Negli Stati Uniti ci sono le shield laws, in Belgio c’è il titolo professionale, in Svizzera è guerra delle tessere stampa, in Germania la professione è garanzia d’indipendenza, in Francia è un affare di Stato, nel Regno Unito c’è il liberismo assoluto, in Norvegia e in Svezia tutti hanno la tessera.
Un excursus su come si diventa giornalisti all’estero. Che sfata tanti luoghi comuni sulla “anomalia” italiana. L’ inchiesta a cura di Paolo Pozzi (Tabloid) e Pino Rea (Lsdi).
Paese che vai, giornalista che trovi
L’Ordine dei giornalisti è un’anomalia solo tutta italiana? Non è così. Che sia la tessera dell’Ordine o la carte de presse, che sia un titolo professionale o le shield laws, cambiano i fattori ma il risultato non cambia. In ogni Paese, anche in quelli come Germania e Spagna, dove non c’è uno status giuridico vero e proprio dei giornalisti, in realtà le leggi che regolamentano la natura e l’attività dei giornalisti si richiamano – tutte – a precisi vincoli di autonomia, deontologia e accesso alla professione.
Nell’ordinamento anglosassone – e negli stessi Stati Uniti, in particolare, solitamente portati a esempio di come si possa fare i giornalisti senza un Ordine professionale – in realtà ci sono precisi accordi contrattuali tra le aziende e i loro giornalisti che prevedono il licenziamento del dipendente se il giornalista si rende colpevole di commistione tra pubblicità e informazione o se non garantisce piena autonomia e indipendenza sul lavoro.
Dove vige il liberismo più assoluto – ad esempio in Inghilterra – è vero che ci sono grandi scoop dovuti a un fortissimo senso del giornalista come “cane da guardia del potere”, ma è anche vero che questi stessi Paesi, più frequentemente che altrove, sono teatro di grandi scandali come quello, recente, del quotidiano News of the Word di proprietà del magnate Rupert Murdoch, i cui giornalisti – per eccessivo amor di gossip – sono stati travolti, nel 2011, dallo scandalo delle intercettazioni telefoniche illegali – con il benestare della direzione – nei confronti di attori, calciatori, reali, vip e politici. In alcuni Paesi del Nord Europa, invece, gli stessi editori hanno sottoscritto una Carta etica ed esiste la figura dell’Ombudsman come giudice-garante dei lettori. Allora vediamo bene nel dettaglio.
Negli altri Paesi chi dà la ‘’tessera’’ di giornalista? E come è articolato lo status giuridico della professione giornalistica? In generale si è giornalista se si fa il mestiere di giornalista, sulla base di un rapporto contrattuale (da lavoro dipendente o autonomo che sia) con uno o più datori di lavoro. Oppure si è giornalisti se si ha una laurea o un master in giornalismo. Per quanto riguarda invece l’‘’investitura’’ professionale attraverso la tessera, il potere in generale fa capo ai sindacati o ai datori di lavoro. Vediamo.
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Francia: Dove la tessera di giornalista è un affare di Stato
La Francia è il solo Paese democratico in cui la tessera professionale (Carte de presse) viene assegnata da un organismo nominato sulla base di un decreto del governo. La fonte principale dell’ordinamento professionale del giornalista, in Francia, è la legge del 29 marzo 1935 (artt. 29 b,c,d,e,f,g,h,i,j) inseriti nel Codice del lavoro. E il Codice francese del Lavoro – L. 761-2 – sancisce il criterio della prevalenza: può definirsi giornalista colui che deriva la maggior parte del suo reddito dall’esercizio della professione giornalistica. Più precisamente: ‘’è giornalista professionale chiunque svolga come attività principale, regolare e retribuita l’esercizio della sua professione in una o più aziende editoriali giornalistiche, pubblicazioni quotidiane e periodiche o agenzie di stampa e ne ricava la parte principale delle proprie entrate’’.
