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Lo spreco alimentare vale 40 miliardi di euro l’anno

In Italia nel 2011 lo spreco di cibo a livello domestico è costato ad ogni famiglia poco meno di 1.600 euro all’anno, ovvero il 27% dei 5.724 euro spesi ogni anno per l’acquisto di beni alimentari (dopo l’abitazione, la spesa alimentare è la seconda voce nel bilancio delle famiglie italiane). Lo spreco alimentare “vale” il 2,4% del PIL a prezzi di mercato nel 2011 pari a circa 40 miliardi di euro. Si tratta del 14% del valore riferito all’intero sistema agroalimentare italiano (286 miliardi di Euro nel 2010).

Gettando via il cibo si sprecano le risorse naturali impiegate – suolo, acqua, energia – per produrre, trasformare, distribuire e smaltire e si determinano impatti negativi non solo dal punto di vista economico ma anche ambientale. Secondo Il libro nero dello spreco in Italia – che stima l’impatto ecologico delle perdite di cibo – nel nostro Paese lo spreco alimentare dal campo al supermercato corrisponde a circa 3,6 milioni di tonnellate all’anno. Tale quantità di cibo sprecato comporta l’emissione di 4,14 milioni di tonnellate di CO2 (pari all’8,79% delle emissioni del settore agricolo o al 3,98% delle emissioni del sistema agroalimentare italiano). In termini di acqua virtuale, ciò che è rimasto non raccolto in campo nel 2010, corrisponde a poco più di 1,2 miliardi di m3, una quantità pari al lago d’Iseo. Ipotizzando una percentuale di cibo sprecato del 20%, circa il 3% del consumo finale di energia sarebbe attribuibile allo spreco alimentare. Questo dato sarebbe equivalente ai consumi energetici finali di 1.650.000 italiani.

L’accezione più comune di spreco alimentare (in inglese, food waste) è quella di «cibo acquistato e non consumato che finisce nella spazzatura». Pur riferendosi sicuramente a una parte consistente degli sprechi alimentari, questa non è certo l’unica accezione valida, poiché lungo tutta la catena agroalimentare, infatti, sono svariati i motivi per cui spesso accade che vengano scartati prodotti alimentari ancora commestibili. Tuttavia non esiste una definizione univoca di sprechi alimentari né a livello istituzionale, né tanto meno nella letteratura scientifica specializzata. Una prima definizione di food waste è stata data dalla FAO e comprende qualsiasi sostanza sana e commestibile che – invece di essere destinata al consumo umano – viene sprecata, persa, degradata o consumata da parassiti in ogni fase della filiera agroalimentare (Food Supply Chain, FSC).

In un recente studio condotto dallo Swedish Institute for Food and Biotechnology  (SIK), commissionato dalla stessa FAO, è stata proposta anche la distinzione tra food losses e food waste. I food losses sono «le perdite alimentari che si riscontrano durante le fasi di produzione agricola, post-raccolto e trasformazione degli alimenti», mentre i food waste sono «gli sprechi di cibo che si verificano nell’ultima parte della catena alimentare (distribuzione, vendita e consumo finale)»: i primi dipendono da limiti logistici e infrastrutturali, i secondi da fattori comportamentali.

Il settore in cui si perde per strada, la maggior quantità di cibo è quello agricolo. Una grossa fetta della produzione, ancora perfettamente commestibile, resta infatti a marcire nei campi senza essere rivenduta. Le cause di questo fenomeno possono essere commerciali (prodotti fuori pezzatura), di mercato (costi della raccolta superiori ai prezzi liquidati agli agricoltori) o semplicemente estetiche: prodotti non belli da vedere, perché ammaccati o leggermente danneggiati. I numeri sono impressionanti, solo nel 2009, sono rimasti in giacenza nei terreni contadini oltre 7 milioni e mezzo di tonnellate di frutta, verdura e cereali. Nell’anno 2005-2006 si sono registrati ritiri per un totale di quasi 73 mila tonnellate. Di questi, solo una quota irrisoria, il 4,43 per cento, non è andata sprecata ed è stata distribuita gratuitamente a fasce deboli della popolazione.

Ma la cosa ancora più assurda è che nella stessa annata l’Unione europea ha stanziato per l’Italia 6,8 milioni di euro finalizzati alla gestione della produzione ritirata dal mercato. Bene, nel 90 per cento dei casi, le risorse economiche sono state spese per distruggere i prodotti! In pratica il circolo vizioso è questo: si finanzia gli agricoltori a produrre, ma nello stesso tempo a distruggere una parte delle produzioni.

L’origine degli sprechi alimentari. Nel corso del Novecento i progressi dell’agricoltura, dell’allevamento e dell’industria alimentare hanno consentito ai Paesi più sviluppati di superare la condizione, fino a quel momento prevalente, di scarsa disponibilità di generi alimentari. Inoltre, l’aumento del reddito medio ha permesso a fasce sempre più ampie della popolazione di accedere a quantità e qualità maggiori di cibo.

In questo modo, la crescente disponibilità e varietà di cibo, il prezzo tendenzialmente in calo e una percentuale sempre più bassa di reddito destinata ai generi alimentari hanno progressivamente favorito una maggiore tolleranza verso gli sprechi alimentari. Negli Stati Uniti l’incidenza della spesa alimentare sul reddito medio familiare oggi è pari al 5-10%, mentre nel 1937 era del 35% e nel 1914 del 60%. In Italia si è passati dal 30% nel 1970 al 12% circa nel 2009.

Ridurre gli sprechi. La crisi economica che ci sta colpendo ha ridotto, secondo un indagine di Coldiretti-Swg del 2011, del 57 per cento lo spreco alimentare. Ben tre italiani su quattro, infatti, prestano maggiore attenzione alla spesa rispetto al passato per combattere gli sprechi e quindi risparmiare di più. Ma ancora è troppo poco. Per coinvolgere i comuni e tutta la popolazione, l’associazione Un anno contro lo spreco, che ha come obiettivo principale la sensibilizzazione dell’opinione pubblica europea ed italiana sulle cause e le conseguenze dello spreco, ha progettato la carta SprecoZero nella quale i comuni firmatari si impegnano ad attivare il decalogo di buone pratiche contro lo spreco alimentare che rende subito operative le indicazioni della Risoluzione del Parlamento europeo contro lo spreco.

Lo scopo della campagna, quindi è rendere consapevole l’opinione pubblica sul valore positivo del cibo e dell’alimentazione e sulle conseguenze dello spreco alimentare dal punto di vista economico, ambientale e sociale al fine di favorire una cultura economica e civile improntata ai principi della sostenibilità e della solidarietà, per raggiungere l’obbiettivo di dimezzare entro il 2025 gli sprechi alimentari.

Per maggiori informazioni e per aderire all’iniziativa visita unannocontrolospreco.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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