Timothy Kurek, 26enne del Tennesse (USA) per un anno si è finto omosessuale per capire i pregiudizi che il Mondo ha con i gay. Dopo aver dichiarato la sua (finta) omosessualità il 95% degli amici lo abbandona. Quando ha detto a sua madre che era “diverso”, lei avrebbe preferito avere un tumore. “Mi hanno insegnato che gay e lesbiche sono peccatori, che l’omosessualità è un male e che i gay non possono essere cristiani. Ed ero convinto che i gay avessero dei secondi fini. Provavo a convertire tutti quelli che incontravo. Addirittura quando un mio amico d’infanzia si è dichiarato sua madre mi ha chiamato, chiedendomi di salvarlo facendogli un bel discorso”. Con questa esperienza ha capito che “Dio ama tutti davvero, ed essere gay per 365 giorni ha salvato la mia fede”.
Tutto iniziò nel 2009, quando la sua amica Elizabeth, piangendo, gli confessò: “Ho fatto coming out con la mia famiglia ieri. Mio padre mi ha detto di andarmene di casa con tutte le mie cose e che non avrebbe pagato un altro centesimo per la formazione di una figlia lesbica!”. Cresciuto come un conservatore cristiano fondamentalista con alle spalle due decenni di educazione nella Chiesa Battista indipendente, dove era vietato vedere i “Power Rangers” . Kurek ha trasformato quell’esperienza in un libro, The Cross in the Closet duramente criticato in quanto “riduttivo e potenzialmente offensivo”. In questa intervista Timothy racconta la sua esperienza.
Prima di tutta questa esperienza, qual era la tua visione dell’omosessualità?
Mi hanno insegnato che gay e lesbiche sono peccatori, che l’omosessualità è un male e che i gay non possono essere cristiani. Ed ero convinto che i gay avessero dei secondi fini. Provavo a convertire tutti quelli che incontravo. Addirittura quando un mio amico d’infanzia si è dichiarato sua madre mi ha chiamato, chiedendomi di salvarlo facendogli un bel discorso.
Quindi l’omosessualità era percepita come un male da cui si poteva essere curati?
Be’, ci sono diverse scuole di pensiero a proposito. Sicuramente un sacco di gente pensa che sia una scelta; io lo pensavo. O quello, o un problema mentale. Se nasci gay, è come quando una persona nasce con l’inclinazione a mentire, rubare o a diventare alcolista.
Considerato che questa visione era così radicata in te, cosa ti ha motivato a cambiare?
Una mia amica si è dichiarata lesbica, e ciò è stato accolto con sdegno da tutta la comunità. A essere onesti, io non ho reagito molto meglio, ma ho avuto questa sorta di epifania dello spirito dopo che se n’è andata. La voce nella mia testa che mi diceva di pregare per lei e di cercare di convertirla non era Dio, ma l’impostazione religiosa dentro di me. Ho capito che dovevo liberarmene e che l’unica maniera per farlo era tramite qualcosa di drastico. Dovevo capire da solo cosa implica fare outing e vedersi imporre quell’etichetta.
Un articolo sul tuo caso suggerisce che fingerti gay sia stato eccessivo, quando avresti potuto semplicemente parlare con gli appartenenti alla comunità omosessuale delle loro esperienze.
Penso sia il classico esempio di gente che parla dopo aver sentito solo una campana, e mi piacerebbe che leggessero il libro. Non voglio essere irrispettoso, ma è facile giudicare senza conoscere tutta la storia, come ho fatto io. Il punto è che, nel mio stato precedente, non c’era modo di farmi comprendere i gay. Se non avessi fatto quello che ho fatto, non sarei mai cambiato. Non parlo per gli altri, ma mi sento di dire che la mia educazione può essere tra le più conservatrici. Avevo bisogno di qualcosa di radicale.
Immagino che la natura radicale del tuo approccio abbia contribuito ad allontanarti dalla comunità. Ho ragione se dico che solo tre persone sapevano che non sei davvero gay?
All’inizio mi è arrivata un’e-mail da un pastore e mio amico, in cui mi diceva che è una questione di scelta, non genetica, e che dovevo andare in chiesa. Mi è stato detto che ero libero di praticare presso la sua comunità con altri “peccatori”, ma che non avrei potuto servirla in alcuna maniera. Non soltanto mi ha rimproverato nel nome di Gesù, ha anche aggiunto che giravo con le persone sbagliate. Quelli che andavano in chiesa mi evitavano; era come se fossi sparito. Solo un paio di amici si sono schierati a gran voce contro di me, gli altri mi hanno ignorato. È stato molto più doloroso.
Quindi è stato un caso di rifiuto completo, senza possibilità di appello?
Ho smesso di esistere.
E i tuoi familiari?