Il corrispondente che lavori sul territorio francese o all’estero è un giornalista professionista se riceve degli incarichi fissi e rispetta le condizioni descritte sopra. Sono assimilati ai giornalisti professionisti i collaboratori diretti della redazione: redattori-traduttori, stenografi-redattori, redattori-revisori, reporter-disegnatori, fotoreporter, esclusi gli agenti di pubblicità e tutti coloro che collaborano solo a titolo occasionale. La Carte de presse, rinnovabile ogni anno, viene assegnata dalla Commission de la carte d’identité dei giornalisti professionali, composta da rappresentanti degli editori e dei giornalisti. Per ottenerla bisogna aver esercitato la professione giornalistica per almeno tre mesi consecutivi e avere, come ricavato, più del 50% dei propri redditi da questa attività, a condizione che il datore di lavoro sia un’azienda giornalistica di stampa o audiovisiva, o un’agenzia di stampa accreditata. Quando i redditi da lavoro giornalistico superano il 75% la concessione è automatica.
Il giornalista online può ottenerla ugualmente se è in grado di dimostrare che il suo rapporto rientra nei criteri del Contratto collettivo e che il suo datore di lavoro svolge un’ attività di informazione nei confronti del pubblico. I giornalisti ‘’pagati a pezzo’’ o i praticanti (pigistes), devono dimostrare di aver avuto reddito mensile medio superiore alla metà del reddito minimo (Smic). In caso di redditi inferiori la Commissione decide caso per caso. La carte de presse non è obbligatoria, ma il Contratto nazionale di lavoro impedisce alle aziende giornalistiche di impiegare per più di tre mesi giornalisti senza il tesserino. Il possesso della tessera consente di beneficiare più facilmente di una serie di garanzie sociali associate allo status di giornalista, come la tredicesima, le ferie pagate o le indennità di licenziamento.
Per quanto riguarda l’accesso alla professione, esso è formalmente libero. Non è subordinato all’ottenimento di una laurea, tantomeno di una laurea specifica. Tuttavia la Convenzione collettiva nazionale di lavoro dei giornalisti afferma “l’interesse delle parti contraenti per la formazione professionale e raccomanda che i principianti abbiano ricevuto un training generale e tecnico il più completo possibile”.
Regno Unito: Liberismo assoluto
Nel Regno Unito vige un liberismo quasi assoluto: non esiste un contratto collettivo di lavoro per i giornalisti (esistono dei contratti di testata), né l’obbligo di registrazione di una testata e neppure particolari requisiti per fare il direttore di testata e così via. Prima del 1965 praticamente non esisteva neppure un cursus di studi giornalistici e i professionisti cominciavano dalla stampa locale. Molto forte era il ruolo del sindacato, soprattutto la National Unionof Journalists, il più militante, che tuttora rilascia agli iscritti una propria tessera.
Dopo gli anni del governo Thatcher, comunque, non vi è quasi più traccia di grosse battaglie sindacali, anche se il tasso di aderenti è altissimo. La Nuj conta infatti 35.000 membri, collocandosi tra i maggiori sindacati del mondo intero. Al suo interno raccoglie tutti i lavoratori del settore giornalistico dai reporter ai redattori, dai fotografi allo staff di redazione, dai membri degli uffici stampa agli esperti in pubbliche relazioni, come pure chi lavora su Internet.
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Irlanda: Un organismo indipendente di autoregolazione
Il governo irlandese ha costretto i giornali del Paese ad autoregolarsi dopo che alcuni anni fa, nel 2003, l’allora ministro della Giustizia, Michael McDowell, aveva minacciato di introdurre una regolamentazione legata alla legge sulla privacy. Dopo un’intensa attività di lobby da parte della stampa, il governo aveva rinunciato a questa linea accettando un compromesso e consentendo la nascita di un Organismo indipendente di autoregolamentazione della stampa, fondato nel 2007. Il Consiglio non è però espressamente riconosciuto nella legislazione e i giornali non sono obbligati a iscriversi (anche se quasi tutti, sia nazionali che locali, lo hanno fatto).
La normativa prevede l’indipendenza del consiglio, sia dallo stato che dalle testate giornalistiche, con una maggioranza di membri indipendenti che rappresentano l’interesse pubblico. Attualmente esso è composto di 13 membri: sette indipendenti, cinque in rappresentanza degli editori e uno che rappresenta i giornalisti. Il presidente deve essere indipendente. Il regolamento prevede tre ambiti di regolazione: A norme etiche e pratiche, B le regole sull’accuratezza e il rispetto della reputazione delle persone, C le regole tese a garantire la riservatezza, l’integrità e la dignità delle persone.
