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L’Armata Brancaleone di Berlusconi

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Il vero esercito di Silvio non è quell’Armata Brancaleone boccalona che ha esultato alla parola “annullata”, lenimento asemantico di una tensione da analfabeti, ma la ciurma calata nelle secche di Palazzo Grazioli nell’ora più nera. Una foto, ma che dico: un bassorilievo dell’Ansa la ritrae schierata nel cortile del palazzo, le facce lugubri, gli occhi spiritati, come attesa al capezzale di qualcuno. Solo che la solennità dell’immagine cede presto il passo prima a una mestizia da matrimonio al ristorante “Lo scoglio” di Torre Annunziata, e poi scatena un fuoco di fila di allegorie involontarie, dense di funebre epica, dai Soprano in giù, fino a Lombroso. C’è Brunetta, inspiegabilmente nelle retrovie, insieme a Verdini, nero, e alla già ministra dell’Istruzione Gelmini, defilata. Nel setting “matrimonio” la Polverini appare coerentemente furibonda col catering.

Unica ad aver azzeccato il look l’ex finiana Catia Polidori, in fiorato a barchetta con croce d’oro. Alla sua destra, l’esperta di tecnologie agricole e alimentari Sabrina De Camillis, attuale sottosegretario per i Rapporti con il Parlamento del Governo Letta; alla sua sinistra, opaco, Gregorio Fontana, forzista della prima ora e convitato di pietra. Dietro, una cordata di guardie del corpo e camerieri con auricolare. Come nel dipinto “Il quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, sulla destra in prima fila si eleva, nelle nuances Terra (di Siena) bruciata, la figura della donna, progenitrice e sacerdotessa del suo popolo: quella Santanchè che, si dice, potrebbe raccogliere l’eredità di tanto lavoro del suo conducator per l’Italia che ama(va). Solo che la famiglia, si sa, costituisce un über-Stato, un oltre-Stato dove valgono i vincoli di sangue e di solidarietà, fatto di miracolati (come Raffaele Fitto, da pluri-indagato a ex ministro della Repubblica, qui in fresco di lana blu) e fulminati sulla via di Damasco (come Capezzone, appena dietro, contrito). In primissima fila Cicchitto, il cui occhio sinistro è un dettaglio emotivo che quasi ipnotizza.

La foto scatena un’oscillazione psichica: si sa che uomini e donne di spirito debole, o squilibrati mentali che vengono a contatto con un delirante, sono soggiogati dalla forza delle sue idee morbose, che accettano come che sia. Solo l’impatto con la realtà per un attimo li libera dall’incantesimo, separandoli da colui che ne è la causa. Succede allora che il delirante, messo alle strette dell’affronto del reale, i richiami all’ordine per annunciare il suo nuovo verbo, e lo fa con un’eloquenza violenta, persuasiva, con una furente mancanza di ritegno. Gli affiliati allora gli si fanno attorno, ricevono il nuova dogma dalla sua bocca, e poi vivono per divulgarlo.

È ovvio che qui non siamo in questo panorama clinico, cioè, in altre parole, qui dobbiamo escludere la buona fede. Qui i compartecipi giungono odorosi dell’incenso del potere con in mano l’abaco del consenso residuo, come nei primi fotogrammi del Divo, dove però faccendieri, cardinali, filomafiosi e complici arrivavano dal Presidente alla spicciolata, ciascuno con la propria didascalia. Qui le identità sono indistinte in un’organica fusione, come la base di un triangolo al cui vertice campeggia lui, il Capo carismatico, che aspetta nelle sue stanze. Il suo silenzio di condannato scatena nell’inconscio collettivo un inequivocabile “effetto Kafka”: la incompiutezza congenita, la cronica precarietà della sua situazione penale, ha trovato un argine nel continuum: le lacrime di un’ora dopo, in un videomessaggio tutto basato sul potere del volto, diventano distillazione di una condizione processuale perpetua, sganciamento costante dalla fissità normativa, liberazione dell’elemento schizoide. Nella loro immobilità da esercito di terracotta, le figure-statue appaiono schierate a difesa di una tomba. Della giustizia, a sentire loro. Come tanti Marlow che risalgono il fiume Congo del Codice di procedura penale, vanno a recuperare, e a obliterare per sempre, la pazzia del loro Kurtz, nel Cuore di tenebra della Repubblica.

(Fonte Il Fatto Quotidiano 3 Agosto 2013)

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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