L’unione è l’unica forza dei più deboli, la storia di César Chávez

Lavoratore americano di origine messicana, sindacalista e attivista dei diritti civili, César Chávez creò tramite le sue azioni delle condizioni migliori per i lavoratori agricoli. Obama ha tradotto in inglese e fatto suo lo slogan “Si, se puede”, lanciato da Dolores Huerta nel 1972 durante il digiuno di protesta di César Chávez, allora a capo della lotta contadina degli ispanici della California. “Si, se puede” è anche il motto del sindacato fondato da Chavez e Huerta, lo United Farm Workers: “Una volta cominciato, il cambiamento della società non può essere rovesciato. Non puoi disistruire le persone che hanno imparato a leggere. Non puoi umiliare una persona fiera di sé. Non puoi opprimere la gente che non ha più paura”.

L’azione di César Chávez condotta in California, purtroppo poco conosciuta da noi, è un esempio di come anche quelli che sono i meno preparati hanno la possibilità di mettere in opera i metodi nonviolenti, a condizione che i responsabili dell’azione, i leaders del movimento diano ordini precisi in questo senso.

Chavez era nato in mezzo a quegli americani di origine messicana, i “Chicanos”, che costituiscono la mano d’opera favorita dai grandi proprietari agricoli degli Stati Uniti. Se i sindacati operai sono completamente integrati nello “establishment” della società americana, non è la stessa cosa nel campo agricolo.

Tradizionalmente, i proprietari di vigneti californiani, che sono veri e propri imperi industriali, utilizzavano una popolazione di origine messicana, che costituiva il tipo di sotto-proletariato, al tempo stesso, inorganizzato e supersfruttato. Tutti gli sforzi che erano stati compiuti fino allora per giungere all’organizzazione di questa popolazione erano destinati al fallimento, tanto erano potenti i proprietari di questi vigneti.

Fu allora che César Chávez condusse la sua azione. Intraprese, innanzitutto, un lavoro di “coscientizzazione”, di organizzazione che durò parecchi mesi. Indisse, poi, uno sciopero con certe esigenze precise, riguardo alla nonviolenza, che si estese molto rapidamente. I proprietari, aiutati dalle autorità federali, cioè governative, poterono comunque reclutare altrettanto rapidamente, altri lavoratori messicani che non chiedevano altro che guadagnare un po’ di denaro per sopravvivere. C’erano dunque dei “crumiri” che hanno permesso il raccolto dell’uva, sebbene ci fossero stati picchetti di sciopero che, ancora una volta, non intendevano fare uso della violenza ma che erano impegnati a chiarire le ragioni dello sciopero e dimostrare che era interesse di tutti parteciparvi.

A questo punto, sotto la minaccia del fallimento dello sciopero, César Chávez decise di affiancare allo sciopero il boicottaggio. Proclamò così il boicottaggio dell’uva, dapprima nelle grandi città degli Stati Uniti: “Mientra nos estamos en huelga/no se puede comer uva/tampoco ensalada/por la huelga de lechuga” (finché siamo in sciopero non si può mangiare uva, e nemmeno insalata, per lo sciopero della lattuga). Gli scioperanti organizzarono picchetti di boicottaggio in cui cercavano di spiegare le ragioni del loro movimento e gli obiettivi che si prefiggeva. Questo boicottaggio si dimostrò, molto presto, di un’efficacia sorprendente. Chavez ottenne subito il consenso dei militanti del movimento di M.L.King, e in particolare degli studenti impegnati in quel movimento, In breve tempo, il boicottaggio divenne effettivo su tutto il mercato nazionale.

Allora, come in tutte le azioni nonviolente d’un qualche rilievo, la repressione si abbattè su questo movimento. Gli scioperanti ebbero a subire violenze fisiche: ci furono processi promossi dai proprietari, il presidente Nixon prese posizione contro gli scioperanti e arrivò al punto di prendersi beffa di loro mangiando un grappolo d’uva davanti alle telecamere. Per vendere il loro prodotto i proprietari decisero di esportare l’uva: interi mercantili furono spediti a Londra; solo che qui i portuali per solidarietà col movimento di C.Chavez, si rifiutarono di scaricare l’uva. Ultimo tentativo fu quello di spedire l’uva ai soldati americani nel Vietnam, che si videro, perciò costretti a mangiare uva dalla mattina alla sera. Questa soluzione, però, non fu sufficiente. Dopo uno sciopero e un boicottaggio durato cinque anni, i proprietari furono costretti a cedere alle rivendicazioni di Chavez.

Oggi, questi è diventato il leader di tutti gli operai agricoli americani; i sindacati riprendono sempre di più questi metodi nonviolenti e tentato di accoppiare lo sciopero al boicottaggio.

Per dimostrare come per Chavez la nonviolenza non fosse un aspetto secondario della sua lotta, ci conviene precisare il suo atteggiamento di fronte ai rischi di violenza che ha dovuto fronteggiare. Se l’azione nonviolenta consiste in un primo tempo nel risvegliare l’aggressività dei poveri, nel creare il conflitto, è dunque inevitabile che ci siano rischi di violenze. Se si risveglia la coscienza degli oppressi e se questi prendono coscienza del loro stato di oppressione, non ci sarà da stupirsi se da un momento all’altro, disperati, ricorrono alla violenza. Ma a questo punto, Chavez, al fine di evitare la spirale della violenza, intraprese un digiuno sia per motivi personali che per ragioni tattiche (sapeva bene che se scoppiava la violenza, i proprietari avrebbero potuto benissimo scatenare una repressione brutale). Digiunò per venticinque giorni, non perché i proprietari cedessero alle sue esigenze, ma perché gli operai stessi accettassero di attenersi ai principi dell’azione nonviolenta. Dopo quei venticinque giorni di digiuno essi giunsero ad un accordo, ciò che ha certamente reso possibile al movimento di durare e infine di vincere.

Quanto sia ancora vivo il ricordo di Chavez lo testimonia uno dei principali organizzatori del movimento contadino ed ecologista in Francia, José Bové, il quale ricorda ciò che avvenne al social forum di Seattle (1999): “Abbiamo deciso insieme all’Afl-Cio, il grande sindacato operaio americano, di far sfilare alla testa del corteo sindacale, quindi tra gli operai, una delegazione di contadini di Via Campesina, con in testa un berretto verde. Mi volto e vedo sventolare una bandiera rossa con al centro un’aquila stilizzata in nero: è la bandiera dei Chicanos di César Chávez! Sono emozionato: non mi aspettavo di ritrovarmi al loro fianco! Sono la prima delegazione dietro alla testa del corteo, tutti indossano una maglietta con l’effige di Chavez. Lui è morto di arresto cardiaco il 23 aprile 1993, ma il suo movimento continua”.

La vita e la storia politica del sindacalista e attivista statunitense César Chávez è approdata anche al cinema con un film “César Chávez: An American Hero” del 2014.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”