Per la società IHS, il Daesh o sedicente Califfato di Abu Bakr al Baghdadi nel 2015 ha potuto disporre di circa 80 milioni di dollari al mese. Secondo lo studio il fiume di denaro dello Stato islamico, spiega Columb Strack, della società di analisi quotata in Borsa a New York, per il 50% proviene dalle tasse sui servizi e sulle attività commerciali, agricole e industriali, su cui viene imposta un’aliquota secca del 20%, e il 43% dalla vendita di petrolio e gas dei giacimenti sotto il suo controllo in Siria e Iraq (circa 11). Solo il 7% proviene da donazioni o attività criminali, come il commercio di droga e antichità.
Grazie a tutte queste attività i militanti jihadisti dello Stato Islamico riuscirebbero, quindi, a guadagnare quasi 3 milioni di dollari al giorno. Dalla sola area di Mosul, e in particolare dal controllo della più grande diga irachena, l’Isis starebbe ricavando 8 milioni di dollari al mese.
“A differenza di al-Qaeda”, sottolineano gli esperti, “lo Stato islamico non dipende dai soldi di donatori stranieri, questo per evitare di essere vulnerabili alla loro influenza. La nostra analisi indica che il valore delle donazioni esterne allo Stato islamico è minima, rispetto ad altre fonti di reddito”.
L’Isis è un’organizzazione sofisticata, capillare e fortemente strutturata. Uno Stato, insomma. Con le sue regole, i suoi divieti e i suoi bilanci. Il suo potere non è solo politico, ma anche economico. Lo Stato islamico ha accumulato un patrimonio di quasi 2 miliardi di dollari. Altro che banda di pazzi.
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