Australia: Giornalisti vulnerabili
La legge non prevede nessuna definizione ufficiale di giornalista. Lavorare in un organo di stampa o in un gruppo editoriale è quindi la prova ultima del proprio status professionale. I praticanti possono iscriversi al Media, Entertainment & Arts Alliance, un sindacato che si impegna a vegliare sui diritti dei giornalisti. L’ Alliance permette ai suoi iscritti di ottenere la Carta della Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ), ma altri organismi propongono ugualmente la loro, rendendo così opaca la visibilità e l’accettazione di ciascuna di esse.
La Costituzione australiana non garantisce esplicitamente la libertà di espressione, cosa che crea una certa aria di sospetto nei confronti del governo, dal momento che in teoria la censura sarebbe possibile. Le autorità tra l’altro hanno evocato l’ipotesi di una legge che instauri un filtro obbligatorio per alcuni siti Internet, cosa che è valsa tempo fa all’Australia la presenza nell’elenco dei ‘’Nemici di Internet’’ curato da Reporters sans frontières. Senza l’esplicitazione dei diritti fondamentali, i giornalisti si sentono quindi vulnerabili, specialmente in caso di denunce per diffamazione.
Spagna: Nessuno statuto
Anche il quadro spagnolo appare caratterizzato da un notevole liberismo e da un panorama frammentato. E’ considerato giornalista chiunque possegga una laurea in giornalismo. Negli ultimi anni, quella in giornalismo è sovente una seconda laurea, successiva ad una più tradizionale. Infatti il corso di “periodismo” è quasi sempre un biennio universitario che segue un triennio di preparazione in materie come la giurisprudenza, le scienze politiche, la comunicazione.
Ma c’è anche il caso dell’Università Carlos III di Madrid che, come una novità, propone ai suoi iscritti un triennio in giurisprudenza o scienze politiche già specificamente orientati al successivo biennio in giornalismo, mirando con ciò a formare dei veri professionisti dell’informazione, un po’ alla maniera francese. Nel Paese catalano esiste un Colegio de Periodistes (Collegio dei giornalisti), che qualcuno indica come analogo al nostro Ordine, ma in realtà l’organismo è molto più vicino alla FAPE, un’organizzazione che si propone di fare da “madre” a tutte le associazioni e organizzazioni di giornalisti. Starci dentro o no è assolutamente irrilevante in termini strettamente lavorativi. In teoria dovrebbe fare da lobby, difendere i diritti dei giornalisti, etc.
A livello nazionale la FAPE (Federación de Asociaciones de Periodistas de España) raccoglie ora 48 associazioni regionali e locali in rappresentanza di più di 21.000 giornalisti. Nonostante la mancanza di una norma specifica sullo status di giornalista, gli unici riferimenti giuridici sono l’articolo 20 della Costituzione spagnola del 1978 che sancisce il diritto fondamentale alla libertà di espressione e informazione di una legge del 1997 che prevede la clausola di coscienza e il principio del segreto professionale.
Brasile: Esigere un diploma è incostituzionale
Fino a qualche anno fa bisognava avere un diploma superiore in giornalismo e iscriversi al Registro Profissional per essere considerato un giornalista. Chiunque fosse in possesso di quel diploma poteva ottenere una Carta stampa, che avesse intenzione o meno di esercitare questa professione, mentre il giornalista ‘’autodidatta’’ o ‘amatoriale’ era considerato illegale. Ma nel 2009 il Tribunale supremo federale ha dichiarato incostituzionale l’ obbligo di un diploma di giornalista e l’ iscrizione al ministero del Lavoro come condizioni per l’ esercizio della professione. Dal 2010, la Fenaj (Federazione nazionale dei giornalisti brasiliani) – che riunisce i vari sindacati dei giornalisti brasiliani e li rappresenta a livello nazionale – rilascia una propria tessera professionale.
Stati Uniti: Tessere aziendali e… shield laws
Non c’ è una Carta professionale ufficiale. La maggior parte dei giornalisti hanno una tessera fornita dai propri datori di lavoro. La Society of Professional Journalists, un’ organizzazione professionale fondata nel 1909, che conta oltre 10.000 associati e si pone l’ obbiettivo di incoraggiare la libertà di stampa e promuovere fra i giornalisti un comportamento aderente ai principi deontologici, propone un Codice etico ma non rilascia tessere professionali.
