Solo nell’ultima settimana i jihadisti dello Stato Islamico (Isis) hanno compiuto 41 attacchi suicidi tra Iraq, Siria, Egitto e Belgio. Il bilancio di questa attività terroristica è stato pubblicato sui social media dagli internauti del Califfato con un’infografica dove vengono indicati numeri, luoghi, obiettivi e vittime (400 compresi i kamikaze). Una media di sei attacchi kamikaze al giorno.
L’analisi sugli attentati di Bruxelles di Bernard E. Selwan Khoury, direttore di Cosmonitor:
È la ghazwa di Bruxelles, la “razzia” della capitale istituzionale dell’Europa, come leggeremo nel comunicato di rivendicazione a cui ci ha tristemente abituati il sedicente “Stato Islamico” (Is). “Uccideteli ovunque li troviate”, è il titolo del video con cui l’Is ha rivendicato gli ultimi attentati di Parigi; un titolo che l’IS ha estrapolato, strumentalizzandolo, da un versetto del Corano.
Questa volta i jihadisti sono tornati a colpire in un attacco più volte preannunciato, hanno ucciso gli “infedeli dovunque li hanno trovati”. O quasi.
Perché dal punto di vista politico, questo attacco è il più rilevante mai condotto da un’organizzazione jihadista internazionale: non solo ha colpito il cuore simbolico dell’Europa, ma lo ha fatto nei luoghi vicini al centro del potere europeo.
Rispetto agli ultimi attentati, questo di Bruxelles assume una grande valenza simbolica e un successo senza precedenti per l’audience jihadista e rappresenta una grave campanella d’allarme per la comunità europea e occidentale: lo Stato Islamico non è (più) soltanto in Siria e Iraq, né in Libia, ma nel cuore più intimo dell’Europa.
In quella parte d’Europa – il Belgio – che più di altre negli ultimi decenni ha accolto migliaia di immigrati di fede musulmana, dai quali sono fuoriusciti centinaia di foreign fighters (sono stimati in 500 circa quelli partiti dal Belgio) e coloro che hanno attaccato Parigi prima e oggi Bruxelles. Oltre al fattore politico e di sicurezza, appare assai urgente ripensare radicalmente i concetti di immigrazione, integrazione e convivenza.
Il grave attentato di oggi dimostra, ancora una volta, il fallimento delle politiche di integrazione finora adottate. Due anni fa circa, lo Stato Islamico ha pubblicato un video che mostra le sue attività nella “terra del Califfato”, fra Siria e Iraq. In questo filmato compare un cittadino belga di origini marocchine, partito per la Siria con la sua famiglia. Di fronte alla telecamera, chiede a suo figlio, poco di più di 6 anni e nato in Belgio: “Ti piace vivere di più qui nella terra del Califfato o nella terra degli infedeli (il Belgio)?”. Scontata la risposta forzata del bambino.
Questo, assieme alla rivoluzione demografica in Belgio e al movimento “Sharia4Belgium” rappresentano la punta di un grande iceberg, che oggi ha mostrato una parte inquietante di sé. Non è possibile escludere oggi la possibilità che lo Stato Islamico proclami, almeno a parole, la nascita di un “Emirato Islamico in Belgio”.
L’attacco di oggi è stato una prova per un’invasione dell’Europa che l’Is ha seriamente intenzione di compiere a forza di ghazwa, razzie. Difficile che ciò accada al momento. Come del resto era difficile pensare prima del 2001 che potessero essere colpite le Torri Gemelle con due aerei civili, nonostante la pianificazione dell’operazione fosse sul tavolo di al-Qa’ida già dal 1993.
Ha scritto su “Gli occhi della guerra” Fulvio Scaglione:
[…] in Belgio, e in particolare nella capitale, c’è una rete islamista ben radicata.
E questa rete si è formata perché gliel’abbiamo permesso. Anzi: li abbiamo invitati noi. Sembra uno scherzo, purtroppo non lo è.
Dobbiamo risalire al 1969, anno in cui re Baldovino del Belgio donò a Faisal dell’Arabia Saudita, in quel momento ministro degli Esteri e principe ereditario ma ormai prossimo a sottrarre il trono al fratello Saud, il Pavillon du Cinquantenaire, in pieno centro di Bruxelles, con un affitto simbolico per un periodo di 99 anni.
In poco tempo i sauditi trasformarono il padiglione in una grande moschea e nel Centro islamico e culturale del Belgio, il primo focolaio di diffusione del wahhabismo (la forma di islam che in Arabia Saudita è religione di Stato) in Europa. Erano gli anni del boom economico in Europa e quindi della grande corsa alle risorse energetiche del Medio Oriente. Baldovino organizzò per Faisal, in visita di Stato in Belgio, una grande cerimonia.
Faisal, che nel 1962 aveva fondato la Lega islamica mondiale, ovvero il “braccio” caritativo e finanziario dell’islam radicale nel mondo, non perse tempo e cominciò a finanziare le attività della moschea e del Centro, dando il via alla lunga serie di predicatori wahhabiti che ne hanno animato le attività. Problemi di fondi non ce ne sono: è stato calcolato che la sola Arabia Saudita abbia dotato la Lega, dal giorno della fondazione a ora, di almeno un miliardo di dollari.
In cinquant’anni si avvicendano le generazioni e si formano tante migliaia di giovani. Tra loro anche quelli che hanno coperto il latitante Salah Abdeslam e si sono fatti saltare nell’aeroporto.
(Fonte limesonline)