il 2012.
ICT
Anche il settore dell’ICT si scontra con la dura realtà della crisi economica che sta interessando il nostro Paese e con lo spettro dei licenziamenti. Prosegue l’operazione di delocalizzazione della Nokia-Siemens verso il Portogallo per la parte assistenza e in Cina, India, Finlandia per la parte ricerca, prosegue quindi l’operazione di smantellamento delle sedi italiane del colosso dell’ICT. L’azienda ha infatti annunciato una riduzione del personale di circa il 53% che si abbatterà sui 580 lavoratori dislocati nelle due sedi di Milano (oltre 800), a Roma (120) e nelle più piccole sedi di Napoli, Catania e Palermo. Di questi, 150 hanno accettato tra luglio ed agosto di andare via grazie agli incentivi all’uscita. Gli altri proseguono la loro lotta finchè non verranno ritirati i licenziamenti e non verrà garantito il mantenimento delle attività in Italia. Altro caso è quello della Ericsson Telecomunicazioni la quale ha dichiarato a livello nazionale oltre 374 esuberi di cui ben 94 nella sola sede di Genova. Il 1° ottobre è saltato l’accordo tra parti sociali ed Ericsson sui tagli, nonostante la mediazione del ministero del Lavoro. La multinazionale svedese ha confermato gli esuberi già annunciati. Il ministero, preso atto dell’impossibilità di raggiungere un’intesa condivisa tra le parti, ha dichiarato conclusa, con mancato accordo, la procedura di esame congiunto. Il piano era stato reso pubblico il 12 luglio. Il 3 ottobre si è svolta a Genova un’assemblea dei lavoratori. Il settore dell’ICT è segnato purtroppo da un’altra grande vertenza quella dell’Alcatel Lucent, l’azienda dopo aver annunciato 490 esuberi ha deciso, grazie alle pressioni del sindacato, di ridurre il numero a 245 su un totale di 2.100 addetti. In particolare si sta cercando di salvare gli ingegneri della fibra di Vimercate (Lombardia). Una soluzione che è stata condivisa al Tavolo al ministero tra azienda, sindacati e governo. Tuttavia è ancora da siglare l’accordo finale per il piano di rilancio dell’azienda. Ancora da definire il tema degli ammortizzatori sociali da attivare in un’ottica di reinserimento delle persone e non della fuoriuscita. Infine, ancora attendono risposte i circa 1.000 lavoratori della Sirti. L’azienda che si occupa di istallazioni telefoniche ha infatti annunciato 1.000 esuberi su un totale di 4mila dipendenti a livello nazionale. Sindacati e azienda sono in cerca di un accordo per l’estensione degli ammortizzatori sociali per rendere meno impattante possibile l’esigenza di contenimento dei costi. I sindacati hanno avanzato diverse proposte, che vanno dai contratti di solidarietà per tutti, ad una maggiore rotazione della Cassa integrazione straordinaria per 12 mesi che attualmente riguarda 622 lavoratori.
Elettronica
Il Tribunale di Frosinone ha dichiarato il fallimento della Vdc Technologies di Anagni, ex leader mondiale nella produzione di cinescopi passata sette anni fa dai francesi Thompson agli indiani Videocon. Sono 1.350 i lavoratori a rischio e attualmente in Cassa integrazione straordinaria per crisi aziendale fino a dicembre e per i quali è stata richiesta la proroga della CIG almeno fino a giugno 2013. A subire le conseguenze del fallimento Videocon anche le imprese dell’indotto come la Cervino di Anagni, anch’essa dichiarata fallita ha lasciato a casa 60 lavoratori
Siderurgia
Il metallurgico/siderurgico è un settore che versa in una situazione drammatica con moltissime aziende sparse su tutto il territorio nazionale sull’orlo del fallimento e migliaia di posti di lavoro a rischio. Ma non solo, ad essere in pericolo è la sopravvivenza di intere filiere, come quella dell’alluminio in Sardegna e dell’acciaio (Ilva e ThyssenKrupp). Eppure il siderurgico è un settore il cui prodotto è alla base dello sviluppo dell’industria manifatturiera italiana.