Il primo emendamento alla Costituzione americana (Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per riparazione di torti), garantisce la libertà di stampa. Ma sul piano del riconoscimento dello status non è così semplice. Non c’è una definizione legale di giornalista negli Stati Uniti e bisogna quindi rifarsi alle leggi adottate singolarmente dai vari Stati sulle protezioni delle fonti (shield laws) per avere un’idea.
Fino all’agosto del 2010, 39 stati oltre al Distretto di Columbia – avevano delle shield laws, o per lo meno riconoscevano ai giornalisti dei ‘’privilegi’’ in materia. In virtù di quelle leggi, il giornalista non può essere costretto a comparire o a testimoniare in relazione alle informazioni contenute in una notizia o a divulgare le proprie fonti. Per stabilire chi rientri sotto la copertura della legge ogni Stato apporta la sua definizione di giornalista. La Commissione giustizia del Senato, incaricata di esaminare ogni emendamento alla Costituzione, aveva votato nel dicembre 2009 a favore del Free Flow of Information Act, un progetto di shield law federale che però è ancora sospeso alla Camera dei rappresentanti.
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Germania: Nessuno status per i giornalisti
Lo status di giornalista non ha mai ricevuto in Germania una definizione ufficiale. I giornalisti non sono tenuti a seguire una formazione particolare per esercitare la professione, che resta aperta a tutti quelli che la vogliono praticare. Come in Francia, la stampa è percepita come il ‘’quarto potere’’ ed è considerata come una garanzia per la democrazia e l’indipendenza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
L’Associazione tedesca dei giornalisti (Deutscher Journalisten-Verband, o DJV) – che è nello stesso tempo un sindacato e un’organizzazione professionale, fissa gli obiettivi della professione e tratta i contratti collettivi di lavoro – conta quasi 40.000 associati, tutti giornalisti a tempo pieno, a cui viene fornita una tessera professionale. Il documento non è obbligatorio, ma è utile per seguire più facilmente gli avvenimenti. E’ comunque possibile ottenere altre tessere da parte di altre associazioni di giornalisti, come Verdi e NRW. Il numero di giornalisti si aggira sui 50.000. La DJV è contraria a una definizione legale del giornalista in quanto pensa che essa potrebbe ostacolare il diritto alla libertà di stampa.
Il rispetto della deontologia è assicurato dal Consiglio tedesco della stampa, un organo di autocontrollo che valuta anche le proteste dei cittadini nei confronti degli organi di informazione e che ha elaborato un codice deontologico. Per quanto riguarda l’ accesso, esiste una pluralità di vie. In teoria chiunque può presentarsi ad un editore e chiedere di scrivere. La via più usuale consiste, comunque, nell’iniziare un periodo di circa due anni di Volontariat, un praticantato retribuito. Il sistema del Volontariat, che viene introdotto ai primi del 900, ha continuato a perfezionarsi per proteggere l’ingresso dei giovani nella professione, grazie ad una convenzione collettiva specifica. Ma anche in questo Paese si può studiare giornalismo come materia principale o accessoria dopo un primo diploma universitario. Interessante il percorso contrattuale. A prescindere dal percorso formativo, una volta che l’aspirante giornalista si trova a contrattare con un editore ha sostanzialmente tre tipi di possibilità di esercitare la sua professione. L’editore può proporre un contratto come dipendente fisso, cioè a tempo indeterminato, cosa che avviene sempre più di rado, perché altre forme di collaborazione risultano più vantaggiose.
Esistono, come è ovvio i freelance e poi esiste un terzo tipo di contratto, che può essere spiegato come un ibrido, tra i primi due e prende il nome di fester Freier, cioè “libero-fisso”. Si tratta di una forma di ‘’collaborazione prevalente’’ in cui il lavoratore, pur essendo formalmente indipendente, gode di alcuni diritti riservati solo ai dipendenti, tipo 31 giorni di ferie annui, la malattia, la maternità ecc. è dagli anni ’80 che la Germania ha introdotto questa forma di rapporto di lavoro, che riconosce ai giornalisti, comunque precari, un po’ di stabilità. Questo contratto può comunque essere rescisso senza motivo in qualunque momento e dà diritto all’assunzione se dura già da dieci anni e il lavoratore è sotto i 40, quindici anni se il lavoratore ne ha più di 40.
