ALTRO CHE BAMBOCCIONI E LAUREATI INFARCITI DI SOLA TEORIA: IN GERMANIA CHI TERMINA GLI STUDI HA GIÀ ALLE SPALLE ESPERIENZE PROFESSIONALI CHE GLI SPALANCANO L’INGRESSO NELLE GRANDI AZIENDE. GRAZIE AL SISTEMA DUALE IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE GIOVANILE NON SUPERA L’8% .
In Germania l’istruzione nazionale ha soprattutto un obiettivo: proiettare i giovani nel mercato del lavoro, fornendo loro una qualifica professionale adeguata. È il sistema duale, così definito dagli esperti di formazione perché si basa su due pilastri, lo studio e il lavoro, e prevede dei programmi di apprendistato nelle aziende, che iniziano spesso quando i giovani sono ancora in età scolare e hanno appena compiuto i 15 o i 16 anni. Un sistema che affonda le proprie radici nella pragmatica cultura tedesca, che considera l’affermazione in campo professionale o l’apprendimento di un mestiere come il primo presupposto per la realizzazione personale e privata di ogni cittadino. «Si tratta di un modello di istruzione seguito non soltanto in Germania, ma anche in molti altri Paesi del Nord Europa», spiega Dario Nicoli, docente di sociologia economica del lavoro all’Università Cattolica e autore assieme a Guido Gay del saggio Sistemi di formazione professionale a confronto. Il sistema duale si contrappone al modello francese che, al posto della qualifica professionale, ha in primo luogo un altro obiettivo, ovvero fornire a tutti gli studenti un’educazione scolastica di livello superiore, su cui le competenze in campo lavorativo possono innestarsi in un secondo momento.
Difficile stabilire quale dei due modelli sia migliore, ma una cosa è certa: il sistema tedesco non è affatto da buttare, visto che in Germania la disoccupazione giovanile è attorno all’8%, contro il 22% della media europea, il 23% della Francia e il 29% circa dell’Italia. A Berlino o a Francoforte, come in molte altre città della Repubblica Federale, i giovani appena usciti dalle aule delle università o dagli istituti scolastici faticano meno a trovare un’occupazione rispetto a molti loro coetanei europei. In circa il 50% dei casi, gli ex-studenti tedeschi che iniziano a lavorare sono assunti proprio dalle stesse aziende in cui hanno svolto un periodo di apprendistato durante la scuola.
Spesso il sistema di formazione duale presenta notevoli differenziazioni geografiche, essendo gestito in buona parte dai singoli Land. Una caratteristica peculiare del modello tedesco, spesso criticata, è quella di imporre agli alunni una scelta sul proprio percorso di studi fin da giovanissimi. Terminata la scuola primaria (Grundschule), che dura quattro anni, gli studenti si trovano a scegliere tra tre indirizzi diversi: il Gymnasium, la Realschule e la Hauptschule. Il primo si caratterizza per una istruzione di base (simile a quella dei licei italiani) e non prevede un percorso di inserimento professionale. Il secondo è caratterizzato da una prima fase di formazione generale seguita da un’altra molto più pratica (Fachoberschule), con esperienze di apprendistato nelle imprese. Il terzo, ancor più vicino al mondo del lavoro, prevede di solito l’inserimento graduale nelle aziende anche in età molto giovane, a partire dai 15-16 anni. Il passaggio da una scuola all’altra è sempre possibile anche se viene subordinato al rendimento ottenuto dal singolo studente e al giudizio espresso dai docenti dell’istituto. Quando iniziano l’apprendistato, gli alunni non abbandonano affatto gli studi, ma alternano il lavoro alla formazione in aula, nelle scuole di provenienza o presso la sede dell’impresa. Spesso, l’attività di docenza spetta ai dipendenti delle stesse aziende tanto che, secondo le statistiche, circa un milione di lavoratori tedeschi risulta abilitati a svolgere il training professionale per i giovani, a tempo parziale o addirittura full-time. Al termine del percorso di studio e lavoro, gli alunni devono poi sostenere un esame di abilitazione professionale, con cui possono essere assegnate diverse qualifiche.
Le qualifiche che gli studenti possono ottenere sono tantissime e sono rigidamente identificate dalla legge tedesca. In Germania, dunque, difficilmente si possono trovare dei giovani di 18 o 19 anni che non frequentano l’università e che, nello stesso tempo, non hanno ancora appreso i rudimenti di un mestiere. Un risultato che probabilmente suscita non poca invidia in molti imprenditori italiani. Secondo una recente indagine di Confartigianato, infatti, circa il 17% delle imprese della Penisola oggi incontra notevoli difficoltà nel trovare manodopera qualificata da inserire nel proprio organico, benché nel nostro Paese la disoccupazione giovanile sia elevatissima. Senza dimenticare, poi, come rivelano i dati diffusi dall’istituto di ricerca Isfol, che in Italia, l’evasione scolastica è ancora molto alta, con 120 mila giovani tra i 14 e i 17 anni (oltre il 5% del totale) “a spasso”, cioè non studiano né lavorano.
E allora: perché non importare il modello d’istruzione tedesco a Sud delle Alpi? Ricopiare alla lettera il modello tedesco è difficile, ma probabilmente vale la pena di fare qualche tentativo. Lo fece a suo tempo anche il professor Biagi, autore dell’ultima riforma del mercato del lavoro, in cui era prevista la nascita nel nostro Paese di contratti di apprendistato di primo livello, promossi dalle Regioni e basati sull’inserimento progressivo nelle aziende di giovani, che frequentano ancora gli istituti tecnici o professionali. Peccato, però, che dell’apprendistato di primo livello non si sia vista finora neppure l’ombra, a quasi dieci anni di distanza dalla riforma Biagi.
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