Tra i territori maggiormente interessati dalla crisi del settore vi è la Sardegna dove l’area del Sulcis Iglesiente insieme alla zona di Portovesme costituisce l’unico territorio dove la filiera dell’alluminio è completa, si va dal primario al terziario. Il Sulcis risulta essere uno dei territori maggiormente martoriati da una crisi che sta divenendo dramma sociale. Se non si troverà una soluzione l’Alcoa di Portovesme chiuderà il 1° novembre e circa mille lavoratori tra diretti e dell’indotto rimarranno a casa. Ad oggi sarebbero tre le offerte presentate per l’acquisizione dello stabilimento sardo, dopo l’uscita di scena della Glencore nei giorni scorsi. Da risolvere l’annosa questione del costo dell’energia per la quale la Commissione Europea ha concesso una proroga fino al 2015 della superinterrompibilità che porta a 35 euro/mwh il costo dell’energia in Italia, ma rimangono da sciogliere i nodi del costo delle bonifiche ambientali e della tutela dei livelli occupazionali. Eurallumina ferma ormai da tempo è ancora in attesa di una soluzione. La situazione non migliora in Toscana dove nel polo siderurgico della Val di Cornia sono impiegati circa 5mila lavoratori tra diretti e indiretti. Forte preoccupazione per le acciaierie Lucchini della Severstal con criticità finanziarie e industriali dove si è fatto ricorso ai contratti di solidarietà per 12 mesi per i 1.943 lavoratori. Per quanto riguarda l’altoforno di Piombino i nodi da sciogliere sono tre: il costo delle bonifiche, la realizzazione di infrastrutture strategiche e il costo dell’energia. Annunciata la chiusura anche delle acciaierie Beltrame di Porto Marghera per un totale di 119 posti a rischio attualmente in CIG. Ad agosto l’azienda ha annunciato di non voler portare a termine il piano di investimenti presentato precedentemente e di voler interrompere la Cassa integrazione per aprire procedure di mobilità per i lavoratori. A Terni la decisione di Outokumpu nell’ambito del piano di acquisizione del settore Inoxum della ThyssenKrupp, di vendere lo stabilimento ternano Tk-Ast, esclusa la linea di produzione a freddo BA2 e il Tubificio, coinvolge circa 2mila lavoratori per i quali si apre una fase di grande incertezza. I sindacati rifiutano l’ipotesi di una soluzione “spezzatino” e chiedono a gran voce che venga mantenuta l’integrità del sito ternano in tutte le sue produzioni e articolazioni (Ast, Sdf, Terninox, Tubificio, Titanio), comprese le ditte terze e il sistema degli appalti. Inoltre di fondamentale importanza è il mantenimento della missione industriale internazionale e dei livelli occupazionali.
Ad infliggere un possibile ulteriore duro colpo alla crisi e all’occupazione del settore siderurgico in Italia è la complessa questione dell’acciaieria Ilva di Taranto. Lo scorso 25 luglio il Tribunale di Taranto ha deciso il sequestro di alcuni impianti dell’acciaieria per il reato di disastro ambientale, ma da allora, gli impianti non si sono mai fermati benchè il provvedimento giudiziario ne impedisca l’uso a fini produttivi.
E’ prevista per il 18 ottobre la conferenza di servizio che dovrà approvare in via definitiva l’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’Ilva di Taranto, il provvedimento che fissa le prescrizioni ambientali e impiantistiche cui l’impianto siderurgico dovrà attenersi per continuare a produrre. L’Aia in via di approvazione sarebbe centrata sulla drastica riduzione di tutte le emissioni nocive nell’aria, ritenute in questa fase il primo problema da affrontare, demandando ad atti successivi gli ulteriori aspetti ambientali. Inoltre l’Aia contiene tutte le prescrizioni indicate dal gip nel provvedimento di sequestro, tranne l’ipotesi di chiusura: 168 su 169.