Belgio: Un titolo professionale a giornalisti dei media generalisti
La legislazione non definisce uno status dei giornalisti, ma una legge del 30 dicembre 1963 ha fissato un titolo professionale, riconosciuto e protetto, per coloro che fanno giornalismo professionale, sia salariati che indipendenti. Si parla quindi di ‘’giornalista professionista’’ nel caso di una persona che lavora in un mezzo di informazione generale (quotidiano, magazine generalista, radio, televisione, sito Internet di attualità o agenzia di stampa) e non può occuparsi di pubblicità. Una Commissione di ratifica, istituita da un decreto del 26 gfennaio 1965, composta paritariamente di giornalisti professionisti e direttori di testate giornalistiche (tutti nominati con decreto reale) si occupa di concedere il titolo di giornalista professionista. Per ottenerlo bisogna aver esercitato il mestiere per due anni.
Il ministero dell’Interno concede la Carte de presse o, più esattamente, un lasciapassare nazionale. Questo documento facilita in maniera notevole i rapporti e i contatti con le istituzioni politiche, la Nato, la procura e la polizia, oltre che con le aziende private. I giornalisti della stampa periodica specializzata non ne hanno diritto, ma possono ottenere ugualmente dal Ministero un pass ‘’stampa periodica’’, che non ha niente da invidiare al lasciapassare. Per ottenerlo bisogna che essi abbiano lavorato per almeno due anni in una redazione di un mezzo di informazione specializzato, firmando almeno sei volte l’anno, e dimostrando di aver scritto almeno 20 articoli ogni anno.
Gli interessi dei circa 5.500 giornalisti professionisti e dei 1.000 giornalisti della stampa periodica vengono difesi dall’Association générale des journalistes professionnels de Belgique e dalla Association des journalistes de la presse périodique, che vegliano anche sul rispetto della libertà di informazione e dei codici deontologici.
Norvegia: Tutti hanno la loro tessera
L’Unione dei giornalisti norvegesi (Norsk Journalistlag) assegna la tessera stampa ai suoi 9.500 membri (quasi il 100% dei giornalisti norvegesi). Basta avere il giornalismo come attività principale e impegnarsi a rispettare il Codice etico della stampa. La libertà di stampa è garantita dalla Costituzione, che prescrive: ‘’E’ permesso a tutti esprimersi liberamente sul governo e su qualsiasi altro argomento’’. Un codice etico è stato adottato dall’Associazione della stampa norvegese (Norsk Presseforbund) nel 1936, e le violazioni vengono esaminate da uno speciale Consiglio per la stampa.
Svezia: L’unione fa la forza
I giornalisti professionisti sono rappresentati dall’Unione dei giornalisti svedesi (Svenska Journalistförbundet), l’unica organizzazione che può rappresentare la professione e parlare in suo nome. Ogni persona che lavora nel settore come dipendente (bisogna aver lavorato per almeno quattro settimane) o come autonomo (bisogna certificare un reddito giornalistico durante almeno quattro mesi) può entrare a farne parte.
Anche altri organismi possono distribuire delle tessere stampa, ma quella dell’Unione garantisce una legittimità a quasi il 90% dei giornalisti professionali che la possiedono (circa 19.000 membri). La libertà di stampa è stata introdotta nella Costituzione svedese fin dal 1766. Le quattro grandi associazioni di editori hanno adottato nel 2001 un Codice etico. Esiste anche un Ufficio dell’Ombudsman, che decide se le denunce presentate contro le testate meritino di essere portate davanti a un Consiglio della stampa.
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Svizzera: La guerra delle tessere stampa
Lo status di giornalista non è protetto e chiunque può pretendere di esercitare la professione. Per essere riconosciuto, comunque, un giornalista professionale si preoccupa di ottenere una Tessera stampa, la più diffusa delle quali è la cosiddetta ‘’RP’’ (che significa Registro Professionale dei giornalisti e che facilita l’accesso a un buon numero di avvenimenti). Questo documento viene concesso esclusivamente dai tre sindacati nazionali: Impressum, ex FSJ (5.500 membri), Comedia (13.000 membri) e il Sindacato svizzero dei mass media (3.500 aderenti).
