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L’olio di carta, con le fatturazioni false si tarocca il Made in Italy

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Con il termine “olio di carta” si intende la produzione fittizia di olio extravergine supportata da false fatturazioni per prodotto inesistente o anche dalle rese di molitura superiori a quelle effettive, che avvengono nell’area di base della produzione di olio vergine di oliva, ossia presso il settore agricolo. Attraverso queste produzioni fittizie di olio extravergine si introducono in Italia, direttamente al momento dell’estrazione dell’olio dalle olive italiane, oli d’oliva stranieri che sono in tal modo inseriti tra le produzioni extravergini italiane ed immessi in commercio come oli di origine italiana. Ad ogni quintale di olio prodotto sulla carta in Italia, corrisponde altrettanto olio estero di varia natura: se va bene è di oliva, sennò di semi o prodotto dalle sanse, cioè con gli scarti. Le regioni pietra della scandalo sono la Calabria e la Puglia.

Il fenomeno dell’olio di carta  fino all’applicazione del registro del SIAN (Servizio Informativo Agricolo Nazionale), in vigore dal 1o luglio 2011, ha raggiunto volumi notevoli, stimati tra le 100.000 e le 200.000 tonnellate annue, tra il 15 e il 30% in più della produzione reale consistente in 400.000 tonnellate. Ora, grazie anche al SIAN e alla legge salva-olio, si stima possa essere ridotta a qualche decina di migliaia di tonnellate.

Il controllo delle produzioni attraverso un efficace sistema informatico di rilevazione dei riscontri contabili sottostanti costituisce un elemento decisivo per la lotta alla contraffazione nel caso dell’olio di carta. Ai fini dei controlli nel settore dell’olio di oliva, i frantoi, le imprese di condizionamento e i commercianti di olio sfuso sono obbligati alla tenuta di un registro per ogni stabilimento e deposito, nel quale sono annotate le produzioni, i movimenti e le lavorazioni dell’olio extra vergine di oliva e dell’olio di oliva vergine. Nel caso di lavorazione per conto terzi, i registri sono tenuti da chi procede materialmente alla lavorazione.

Sul fenomeno della falsa fatturazione si è soffermato il Sostituto procuratore della Procura della Repubblica presso il tribunale di Trani Antonio Savasta, durante l’audizione in materia di contrasto della contraffazione relativa agli oli di oliva tenuta alla Camera dei deputati il 16 febbraio 2015:

“La falsa fatturazione che cosa fa? Determina l’inoltro nel nostro Paese di enormi quantitativi di olive e di oli d’oliva di origine comunitaria o extracomunitaria, diventata poi comunitaria attraverso delle triangolazioni: olive algerine che vanno in Spagna diventano oliva comunitaria, l’oliva comunitaria entra in Italia e si utilizzano poi le false fatturazioni provenienti da territori da cui ormai non si coltiva più l’olivo, se non a livello di forestale. In tali zone l’olivo è diventato un elemento decorativo. Cosa fanno questi contadini? È molto più conveniente fare la falsa fatturazione e prendere il premio. Loro non attuano più le pratiche agricole che si facevano una volta. C’è un grossissimo problema, che è diventato anche ambientale da noi. Il problema principale è che, non coltivando più secondo le pratiche agrarie gli oliveti, perché è più conveniente fare la falsa fatturazione, che va a dare il supporto documentale all’immissione di questo olio di provenienza non italiana, le piante si sono inselvatichite. Abbiamo, quindi, il dramma del Salento, la famosa Xylella fastidiosa. Interi territori sono stati devastati da questa piaga, che deriva dal fatto che in quelle zone non si fa più la potatura, perché non conviene più. Il prodotto non si riesce più a vendere sul mercato, mentre viene immesso un enorme quantitativo di olio d’oliva a basso costo, che però viene fatto risultare come olio extravergine d’oliva. Dalla Calabria e dal Salento arrivano praticamente fatturazioni di olio d’oliva, addirittura biologico, che vanno a dare copertura a questi oli di provenienza straniera. Questo è un fenomeno drammatico. Il fenomeno diventa anche un fenomeno di carattere sociale, perché incide sul discorso dell’economia di un territorio, ma alla fine anche sul territorio stesso, che perde il suo rapporto con quelle produzioni: per esempio, la coltura dell’olivo diventa meno conveniente. Al posto dell’olivo noi stiamo vedendo la distruzione di interi habitat, dove sono stati sistemati pannelli solari, che sono molto più convenienti rispetto alla produzione dell’olivo. Così perdiamo in qualità e in carattere autoctono delle produzioni. Come si elimina questo problema? È semplice. Sono due i modi. Uno è tipizzare le rese di produzione attraverso dei registri specifici, anche con circolari ministeriali che vanno a determinare, anche attraverso consorzi, i prezzi minimi e massimi, sia per la resa, sia per i valori. Questo aiuterebbe anche il mercato interno e renderebbe conveniente la produzione dell’olivo. Il secondo metodo è monitorare il sistema dei trasporti. Mentre per l’uva da vino è stato inventato l’ottimo sistema del DOCO, ossia la certificazione nei trasporti, in materia di olio di oliva questo non c’è. Un vettore può andare in Toscana, portare olive pugliesi e, giungendo a destinazione, strappare la bolla. In tal modo quelle olive diventano toscane. Finché si tratta di produzione italiana, poco male, va bene il made in Italy, ma chiaramente questo si traduce in una problematica di tutela del consumo, perché il consumatore deve sapere, e qui entriamo nel discorso che l’Europa vuole da noi, se spende di più, se la tale bottiglia contiene un olio toscano, pugliese, spagnolo, greco o algerino. Se voglio risparmiare lo decido io, non devo essere frodato da alcuni tipi di comportamento”. 

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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