Energia
In grande difficoltà il settore dell’energia con l’Eni che ha fermato per 10 mesi due delle tre linee di produzione della raffineria di Gela in Sicilia e messo 400 lavoratori in Cassa integrazione a rotazione, dove possibile. Lo stop riguarda la linea 1 (Topping 1 – Coking 1) e la 3 (Vacuum – Fcc). Tuttavia Eni in un accordo con i sindacati ha confermato investimenti per 480 milioni di euro nel quadriennio 2012-2015. Nella Sardegna Centrale drammatica la situazione per Ottana Energia unico impianto a produrre energia a vapore ed elettrica in quell’area. Attualmente, la centrale che da lavoro a circa 500 persone tra diretto e indotto, ha marciato a ciclo ridotto dopo che Terna, grande gruppo per la distribuzione di energia in Italia, ha deciso lo scorso aprile di non acquistare più elettricità dalla centrale in quanto ritenuta non strategica. Il futuro di Ottana Energia è legato anche alla realizzazione del progetto Galsi, metanodotto di importazione di gas dall’Algeria all’Italia via Sardegna, la cui mancata realizzazione rende necessaria la ricerca di una soluzione alternativa per fornire gas a Sicilia e Sardegna due regioni che ne sono sprovviste. Nota positiva nella vicenda è l’avvio della richiesta (i cui necessari passaggi sono già stati attivati) del regime cosi detto di essenzialità per la centrale di Ottana e la costituzione di un gruppo di lavoro, sindacati inclusi, che studierà le prospettive di medio e lungo periodo dell’area di Ottana. A risentire della complicata vicenda anche la vicina Ottana Polimeri produttrice di PET e PTA oltre a tante realtà dell’indotto. Mentre per Ansaldo energia si sta decidendo per la vendita annunciata da Finmeccanica. Tra i favoriti ci sarebbe la tedesca Siemens, ma nei giorni scorsi si è dimostrato interessato all’acquisto anche il Fondo Strategico Italiano (FSI) attraverso la costituzione di una cordata a maggioranza italiana.
Chimica
Proseguono le azioni di protesta eclatanti da parte dei lavoratori del settore chimico, a partire dalla ormai esasperante situazione della vertenza Vinyls produttrice di PVC da anni in attesa di una soluzione per i siti di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna. I 150 lavoratori del sito di Porto Marghera attendono ancora la cessione di ramo d’azienda e la riconversione industriale ad opera dell’Oleificio Medio Piave per la produzione di olii vegetali, farine e biodiesel. Nell’ultimo incontro al Ministero dello sviluppo economico è stato dato un ultimatum di 30 giorni all’Oleificio per concludere la trattativa, dopodichè verrà dichiarato il fallimento. Nello stesso incontro è stato assicurato a breve il pagamento delle retribuzioni di agosto e settembre per gli operai che, proprio la scorsa settimana, sono saliti sul campanile di San Marco per protestare contro il mancato pagamento della retribuzione da ben sei mesi nonostante siano costretti ad andare al lavoro per le operazioni di manutenzione dell’impianto previste dalla legge. Alla Vinyls di Porto Torres si è ancora in attesa di un compratore. La Nuova Pansac, azienda leader nella produzione di materie plastiche ha stabilimenti a Marghera, Mira, Zingonia, Ravenna e Portogruaro, attualmente è in amministrazione straordinaria. Nei giorni scorsi l’ex patron Fabrizio Lori è stato arrestato per bancarotta fraudolenta per un buco di 40 milioni ai danni dell’azienda. Si cercano acquirenti per salvare l’azienda e i 735 lavoratori in CIG straordinaria per tutta la durata dell’amministrazione, con la mobilità accessibile solo su base volontaria. Intanto è stato pubblicato dal commissario straordinario l’estratto di avviso per la vendita dei complessi aziendali. A Terni prosegue la trattativa per l’acquisto e il rilancio dell’area di proprietà della Basell da parte di TerniResearch. Intanto, il 30 giugno sono usciti dallo stabilimento gli ultimi lavoratori per i quali dal 1° luglio è scattata la mobilità. In totale sono 70 i lavoratori rimasti senza occupazione.