Presso le tre associazioni è possibile ottenere anche la Carte de presse della Federazione internazionale dei giornalisti. Giornalisti ed editori si fanno comunque ‘’guerra’’. Presse Suisse, l’organizzazione degli editori della stampa quotidiana e periodica della Svizzera romanda, ha lanciato (nel 2006) una sua propria tessera, seguendo l’esempio della Schweizer Presse, il suo pendant germanofono, che aveva lanciato l’idea vari anni prima. À prezzi concorrenziali (80 franchi svizzeri nel 2010 per la Carte Presse Suisse, contro 355 per Impressum e 150-750, a secondo del salario annuale, per quella di Comedia), la tessera degli editori permette di beneficiare di una serie di sconti e facilitazioni presso grandi aziende come Apple o Orange. I sindacati segnalano l’assenza di un codice deontologico associato alla tessera. Per ottenere la ‘’RP’’ comunque i professionisti sono obbligati a riconoscere la Dichiarazione dei diritti e dei doveri dei giornalisti (la Dichiarazione di Monaco del 1971) e a provare che almeno il 50% della loro attività remunerata è stata effettuata nel campo del giornalismo negli ultimi due anni. Al contrario, basta provare una ‘’attività nel campo redazionale’’ per ottenere una tessera Presse Suisse.
Quebec: Una professione aperta
Ci sono circa 4.500 giornalisti nel Quebec. Due associazioni – la FPJQ (Fédération Professionelle des Journalistes du Québec) e l’AJIQ (Association des Journalistes Indépendants du Québec) – assegnano ciascuna una loro tessera. La prima raccoglie circa 2.000 iscritti, la seconda circa 200, ma alcuni sono iscritti a entrambe le associazioni.
La FPJQ aveva proposto nel 2002 l’instaurazione di un titolo di giornalista professionale, che sarebbe stato riconosciuto dal governo e avrebbe accordato ai suoi detentori alcuni diritti come la protezione delle fonti. Il progetto era abortito di fronte a una forte opposizione dell’ ambiente professionale. Più recentemente un progetto di legge presentato dal deputato Serge Ménard sulla protezione delle fonti nei tribunali penali è rimasto senza seguito. Tanto che ancora adesso il diritto di riservatezza sulle fonti in Québec viene valutato caso per caso.
Qui il testo completo del servizio in Pdf
Questo articolo non sfata alcuna anomalia, anzi la conferma. È ovvio che ci sia un qualche tipo di ente o organizzazione ovunque, ma l’anomalia italiana secondo me sta nel fatto che qui da noi si sia obbligati per legge ad essere iscritti, altrimenti non si può esercitare.
Ottimo articolo, però secondo me lei non è stato calzante nel citare le caratteristiche dei vincoli del lavoro giornalistico negli USA. La cito: “Nell’ordinamento anglosassone – e negli stessi Stati Uniti, in particolare, solitamente portati a esempio di come si possa fare i giornalisti senza un Ordine professionale – in realtà ci sono precisi accordi contrattuali tra le aziende e i loro giornalisti che prevedono il licenziamento del dipendente se il giornalista si rende colpevole di commistione tra pubblicità e informazione o se non garantisce piena autonomia e indipendenza sul lavoro.” questo sistema non riguarda lo status di giornalista per se ma il rapporto di lavoro particolare con una testata/editore. Cioé il giornalista “imbroglione” al massimo perde l’impiego con una testata, ma questo non lo priva di certo della prerogativa di fare il giornalista per es. per altri. È vero che il passaparola e la èpessima fama finiscono per sbatterti le porte in faccia, ma un conto è perdere un impiego, un conto essere escluso in toto da una categoria. Nei fatti in USA o UK il giornalismo è senza tessere o vincoli. Cordialmente
Grazie Furio, perfetta integrazione e giusta precisazione. Allargando il discorso, io sono dell’idea che in Italia bisogna abolire l’Ordine dei giornalisti e liberalizzare le professioni. Come dici tu “senza tessere o vincoli”. È il mercato libero e aperto che decide, che da il tocco di valore e non se uno è iscritto o no all’albo dei giornalisti. Tu cosa ne pensi?