Su 8 milioni di persone ricoverate ogni anno, 320 mila (pari a circa il 4%) subiscono danni o conseguenze (malattie) dovute a errori nelle cure o a disservizi che potrebbero essere evitati. Ma è il capitolo relativo alle morti, quello che deve fare più riflettere: le stime oscillano tra un minimo di 14 mila a un massimo di 50 mila pazienti che muoiono in conseguenza di errori compiuti da medici o provocati da una non adeguata organizzazione delle strutture sanitarie. Cifre shock inferiori solo a quella delle morti per tumori e infarti.
Per l’Anaao Assomed, associazione medici e dirigenti del SSN, al di là dei casi veri di malasanità, derivanti da errori gravi o da disorganizzazione endemica di alcune strutture, la sicurezza è un problema di sistema. La cultura della colpevolizzazione è il peggior nemico della sicurezza e impedisce il miglioramento della conoscenza. È necessario che gli ospedali affidino la gestione del rischio a personale qualificato che abbia superato positivamente un percorso di formazione manageriale specifico e che abbia esperienza diretta dei processi produttivi.
Il numero di errori sanitari e le statistiche che periodicamente trovano spazio sui giornali descrivono solo la parte superficiale del problema. I numeri sono più o meno noti. A livello internazionale gli studi dimostrano una percentuale di eventi avversi, non tutti riducibili all’errore umano, in ambito sanitario pari al 10%, di cui circa la metà prevenibili. Continuare a tritare dati e a ingegnarsi a trovare titoli sempre più ad effetto porta solamente a creare sfiducia in tutto il sistema sanitario.
I massimi esperti mondiali nel campo del risk management, affermano che il principale ostacolo alla riduzione degli errori è il sistema punitivo che segue all’accertamento di un errore. È inappropriato punire medici e infermieri perché hanno commesso errori in quanto sono veramente pochi i casi dovuti a inescusabile negligenza o imperdonabile superficialità. Gli errori sono quasi sempre determinati da falle nel sistema. Limitarsi a punire le persone è controproducente in quanto si inducono i sanitari a nascondere errori che potrebbero essere utilmente analizzati per migliorare l’assistenza e per portare alla luce deficit organizzativi. Nessuno riporta mai che vi sono studi che dimostrano che, dove vigono sistemi punitivi, il 95% degli errori non viene riportato mentre, all’opposto, quando l’approccio cambia, le segnalazioni crescono in modo esponenziale.
I due pilastri della sicurezza in ambito sanitario sono: creare un ambiente protetto dove si possa parlare degli errori e la leadership di chi gestisce le aziende sanitarie (e le politiche sanitarie in generale). Quando i giornali, le commissioni d’inchiesta, le Regioni e il Ministero analizzano i dati non misurano mai indicatori di sicurezza, ma solo e sempre il numero di morti, eventi avversi e in generale i fallimenti della sicurezza. La cultura del rischio è in gran parte assente e riconoscere che la sicurezza è un problema di sistema creerebbe molto più imbarazzo a coloro i quali hanno gioco facile a puntare il dito contro i “colpevoli”. Purtroppo, questo atteggiamento è diffuso anche tra i sanitari che sono avvolti da una falsa sicuméra di infallibilità, salvo poi trovarsi in situazioni drammatiche.
“Chi sbaglia, sbaglia” è la frase perfetta per continuare a rendere quasi impossibile il raggiungimento di un obiettivo di qualità. Togliere di mezzo la “mela marcia” e punire i colpevoli è l’unica inescusabile negligenza di un sistema sbagliato.