La Evotape azienda di santi Cosma e Damiano in Piemonte, produttrice di nastri adesivi per l’imballaggio, nastri stampati e stampabili ha licenziato 130 persone e dichiarato il fallimento.
Farmaceutico
La crisi del comparto Farmaceutico, con i maggiori poli nel Lazio, Piemonte e Toscana è data dalla scelta delle grandi multinazionali di delocalizzare verso mercati economicamente più convenienti. Un disinvestimento che non riguarda solamente la fase produttiva ma soprattutto i reparti di ricerca e sviluppo. La situazione del comparto è stata ulteriormente aggravata dal varo del recente decreto Balduzzi che impone ai medici di famiglia di scrivere nella ricetta il nome del principio attivo anzichè il nome commerciale del prodotto. Sono tante le aziende del settore farmaceutico investite da forti ridimensionamenti, la Sigma Tau di Pomezia ha messo in Cassa integrazione circa 500 lavoratori; alla Pfizer dopo l’annuncio dell’apertura delle procedure di mobilità per 83 lavoratori nello stabilimento di Ascoli Piceno, su un totale di 576 addetti, il colosso farmaceutico ha richiesto al Ministero l’attivazione della CIG straordinaria per circa 70 dipendenti della fabbrica marchigiana per 2 anni; alla Corden Pharma di Sermoneta (Latina) sono 171 le persone che lasceranno il posto di lavoro al termine di un anno di Cassa integrazione, alcuni di essi potranno volontariamente affrontare un percorso di riqualificazione e formazione professionale per il reinserimento in altre aziende oppure accedere alla mobilità con una serie di incentivi. I 500 dipendenti che rimarranno avranno l’incarico di rilanciare il sito di Sermoneta. Corden ha anche deciso di esternalizzare i dipendenti del servizio Security. E’ recente l’annuncio di una procedura di riduzione del personale da parte della società ‘Takeda Italia Farmaceutici’ (Roma) per 170 lavoratori e dalla “Nycodem” (Milano) con 124 esuberi (294 in totale) su un totale di 773 lavoratori. Takeda, azienda farmaceutica giapponese con sede a Roma ed uno stabilimento produttivo in provincia di Novara ha acquistato la Nycomed di Milano dando origine ad un piano di riorganizzazione che ha prodotto i suddetti esuberi di personale. La Menarini, multinazionale del settore farmaceutico con base a Firenze, ha annunciato nei giorni scorsi mille esuberi in tutta Italia su un totale di 3.600. Lavoratori e sindacati sono in stato di agitazione.
Tessile e moda
L’economia arranca e le imprese decidono di delocalizzare all’estero dove la manodopera costa meno a discapito dei lavoratori con sempre meno diritti. Sono i meccanismi che hanno messo in ginocchio il settore tessile e della moda, con fabbriche che chiudono per sempre o vanno all’estero in cerca di risparmio. Nel settore ci sono decine di piccole aziende di conto terzisti che stanno chiudendo con diverse migliaia di lavoratori, soprattutto donne, che perdono il posto.
