Il debito pubblico italiano ad oggi è di 1.946 miliardi di euro, il 120 per cento rispetto al Prodotto interno lordo.
Dividendo i 1.946 miliardi di euro di debito pubblico italiano (al 28 maggio 2012) per i 60 milioni di cittadini ne deriva un debito personale per ognuno, ognuna di noi di 32.400 euro. Chi possiede il credito? Piccoli risparmiatori? Principalmente Italiani? No. Secondo i dati della Banca d’Italia solo il 13 per cento del debito italiano è posseduto da privati residenti in Italia, il 26,8 per cento è nelle mani di “istituzioni finanziarie monetarie” (banche, fondi comuni), il 13,5 per cento da assicurazioni e fondi pensione, il 3,65 per cento direttamente dalla Banca d’Italia e il 43 per cento è nelle mani di soggetti non residenti, cioè all’estero, presumibilmente grandi istituzioni finanziarie. Quindi perché noi dobbiamo pagare il debito?
Non paghiamo il debito. Tra le obiezioni fondamentali al non pagamento del debito, ovvero alla moratoria e al congelamento degli interessi, vi sono quelle che provengono dal mondo delle banche, del grande capitalismo e della finanza e che, ovviamente, si dicono contrarie alla proposta perché vi vedono minacciati i propri interessi. Ve ne sono però anche altre che provengono da sinistra. Ne utilizziamo tre…
1) il “default” sarebbe pagato dalla popolazione e da lavoratori e pensionati. Il problema sarebbe però ovviato da un atto, sovrano, di moratoria – e non di fallimento, “default” – da cui sarebbero esplicitamente esclusi quei settori da proteggere proprio in virtù degli interessi della collettività. Ad esempio i risparmi dei lavoratori, dei pensionati e di tutti coloro che, con un reddito da lavoro dipendente, hanno sempre pagato le imposte dovute.
2) Dopo la moratoria uno Stato farebbe una fatica immensa a finanziarsi di nuovo sui mercati interni e internazionali: nessuno gli farebbe più credito. I casi di Argentina o Ecuador mostrano il contrario, dipende dalle situazioni. In ogni caso, per l’Italia, si tratta di riequilibrare il ricorso al prestito “interno”. Di fronte a un debito di 1.763.8 miliardi di euro la ricchezza netta in Italia (al netto dei debiti privati) nel 2009 ammontava a 8.600 miliardi (9.448 miliardi, quella lorda, di cui 4.800 miliardi in ricchezza immobiliare). Della ricchezza lorda il 37.7 per cento è ricchezza finanziaria pari a 3.561 miliardi, più del doppio del debito così composta: il 29,8 per cento in biglietti, monete, depositi bancari e risparmio postale; il 44,2 per cento in obbligazioni private, titoli esteri, azioni, partecipazioni e fondi comuni; il 17,7 per cento in riserve tecniche di assicurazione; il 3 per cento in crediti commerciali e solo il 5,5 per cento in titoli di Stato. Quasi mille miliardi, invece, è detenuta in forme liquide. Basterebbe incentivare questa massa monetaria per riequilibrare eventuali scompensi.
3) Un default significa uscire dall’euro e scontrarsi con una forte svalutazione con il crollo del potere di acquisto dei salari. L’andamento dei salari degli ultimi dieci anni, quelli in cui è vigore l’euro, non autorizza a parlare di mantenimento del potere di acquisto. L’Europa può imboccare una strada diversa, quella dell’Europa Sociale che rifiuti la dittatura delle banche. In alternativa l’uscita dall’Euro non avrebbe conseguenze peggiori di rimanerci a queste condizioni.
E poi? La ristrutturazione del debito è una operazione che per risultare efficace non può essere realizzata nel vuoto ma presuppone un programma più ampio. Si tratta, infatti, di accompagnare questa operazione con una politica che aumenti i salari, riduca la precarietà, ristabilisca i diritti sociali e li estenda, ad esempio ai migranti, salvaguardi i beni comuni.
Serve un processo di nazionalizzazione di banche e assicurazioni, a cui il grande capitale ha fatto ricorso solo per salvare i proprio interessi e che invece serve per gestire diversamente il debito e garantirsi dalla speculazione finanziaria.
Serve una riforma fiscale che finalmente aggredisca l’evasione fiscale – in larga parte appannaggio delle grandi imprese come dimostrano scatole cinesi finanziarie e largo utilizzo dei commercialisti alla Tremonti – e che faccia pagare di più i redditi più alti e di meno, molto di meno, chi riesce appena a sopravvivere. Una riforma fiscale fortemente progressiva, con poche e chiarissime agevolazioni fiscali per il lavoro dipendente, in grado di cumulare la tassazione dei grandi redditi con la proprietà e quindi il patrimonio, la rendita, la speculazione. Una vera Patrimoniale per ridistribuire radicalmente le risorse.
Occorre rimettere in discussione questa Europa, compresa la moneta unica, per realizzare un’Unione davvero democratica e fondata sul consenso e la partecipazione dei popoli. Per questo partecipiamo alla petizione popolare per chiedere un referendum sull’Europa.
Bisogna ridurre drasticamente le spese militari, tramite riduzione delle missioni all’estero e abbattimento della spesa per armamenti da trasformare in spesa per le infrastrutture ecologiche e il risanamento dei territori.
Dobbiamo rimettere al centro dell’economia la variabile indipendente, il vincolo insuperabile, del lavoro e della sua dignità, dei diritti, dell’estensione delle garanzie sociali: salario minimo garantito, reddito sociale, riduzione dell’orario di lavoro, diritto al lavoro contro la precarietà dilagante.
Occorre affrontare con decisione il tema della sostenibilità ambientale dello sviluppo economico con la difesa ecologica dei territori dai sventramenti prodotti dal Profitto e dagli interessi delle grandi imprese multinazionali.
E tutto questo ha un senso se si garantisce una nuova partecipazione popolare con forme di democrazia diretta e di autogoverno a tutti i livelli. Questi Parlamenti e i loro governi hanno concluso il loro tempo, siamo per una rivoluzione delle forme della partecipazione e della gestione del potere: referendum su tutti i dossier cruciali, organi di partecipazione diretta, autogestione e gestione razionale e democratica dell’economia attraverso nuove istituzioni democratiche e dal basso.
(Fonte Rivolta il debito)