Dopo l’allarme EFSA cresce l’attenzione alla riformulazione delle ricette industriali in versione palm oil free, allo scopo di abbandonare lo scadente e pericoloso grasso tropicale. Al contrario di quanto dichiara una certa parte dell’industria alimentare, eliminarlo dalle ricette è un’operazione a portata di mano. Come? Reintroducendo olio extravergine di oliva, olii monosemi o burro. Grassi tipici della tradizione italiana e mediterranea.
Gli oli ricavati dalla palma rappresentano un terzo della produzione mondiale di grassi. A febbraio la distribuzione annua si è attestata su 66,22 milioni di tonnellate per l’olio di palma e 7,33 milioni per l’olio di palmisto. E l’Italia è tra i primi paesi in Europa nelle importazioni. Secondo l’Istat dal 2011 al 2015 è passata da 274 a 821.000 tonnellate, facendo registrare un + 300%.
Come riporta il sito great italian food trade, fondato dall’avvocato Dario Dongo, esperto di diritto alimentare, oggi, eliminarlo richiede essenzialmente la volontà di farlo. Per allontanarsi dall’impiego di grasso di palma, le grandi aziende si possono muovere velocemente, perché hanno le conoscenze necessarie. Le piccole meno, perché spesso non hanno in casa le soluzioni.
Infatti, quando si è trattato di eliminare i grassi idrogenati (grassi trans) dalle ricette, il grasso di palma si è offerto come alternativa per due ragioni. Era facile adottarlo, quindi a portata di mano anche per le aziende che non avevano grandi capacità di formulazione delle ricette. Ma soprattutto era molto economico, l’ideale per chi voleva risparmiare. Come se ne esce?
Coop Italia ha annunciato che lo farà sparire da tutti i suoi prodotti a marchio entro pochi mesi, sostituendolo con olio di oliva e olii monosemi, come ha già fatto per la linea biologica e per le linee dedicate ai più piccoli. E si perché l’olio di palma è spesso presente perfino negli alimenti per neonati.
Tra furbizia e ingenuità, il rischio che il cambiamento sia solo di facciata è concreto.”Se in un croissant farcito con crema di cacao viene sostituita la margarina (che contiene per l’80% palma) ma la farcitura è con una crema che contiene palma siamo da capo”, osserva Massimo Ambanelli di HiFoods, che aggiunge: “La cosa più grave è che l’ignoranza porta a sostituire il palma con altri grassi persino peggiori, come l’olio di cocco”. Con quali grassi sostituire l’olio di palma è il tema del momento:
Burro, olio di oliva, olio di girasole?
“In certi casi il burro è un’ottima soluzione, sebbene non migliori il profilo nutrizionale del prodotto. In termini di grassi saturi, palma e burro sono comparabili, inoltre il burro è di origine animale, c’è chi preferisce evitarlo”.
L’olio di oliva, ottimo prodotto, icona italiana, non è sempre l’ideale. “Oltre ad avere una ridotta quota di grassi saturi (14% circa) è una ‘primadonna’, si fa notare per il gusto molto caratterizzante, che può tradursi in vantaggio o svantaggio. Inserito in pane, cracker, grissini può essere al posto giusto. Ma non rappresenta l’alternativa al grasso di palma se altera il profilo organolettico del prodotto a cui è abituato il consumatore”.
L’olio di girasole, caratterizzato da note più tenui, sembra il candidato ideale, a giudicare dalla frequenza con cui è inserito in ricetta al posto del palma. “In confronto all’olio di oliva è più facile usarlo. È altamente oleico, ha toni organolettici compatibili e costo abbordabile. Ma da solo non sostituisce il palma. Richiede soluzioni tecnologiche”.
Olio e fibre…
L’olio di girasole sembra insomma il protagonista ideale nella sostituzione del palma con oli vegetali, non idrogenati e privi di grassi saturi. Ma non è l’unico. “Noi percorriamo la strada della combinazione di oli vegetali con fibre naturali, lavorate in modo da legare perfettamente olio e acqua e sostituire egregiamente l’olio di palma. Una soluzione accessibile anche alle aziende più piccole”.
La scelta del tipo di olio è condizionata da due criteri. “Deve essere privo di grassi saturi e sostenibile, vale a dire ottenuto con metodi naturali (senza solventi) e locale. Ciò significa che in Italia è il girasole, in Nord Europa l’olio di colza, in Uruguay l’olio di riso”.
Altre tecniche prevedono l’impiego di enzimi che migliorano le prestazioni dell’impasto. Una pratica possibile, ma troppo “chimica” e tecnologica per lo stile di HiFoods, estremamente attenta alla natura dei suoi ingredienti. Per le fibre, per esempio, al centro di diversi processi di sviluppo di “nuovi” ingredienti, oltre all’estrazione senza solventi, è degna di nota anche la provenienza da materiali di scarto. Buccia di patate, crusca di riso, bucce di pomodoro, alghe. Tutte fibre con proprietà di grande utilità, che svolgono al meglio le stesse funzioni necessarie all’industria alimentare, troppo spesso affidate ai vari additivi, conservanti, emulsionanti, umettanti, stabilizzanti, identificati dalla sigla E…
Quanto costa abbandonare il grasso di palma?
Valutato con l’unico criterio del profitto, il palma è imbattibile. È il grasso più economico in assoluto, funziona a meraviglia negli impasti e ha la massima efficienza in termini di resa. Quanto costa abbandonarlo? “Ipotizzando un’incidenza delle materie prime del 30% sul prezzo di un prodotto, adottare un ingrediente che costa il 20% in più comporterebbe un aumento dei costi del 6%. Un rincaro che sarebbe immediatamente riversato sul prezzo di vendita, rendendo il ‘palm free’ disponibile solo ai consumatori più abbienti. Inaccettabile. Il nostro obiettivo è mantenere l’incremento dei costi tra l’1 e il 2%. Perché la soluzione deve essere per tutti, non solo per le élite”.