La Sixty di Chieti è stata acquistata lo scorso luglio da un fondo di investimento Cinese Crescent Hyde Patk Opportunities Fund con sede legale alle isole Cayman il quale ha preso il controllo della Sixty Spa tramite l’acquisto del 100% delle azioni di Sixty S.A società holding e di Sixty International titolare dei marchi, entrambe con sede legale in Lussemburgo. Dopo la risposta positiva per la domanda di concordato preventivo (3 ottobre), sono stati dati all’azienda 90 giorni per presentare il piano di ristrutturazione dei debiti. Intanto però, lo scorso 16 ottobre, durante un incontro al MISE, la Crescent ha manifestato alle parti sociali e alle Istituzioni locali l’intenzione di costituire una New company che dovrebbe consentire di raggiungere il piano di ristrutturazione dei debiti. Una proposta che per il sito produttivo di Chieti si traduce in una perdita occupazionale secca di 350 lavoratori sui 400 attualmente occupati e in cassa integrazione straordinaria per crisi. Oltre al taglio occupazionale previsto sul sito produttivo di Chieti, il piano enunciato prevede la chiusura di circa 40 dei 61 negozi di Sixty attualmente aperti nel territorio italiano determinando in tal modo un ulteriore perdita occupazionale di circa 250 addetti. Nel complesso sui circa 800 lavoratori occupati nel nostro paese la nuova proprietà ne vuole licenziare 600.
Alla Eco Leather di Monopoli (Puglia) azienda attiva nella produzione e commercializzazione di pelli bovine finite per il settore auto, arredo, calzature e pelletteria, a rischiare il posto sono circa 90 lavoratori del reparto taglio. Forte il rischio di una delocalizzazione in Romania. I 202 lavoratori della Miroglio Filatura e Tessitura di Puglia di Ginosa (Taranto) sono in Cassa integrazione in deroga fino al 31 dicembre. Si tratta dell’ultima deroga dopodichè, se non si troverà una soluzione, scatterà il licenziamento. L’azienda con sede ad Alba ha chiuso nel 2004 lo stabilimento di Castellaneta e nel 2009 quello di Ginosa a causa della crisi di mercato, la concorrenza internazionale e la delocalizzazione di diverse unità produttive all’estero. Il confronto tra le parti sociali, avviato da subito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, ha visto accrescere nel corso degli anni le difficoltà nel trovare soluzioni credibili. Ad oggi rimane sul tavolo un progetto di parziale reindustrializzazione non ancora pienamente definito in tutti suoi aspetti che potrebbe però occupare solo una sessantina di lavoratori.
Risale a oltre due anni fa la decisione del gruppo Golden Lady di trasferire la produzione in Serbia chiudendo gli stabilimenti in Italia e lasciando a casa tantissime lavoratrici. Lo storico stabilimento Golden Lady di Gissi (Chieti) che occupava più di 300 dipendenti è passato al gruppo marchigiano Silda Invest Spa (Del Gatto) e New Trade di Prato. Il primo operante nel settore delle calzature di lusso riassumerà 220 dipendenti, mentre il secondo che si occupa di ricondizionamento di indumenti riciclati ne assorbirà 115 a partire da fine ottobre 2012. Le assunzioni sono partite il 1° luglio, così come i corsi di formazione on the job per le 250 future lavoratrici Silda che hanno ottenuto 24 mesi di Cassa integrazione per ristrutturazione.
Alla OMSA Golden Lady di Faenza è stata trovata una soluzione positiva anche se parziale della situazione occupazionale. La vertenza, iniziata nel 2009, coinvolgeva 340 lavoratori, il cui numero nel corso della trattativa, grazie all’utilizzo dei diversi strumenti previsti dalla legge è sceso a 229. Attualmente è in atto la riconversione da parte della Atl group (da filati a complementi di arredo) che dovrà produrre divani per la committente Poltronesofà. Il piano prevede la riassunzione con contratto a tempo indeterminato di 145 lavoratrici la cui ricollocazione in ATL Group sarà accompagnata da un percorso di riqualificazione professionale. A regime l’accordo produrrà tutti i suoi effetti positivi sui livelli occupazionali a febbraio 2013. Tuttavia, resta ancora aperto il problema della ricollocazione delle ulteriori 84 lavoratrici attualmente in cassa integrazione in deroga il cui reimpiego è condizionato da progetti che ancora non hanno trovato soluzione.
