Johann Kaspar Schmidt, detto Max Stirner, nacque Bayreuth il 25 ottobre 1806 e morì a Berlino il 26 giugno 1856. Per il suo contributo al pensiero dell’occidente non riscosse in vita né fama, né soldi: morì praticamente in miseria dopo essere finito due volte in prigione per debiti… Testo di Max Stirner tratto dal libro: “L’unico e la sua proprietà“.
“Il denaro governa il mondo” ecco il cardinal principio del secolo borghese. Un nobile senza fortuna e un miserabile operaio contano lo stesso, cioè nulla: nulla contano nascita e lavoro; il denaro solo conferis e valore alla persona. Quelli che lo posseggono dominano, ma lo Stato educa tra i non abbienti i suoi “servi” e li paga con denaro in conformità dei servizi che ne riceve.
Io ricevo tutto dallo Stato. Ho io qualche cosa senza l’autorizzazione dello Stato? Ciò che io posseggo senza suo consenso o contro il suo decreto egli me lo ritoglie non appena scopre che non ho i titoli legali per ritenerlo. Non possiedo io dunque ogni cosa per grazia sua, per sua autorizzazione? Su ciò soltanto, sui titoli di diritto, s’appoggia la borghesia. Il borghese è ciò che è per la protezione dello Stato, per grazia sua. Egli deve temere di perder tutto se lo Stato andasse in frantumi.
Ma come procedono le cose col proletario? Siccome costui nulla ha da perdere, egli non abbisogna d’una “protezione dello Stato”. Anzi egli non può che trar vantaggio se avvenga che lo Stato revochi la protezione ai suoi prediletti. Per ciò il nulla abbiente deve considerare lo Stato quale una potenza protettrice delle classi agiate, la quale ad esse conferisce privilegi per dissanguar lui. Lo Stato è uno Stato borghese, è lo “Status ” della borghesia. Esso non protegge l’uomo in ragione del suo lavoro, bensì della sua devozione (“lealtà”), cioè secondo ch’egli gode ed esercita i diritti conferiti dallo Stato in conformità della volontà sua, cioè delle leggi. Nel regime borghese i lavoratori vanno a cadere sempre nelle mani degli abbienti, di coloro che hanno a lor disposizione un bene dello Stato (tutto ciò che è posseduto appartiene in fatti allo Stato, che lo distribuisce tra i singoli a guisa di feudo), principalmente danari e ricchezze; dunque dei capitalisti. L’operaio non può trarre dal suo lavoro un frutto che corrisponda al valore che il prodotto di tal lavoro ha per colui che le consuma.
“Il lavoro è mal compensato!”. Il capitalista ne ritrae il guadagno maggiore. Bene e più che bene non sono pagati che quei lavori che accrescono lo splendore e la potenza dello Stato, i lavori degli alti funzionari dello Stato. Lo Stato paga bene, affinchè i suoi “buoni cittadini”, gli abbienti, possono poi, a lor volta, pagar male, senza correr pericolo di sorta; egli assicura a se stesso dei buoni servi coi quali forma una valorosa polizia (della quale fanno parte e soldati e impiegati d’ogni categoria: della giustizia, dell’istruzione, e così via). I “buoni cittadini” gli pagano volentieri le imposte più elevate, per aver il diritto di pagar tanto di meno ai proprii operai. Ma la classe degli operai è senza difesa (essa non gode protezione dallo Stato, dacchè quali soggetti dello Stato, soltanto, non già quali lavoratori, gli operai hanno diritto d’essere difesi dalla polizia); essa rappresenta una potenza avversa, nemica allo Stato, alla classe degli abbienti, al regno dei borghesi. Il principio che essa professa, il lavoro, non è valutato secondo il suo vero valore: esso viene sfruttato, come bottino in guerra, da parte degli abbienti, i nemici.
Gli operai hanno in mano loro il più immenso dei poteri, e se essi riuscirono a convincersi intimamente di ciò, nulla potrebbe loro resistere: basterebbe ch’essi sospendessero di lavorare e considerassero ciò che hanno prodotto come se fosse a loro appartenente. Questa è la significazione delle sollevazioni di operai che succedono di tempo in tempo. Lo Stato è fondato sulla schiavitù del lavoro. Quando il lavoro sarà libero, lo Stato sarà perduto.