Ho letto nel diario di mia madre che avrebbe preferito vedersi diagnosticato un cancro terminale piuttosto che avere un figlio gay. Ovviamente è una cosa orribile da dire, ma il punto è questo: in parte l’ha detto perché sa che viviamo in una cultura intollerante e che avrei sofferto. Avrebbe preferito soffrire lei piuttosto che vedere il suo piccolo passare per quelle cose. Non voglio demonizzare qualcuno che so che in fondo mi ama.
Ho ragione a pensare che sei riuscito a farle accettare la tua nuova linea di pensiero?
Non direi che sono stato io, no. Ha avuto il ribaltamento di prospettive più profondo di tutti quelli che conoscevo, e non perché glielo avessi detto, non l’ho dovuta convincere, ci è arrivata da sola.
Quindi pensi che tutti abbiano la capacità di superare i pregiudizi?
Il problema della gente è che vogliono il controllo sulla loro esistenza e, per estensione, su quelle degli altri. Ho compreso che la nostra influenza sulle vite degli altri è un privilegio, non un diritto. Nessuno di noi ha il diritto di provare a influenzare il modo di vivere degli altri.
Deve essere stato difficile mettere a tacere quell’impostazione religiosa di cui parlavi prima.
Ero così ignorante in fatto di cultura gay. Non sapevo come muovermi.
È stato un po’ come fare un salto nel vuoto.
Proprio così. Considerati i pregiudizi che mi portavo dietro, entrare per la prima volta in un locale gay è stato scioccante. Pensavo mi sarei sentito male da un momento all’altro. Così ho fatto un passo indietro e scelto un posto più tranquillo da cui operare. Non più un night club con attività piuttosto esplicite, ma un locale in cui si incontrano molti uomini dopo il lavoro. È lì che ho incontrato il mio ‘ragazzo’, Shawn. Conoscerlo è stato molto utile, mi ha guidato in quel mondo passo dopo passo. Da solo non ce l’avrei mai fatta.
Non ti sentivi in colpa a mentire a tutte quelle persone? E non avevi paura di essere ‘scoperto’?
Be’, la paranoia data dal timore che qualcuno scoprisse il mio segreto era la stessa che sperimentano i gay che non si sono ancora dichiarati. E non dico che non fossi tormentato, ma per lo più tutte le persone che ho incontrato il quel periodo non hanno dubitato. Certo, quando passava una bella ragazza ero costretto a spostare lo sguardo. Immagina una situazione in cui devi mettere a tacere tutti gli istinti più naturali per non uscire allo scoperto.
Quindi stai dicendo che fingere di essere gay in una comunità omosessuale ti ha aiutato a capire la realtà che vivono i non dichiarati?
Sì. Prima mi capitava spesso di pensare a come si dovesse sentire un gay negli spogliatoi della palestra. Credevo che fossero molto fortunati, perché non ci voleva nulla per poter vedere persone da cui si sentivano attratti togliersi i vestiti. Solo dopo ho capito quanto invece fosse difficile. Prendi un ragazzino al liceo, gay non dichiarato, che sotto le docce vede i compagni di classe senza vestiti e non riesce a trattenere l’erezione. Finirebbe sicuramente per essere insultato, o malmenato. Non riuscivo a vederla da quella prospettiva, ed era un segno di ignoranza.
I cristiani conservatori non fanno sempre un’ottima figura sulla stampa. Credi che il tuo libro possa aiutarli a migliorare la loro immagine?
Nel mio libro spiego che i cristiani conservatori vengono bollati automaticamente come persone piene d’odio. Solo perché uno interpreta la Bibbia in un dato modo non significa che sia un bigotto. Alcune delle persone più gentili e piacevoli che io abbia mai incontrato—gentili anche coi gay, e assolutamente disponibili nei loro confronti—credono che l’omosessualità sia un peccato. È una situazione un po’ strana; la gente è divisa tra l’amore per Gesù e le proprie emozioni. Ma se un gay ha un’esperienza negativa con un cristiano, questo non farà che incrementare l’odio, e la situazione si rifletterà tanto sulla cristianità in generale quanto su altri omosessuali. Non c’è un modo semplice per affrontare la questione.
Ad oggi qual è la tua relazione con la chiesa?
Non la frequento più, ma molte delle mie amicizie sono rimaste le stesse. Il problema delle religioni organizzate è che ci sono delle imperfezioni, e non è difficile che queste possano diventare una ragione di distacco. So di non avere i mezzi per avviare una sorta di ‘ristrutturazione’ delle credenze, ma a questo punto preferisco dissociarmi. Sono visto negativamente da molti per via della mia scelta, però si tratta di una loro decisione. Non voglio criticare la chiesa in toto. È più una cosa che riguarda me. Semplicemente, credo che concentrarsi sulla propria vita, e non su quella altrui, possa migliorare in maniera significativa le cose.