Molto complicata la vertenza Ferrè che nel corso degli anni, ha seguito numerosi cambiamenti gestionali le cui scelte non hanno prodotto risultati positivi, portandola inevitabilmente all’amministrazione straordinaria. La vendita del marchio alla famiglia Sankari invece di risolvere i problemi aziendali rilanciando il valore e il prestigio del marchio Ferrè ha dato il via ad una lenta e costante destrutturazione dell’organigramma e della relativa organizzazione. Tale situazione rischia di portare alla chiusura i siti di Bologna e Milano con la conseguente perdita di circa 100 posti di lavoro caratterizzati da alte professionalità e competenze del settore del sistema moda italiano. Ad oggi la vertenza è ancora oggetto di confronto tra le parti presso il Ministero dello Sviluppo Economico.
Trasporti
Numerose le aziende in crisi anche nel settore dei trasporti aereo, ferroviario, marittimo, merci e pubblico locale. Nel trasporto aereo sono 6.500 gli addetti in cassa integrazione distribuiti su tutto il settore tra le compagnie aeree (Alitalia, Windjet, Meridianafly, Bluepanorama), le aziende di handling, di catering e di manutenzione aeromobili. Di questi lavoratori oltre 4mila della vecchia Alitalia entrano ad ottobre in mobilità. Da fine settembre al Ministero dei Trasporti si è avviato il tavolo sul settore. Alitalia ha presentato un nuovo piano che prevede circa 690 esuberi con un risparmio per circa 30 milioni di euro. Nello specifico gli esuberi riguarderebbero 300 assistenti di volo, 300 dipendenti dello staff di terra e 90 nella manutenzione. Sindacati chiedono il ritiro del piano. Per quanto riguarda il trasporto ferroviario nel cambio di appalto del dicembre 2011 relativo ai treni notte ed ai servizi connessi di pulizia e logistica non sono stati assorbiti tutti gli addetti del precedente appalto delle società Servirail, Wasteel ed RSI e tuttora circa 450 lavoratori sono in esubero e disoccupati. Più in generale in tutti gli appalti del Gruppo Ferrovie dello Stato si registra una contrazione dei servizi, soprattutto nel trasporto locale con conseguente esubero del personale. Nel settore marittimo conseguentemente al calo nel traffico dei collegamenti marittimi con la Sardegna, la Sicilia, la Spagna ed il Nord Africa, la crisi ha colpito Compagnia Grandi Navi Veloci, specializzata nei ‘traghetti da crociera’ con un debito che ammonta a 390 milioni e per la quale è in via di definizione un piano di salvataggio che prevede 600/700 esuberi tra marittimi e amministrativi, oltre alla messa in vendita di navi della compagnia.
Numerose le crisi aziendali e di cooperative anche nel settore del trasporto merci, logistica e spedizioni, a seguito della contrazione del lavoro nella movimentazione delle merci e delle attività di logistica e facchinaggio, tra le principali: AWS che ha cessato le attività di corriere espresso lasciando i 114 lavoratori diretti senza stipendio e senza ammortizzatori sociali in attesa della nomina del curatore fallimentare. Per la LOGICOOP a seguito della cessazione dei servizi di trasporto e di facchinaggio della cooperativa a partire dal 15 settembre si è aperta la procedura di mobilità per 209 addetti. La SDA corriere espresso, di proprietà del Gruppo Poste Italiane, ha aperto a fine settembre la procedura di mobilità per 114 dipendenti a seguito della contrazione delle lavorazioni.
La situazione non migliora se si guarda al trasporto pubblico locale dove le aziende regionali subiscono i danni dei tagli delle risorse destinate al settore da parte della regione.
Attualmente circa 2mila lavoratori usufruiscono degli ammortizzatori sociali ricorrendo alla cassa integrazione in deroga ed ai contratti di solidarietà. La Campania risulta essere la regione più colpita con circa 500 addetti interessati a seguito di crisi e fallimenti di aziende.