I giochi nacquero proprio in Gran Bretagna, 62 anni fa, grazie all’attività del neurologo Ludwig Guttman, convinto dell’importanza dello sport nei processi di riabilitazione dei disabili. Ma fu un medico dell’INAIL, Antonio Maglio, a dare all’evento una caratura di livello mondiale.
Per molti aspetti l’edizione delle Paralimpiadi di Londra 2012 rappresenta un felice ritorno agli albori per questa manifestazione. Si deve infatti, al medico britannico Sir Ludwig Guttmann, neurochirurgo e direttore del centro di riabilitazione motoria dell’ospedale di Stoke Mandeville, una cittadina del Buckinghamshire, l’idea di organizzare – 62 anni fa – una competizione sportiva che interessasse i veterani della seconda guerra mondiale che, nel corso del conflitto, avevano riportato danni alla colonna vertebrale. Guttmann aveva aperto il suo centro il 1° febbraio del 1944, ma la prima edizione dei “Giochi di Stoke Mandeville” venne disputata solo il 28 luglio di quattro anni dopo.
La grande intuizione del “De Coubertin dei disabili”. Guttmann – ormai riconosciuto nella sua grande statura di luminare (basti pensare che papa Giovanni XXIII lo definì “il De Coubertin dei disabili”) aveva posto al centro del suo approccio terapeutico la convinzione dell’importanza della collaborazione attiva del malato (unitamente alle cure mediche) nei processi di riabilitazione. Una convinzione che lo spinse a studiare e a realizzare con grande impegno dei programmi di allenamento ai quali partecipavano tutti i pazienti di ambo i sessi che arrivavano presso il suo centro. I risultati non si fecero attendere: chi si sottoponeva alle cure di Sir Ludwig sviluppava, infatti, una solida muscolatura delle braccia e delle spalle, con progressi di recupero macroscopicamente superiori a quelli raggiunti attraverso la normale chinesiterapia. La pratica sportiva, inoltre – consentendo di acquisire equilibrio e abilità motorie nell’uso della sedia a rotelle – gli permetteva di spostarsi più agevolmente e, dunque, di godere di una vita di relazione più intensa e gratificante.
I Giochi di Stoke Mandeville assumono un respiro europeo. Ai primi Giochi di Stoke Mandeville parteciparono diversi ex membri delle Forze Armate britanniche. L’iniziativa riscontrò un grande successo, anche mass-mediatico, e furono molti i medici e i tecnici di tutto il mondo che, in seguito, vennero in visita al centro britannico per apprendere il “segreto” di queste metodologie riabilitative. Nel 1952 parteciparono alle gare anche degli atleti olandesi: una novità, questa, che permise alla manifestazione di assumere un carattere internazionale.
La sfida di un medico dell’INAIL. Ma l’avere dato ai giochi una autentica dimensione planetaria è merito principale di un medico italiano, Antonio Maglio, direttore del Centro paraplegici dell’INAIL di Villa Marina, a Ostia: il “padre” della sport terapia e del paralimpismo. Amico di Guttmann, Maglio gli propose, infatti, di disputare a Roma l’edizione del 1960 dei giochi di Stoke Mandeville, immediatamente a ridosso della XVII Olimpiade che si sarebbe svolta nella capitale. Maglio garantì al collega britannico che avrebbe persuaso le maggiori autorità politiche e sportive del Paese a ospitare le competizioni negli stessi impianti e alloggi che, poco prima, avrebbero dovuto ospitare le sfide olimpiche.
Da Roma a Tokyo: le gare assumono una dimensione planetaria. Grazie alla sua rete di contatti e al ruolo svolto all’interno dell’INAIL, Maglio riuscì pienamente nel suo intento e, da quel momento, tutto il mondo ebbe la consapevolezza di quanto lo sport e l’agonismo potessero essere una risorsa determinante per tante persone disabili. Nel corso della manifestazione, poi, Guttmann e Maglio strinsero un forte rapporto di collaborazione con la delegazione giapponese, facendo sì che i giochi si potesse svolgere, nel 1964, a Tokyo in occasione della successiva olimpiade di Tokyo, la prima della storia in territorio orientale.
Anno dopo anno, sempre più grandi. Col passare del tempo i giochi paralimpici hanno assunto sempre più spessore e rilievo. Se a Tokio, per esempio, i partecipanti furono 390, quattro anni dopo – in occasione dello stesso evento a Tel Aviv – gli atleti in gara era già 750, acclamati da pubblico di 25mila persone. Ancora, nel 1972 i Giochi si svolsero ad Heidelberg (Germania), con oltre mille disabili impegnati nelle prove, mentre furono 1.500 quelli a Montreal nel 1976 (occasione dove esordirono anche atleti non vedenti o amputati) e 3.200 a Seul, nel 1988, con una importante manifestazione con 65 nazioni partecipanti, al cospetto di un pubblico di 100mila persone. Per rendersi conto di questa escalation numerica: nell’ultima edizione di Pechino, nel 2008, hanno gareggiato più di 4mila atleti, in rappresentanza di 150 nazioni.
E li chiamano disabili. Storie di vite difficili coraggiose stupende . Sedici storie di uomini e donne che hanno avuto il coraggio della non-rassegnazione. Un viaggio in un territorio di confine che spesso viene ignorato o addirittura cancellato. Eppure questo territorio esiste. Ed è abitato da persone straordinarie, piene di coraggio, di voglia di vivere, di tenacia, di passione e tenerezza. Cannavò li presenta con grandissima intensità e con uno stile magistrale. Uomini e donne che vivono, sognano, lavorano, si emozionano, anche se sono senza braccia o costretti sulla sedia a rotelle o ciechi dalla nascita.