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L’Europa al bivio

Euroregimi - Fonte Limes

 

Si è cominciato due settimane fa con il primo turno francese. Poi giovedì scorso le amministrative nel Regno Unito. Ieri il ballottaggio in Francia, le legislative in Grecia e le regionali in Schleswig-Holstein (Germania). Oggi amministrative in Italia. Il prossimo weekend si vota nel ben più importante Land del Nord-Reno Vestfalia (Germania). Poi ancora il 20 e 21 maggio il secondo turno delle amministrative in Italia. Il 31 maggio, invece, l’Irlanda vota il referendum sul Fiscal compact, il nuovo trattato europeo. A giugno (10 e 17) ci saranno le legislative francesi e a settembre le elezioni in Olanda, entrata in crisi sulle misure d’austerità.

Sopravviverà l’Europa a questo esercizio di democrazia?

No, se non ci sarà un cambio significativo di rotta. Il dato generale mostra che i governi in carica pagano la crisi e le misure di austerità. In Francia Hollande vince secondo le aspettative dopo una campagna contro il duo Merkozy e il Fiscal compact. In Schleswig-Holstein la CDU, pur essendo il primo partito, perderà probabilmente il controllo del Land. Anche domenica prossima in Nord-Reno Vestfalia si attende un risultato favorevole alle opposizioni.

Il successo di Hollande e l’indebolimento della Merkel porteranno a un cambiamento dei pesi al tavolo del Consiglio e alla geopolitica europea. Anche in Olanda, la miglior alleata del rigore tedesco, secondo i sondaggi la maggioranza attuale composta da cinque partiti non sarebbe confermata. Infine, non è scontata una vittoria del sì in Irlanda sul Fiscal compact. Già nel 2008 il paese aveva votato contro a un primo referendum sul trattato di Lisbona. In questo caso perderebbe accesso ai fondi di salvataggio europei, ma non metterebbe in pericolo il trattato stesso che non necessità della ratifica unanime (sarebbe pur sempre una sconfitta grave per i promotori).

Il tema della crescita sarà (e da almeno due settimane è già) il punto di discussione principale. Il Fiscal compact non sarà messo nel cassetto, ma completato con degli strumenti per promuovere la crescita, il cosidetto “Growth compact”. Hollande, come ha detto durante il dibattito televisivo di mercoledì scorso, punta a un coinvolgimento più importante della Banca europea degli investimenti (Bei), alla nascita dei project bonds europei per finanziare infrastrutture e ricerca a livello comunitario e a un uso più efficace dei fondi strutturali.

All’elettore bavarese non farà piacere, ma forse renderà più facile il cambio di rotta della Merkel che ha ben capito che non si può percorrere ulteriormente la strada dell’austerità fine a se stessa. I lavoratori tedeschi chiedono aumenti e salari minimi e la Merkel, approfittando della sconfitta eclatante del suo partner di coalizione, i liberali della FDP, è disposta a sostenerli. Per altro, anche la SPD ha condizionato il voto favorevole al Fiscal compact (in Germania servono i due terzi del Bundestag) all’adozione contestuale di un pacchetto di crescita.

La Grecia preoccupa di più. I due partiti maggiori sono annientati dalle estreme. Nea Demokratia, il partito conservatore, è primo ma con quasi la metà dei voti della scorsa volta, in cui perse. Samaras, il leader di destra, sarà incaricato del mandato esplorativo per formare un governo. Il Pasok, socialista, è solo terzo e insieme non hanno la maggioranza per fare una grande coalizione pro-europea. Secondo è il partito di sinistra radicale Syriza con il 16%. I comunisti raccolgono l’8%, i nazionalisti il 10% e i neonazisti il 6%. I veri vincitori sono i partiti anti-Bruxelles (insieme sono al 40% contro il 34% di Nea Demokratia e Pasok).

Se non ci sarà un accordo, il governo non sarà più in grado di pagare gli stipendi e le commesse pubbliche, il collocamento dei nuovi buoni del tesoro nazionali è ad alto rischio e l’uscita dall’euro per nulla remota. Lo spettro del default torna in scena prepotentemente. Come già scritto tre mesi fa, “le prospettive macroeconomiche della Grecia non sono buone, con o senza default: la bancarotta imporrebbe una perdita per tutti i cittadini e imprese possessori di titoli di Stato greci, ma porterebbe anche al fallimento le banche greche e quindi a una forte restrizione del credito per le imprese. Inoltre un default non risolverebbe per magia i problemi strutturali: i livelli di spesa pubblica continuano a eccedere di molto i livelli delle entrate. Senza riforme strutturali del servizio pubblico, del mercato del lavoro, della fiscalità (e soprattutto dell’evasione fiscale) che sono quelle che impongono i sacrifici più grandi, la Grecia non riuscirà a ripartire”. Inoltre, il default greco pone un serio rischio contagio per gli altri paesi in difficoltà a partire da Portogallo e Spagna – e di conseguenza Italia ma anche Francia.

Quindi “crescita” è il mantra del momento. Tra i giornalisti di Bruxelles c’è già chi si diverte a contare quante volte la parola magica viene pronunciata nelle conferenze stampa. Ma come scriveva il premio Nobel Robert Solow, il padre della teoria della crescita, “conosciamo gli ingredienti della crescita, ma non la ricetta esatta”. Per di più molti di questi “ingredienti” sono immateriali (capitale umano e sociale), mentre altri richiedono molti anni prima di avere effetti tangibili (infrastrutture, ricerca e sviluppo).

Qualunque piano sarà adottato, quindi, non potrà avere effetti immediati anche nel migliore dei casi. Però potrà ridare una prospettiva e un senso ai sacrifici attuali. Manca una visione chiara al di là delle note contabili di pareggio di bilancio. Questa visione, elemento intangibile e un po’ retorico, non aiuterà solo a riconquistare gli elettori, ma anche a far capire ai famigerati “mercati” che la leadership europea esiste e ha un piano. Fino ad ora il messaggio è stato esattamente l’opposto e né i mercati né gli elettori si sono fatti fregare.

(Fonte Limes)

2012: l'Italia deve uscire dall'Euro?

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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