Mentre si discute sull’ articolo 18 e sulla licenziabilità in cambio di 15 mesi di stipendio, ci sono executive che se ne vanno dall’azienda con una valigia piena di euro. E non sempre dopo performance esaltanti.
Dirsi addio, ma contenti. E’ possibile, quando l’uscita e’ ricca: 165 milioni per Francesco Trapani, ex numero uno di Bulgari, o circa 40 milioni per Alessandro Profumo, già ad di Unicredit, oppure prima ancora i 120 milioni ottenuti da Giuseppe Morchio da Pirelli, o i 32 milioni comprese le stock option per l’addio di Rosario Bifulco da Lottomatica. A proposito di Pirelli: di pochi giorni fa e’ la notizia che la società distribuirà bonus ai manager per una settantina di milioni.
Grazie a bonus o stock option, oppure la vendita di azioni accumulate, le uscite di scena d’oro possono cumulare quote fisse e variabili che coprono il periodo che manca alla naturale scadenza del contratto, patti di non concorrenza, premi per il lavoro svolto o quote azionarie. Compensi che si confrontano con l’idea su cui si discute di scambiare la possibilità di licenziare con un indennizzo pari a 15 mensilità.
La lista delle buonuscite d’oro e’ lunga e spazia dalle aziende private a quelle pubbliche. In certi casi si tratta di mega liquidazioni giustificate dall’effettivo apporto di valore che il eco ha portato nell’impresa. A partire dagli oltre 85 milioni incassati da Lorenzo Pelliccioli con Seat. In altre situazioni questa correlazione manco o non e’ visibile, in altre addirittura e’ avvenuto l’esatto contrario: l’azienda va sempre peggio, la buonuscita e’ sempre più alta. Altra tipologia e’ il premio a fine carriera. Nel 1998 Cesare Romiti, lasciando la presidenza della Fiat, ottenne una liquidazione da record: 105 miliardi di lire (66 milioni di euro), oltre a un patto di non concorrenza valutato altri 100 miliardi (50 milioni): cifre che quasi trasformarono in poca cosa i 20 milioni di euro spuntati quattro anni dopo da Paolo Cantarella, ad del gruppo torinese, anche lui come Romiti con alle spalle 24 anni di attività nell’impresa.
Per tornare a tempi più recenti, talvolta sono state le stock option a contare. Tra i casi che hanno fatto storia, quello nel 2000 di Lorenzo Pellicioli, che quando Seat va in sposa a Tin.it si porta a casa un patrimonio da 170 miliardi di lire (85 milioni di euro). Oppure proprio Bifulco, con 32 milioni di euro intascati da Lottomatica o, ancora, Morchio che per lasciare Fiat porta a casa oltre 12 milioni di titoli.
Il settore pubblico per rumenerazioni di fine rapporto non per forza correlate agli andamenti aziendali. Nel 2004 e’ l‘ad di Ferrovie dello Stato, Giancarlo Cimoli, a incassare una liquidazione di 6,7 milioni per passare in Alitalia, seppure l’azienda fosse lontana dal risanamento; nel 2006 il numero uno di Fs, Elio Catania, ha invece portato a casa 7 milioni; ancora Cimoli, da Alitalia, se ne andrà al prezzo di 6 milioni, mentre il gruppo sprofonda nella crisi. Nel 2006 Vito Gamberale molla le redini di Autostrada per 11,4 milioni.
Nel 2007 tocca a due banchiere al vertice di Capitalia smuovere il mercato e alzare le polemiche. Si tratta di Matteo Arpe e Cesare Geronzi, che a un certo punto entrano in dissidio. Ad abbandonare per primo e’ Arpe, con un gruzzolo di oltre 30 milioni. A poca distanza, quando Capitalia si unisce a Unicredit, lascia anche Geronzi, compensato con 20 milioni e la presidenza di Mediobanca.
Tra il 2008 e il 2011 ricordiamo Riccardo Ruggiero, ad telecom 13 milioni, seguito dal vicepresidente Carlo Buora 10 milioni, Luciano Gobbi, dg di Pirelli 6,3 milioni di liquidazione, Roberto Tunioli di Datalogic con 8,2 milioni (7 di buonuscita)… Per ritornare a Geronzi, che dopo quasi un anno d’incarico, termina la sua presidenza di Generali: 16,6 milioni la buonuscita. Pochi mesi prima, Fausto Marchionni si dimette, invece, dal vertice di Fondiaria-Sai con 10 milioni.
E la lista potrebbe continuare, anzi continuerà sicuramente alla faccia nostra e della riforma del mercato del lavoro che, come al solito, infierisce sui deboli ed e’ inesistente per i potenti.