“Vita liquida“, “Società liquida”, “Modernita’ Liquida
” sono espressioni create, di recente, dal sociologo Zygmunt Bauman, per descrivere le caratteristiche del mondo in cui viviamo.
La “vita liquida” è una vita nella quale sembra non ci siano punti fermi; tutto cambia molto velocemente, troppo velocemente. Stiamo ancora imparando come affrontare una situazione, ma, nel frattempo, la realtà è cambiata, la situazione è diversa, e i nostri strumenti diventano subito inadeguati o, come si dice oggi, “obsoleti”.
Tutto si mescola, che noi vogliamo o no, e si presenta diverso da come era in passato. Il “melting pot”, cioè la pentola dove le cose si mescolano insieme, era l’espressione creata, negli Stai Uniti, qualche anno fa, per descrivere la mescolanza delle razze, delle culture, delle tradizioni, degli stili che confluivano a comporre la società americana.
Questo modo di essere, che adesso chiamano “fusion”, si sta estendendo pian piano a tutto il mondo.
Cinquant’anni fa, vedere un negro per le strade d’Italia, era abbastanza un avvenimento, oggi questo fatto non desta stupore in nessuno, e percorriamo le vie delle nostre città assieme a negri, arabi, sudamericani, russi, rumeni, cinesi, giapponesi, e tanti altri che, pian piano, hanno costituito un nuovo tessuto sociale.
In certe vie, i negozi aperti dagli immigrati hanno cambiato l’atmosfera, le merci esposte provengono da paesi lontani, si sentono nell’aria i profumi di cibi diversi dai nostri, e capita, certe volte, di percorrere anche lunghi tratti di strada in città, e non sentire mai parlare in italiano.
Situazione 1 : progresso della tecnologia
Il progresso della tecnologia non è mai stato così veloce come oggi. Nel campo dell’informatica, poi, possiamo essere sicuri che quello che compriamo oggi (hardware o software) diventerà presto vecchio, se non è vecchio già nel momento dell’acquisto. Per quel che riguarda i computers, è attuale e moderno quello che viene inventato oggi in California o in Giappone. L’ultima novità, che abbiamo appena comperato in Italia, è già vecchia di almeno sei mesi, che sono più o meno il tempo necessario per la produzione e la distribuzione.
Situazione 2 : contraddizioni sociali e globalizzazione
Grosse contraddizioni vengono assorbite senza farci troppo caso: le persone che vivono a livello europeo, nordamericano, giapponese, con tutti gli agi, le comodità e le modernità, rappresentano circa l’otto per cento della popolazione mondiale, ma detengono più del settanta per cento delle risorse economiche e produttive del mondo.
E’ stato calcolato che, se tutti vivessero allo standard americano o europeo, ci vorrebbero tre pianeti come la Terra per produrre le risorse necessarie.
Per gli americani, europei e giapponesi, che se lo possono permettere, il mondo di oggi offre possibilità di godimento sconosciute o impossibili fino a cinquant’anni fa.
Possiamo passare da un aereo all’altro, girare tutto il mondo e assaporarne il meglio. Possiamo violare il tempo e inseguire l’estate, volando ai Tropici in dicembre. Guidiamo macchine sempre più potenti e veloci, in strade con limiti di velocità sempre più bassi.
La globalizzazione porta sulla nostra tavola cibi che provengono da continenti diversi. Ascoltiamo la musica di un paese lontano, leggiamo storie scritte da chi vive a decine di migliaia di chilometri da noi. Internet ha aperto, nel bene e nel male, la nostra porta di casa a tutto il mondo.
I custodi dei cancelli
Chi guadagna in questo mondo non è soltanto chi produce o vende servizi o prodotti. Chi oggi vive nella sicurezza spesso si annoia, e ha fame di esperienze emozionali, di assumere identità provvisorie, o altre identità. E così entrano in campo i “gate keepers” (“custodi del cancello”), cioè quelli che consentono di vivere queste esperienze e provare queste identità. Fanno parte di questo nuovo lavoro, i provider, che ti permettono di accedere a Internet, le televisioni satellitari o via cavo, i gestori delle reti telefoniche, chiunque faccia godere di qualche forma di intrattenimento, dal teatro al cinema, alle agenzie di viaggio che ti mandano in paesi lontani, dove potrai essere un altro, se vuoi…
Identità individuale e sociale
Chi vive nelle società industrializzate può comporre la sua identità mescolando stili diversi, come abbigliamento, cultura, cibo, musica, tecnologia, modi di vivere, importati da tutto il pianeta.
Il gioco andrà avanti, finché alla nostra ricchezza corrisponderà la povertà del terzo mondo, di coloro ai quali non è stato concesso scegliere uno stile di vita, cui il destino è stato assegnato, ai quali la società ha imposto il rango di “scarti di produzione”, nel sistema economico mondiale del “libero scambio”.
Il modello del consumismo
Perché il modello che viene offerto e presentato è solo e sempre quello del consumismo, mentre gli slogan pubblicitari ribadiscono che la nostra identità è legata ai beni che possediamo. Casa, automobile, vestiti, secondo questo modo di pensare, rivelano chi noi siamo veramente. Se l’abito è griffato, posso sentirmi più sicuro di me stesso. Se invece tutti ci tenessimo quello che abbiamo, finché non si consuma davvero, il sistema economico mondiale andrebbe in collasso.
Evoluzione della pubblicità
Negli ultimi dieci anni la pubblicità è cambiata profondamente: non dice più che il detersivo “lava più bianco”; ti fa capire invece che, se usi un certo prodotto, ti potrai identificare con i giovani, belli, ricchi, potenti, playboy o con le ninfette, veline, maggiorate, bellone, donne in carriera, che compaiono nelle réclames in TV, radio, giornali, manifesti. In alternativa, c’è chi vende l’immagine della famiglia felice, che abita nella valle degli orti, vicino al mulino bianco.
Oltre a questo aspetto, un’altra importante caratteristica del cambiamento nella pubblicità di oggi: si chiama “branding”. “Brand” è la marca di un prodotto.
Ciò che i pubblicitari cercano di trasmettere coi loro annunci, è la convinzione che un certo marchio sia quanto di meglio c’è nel settore, e che chi indossa o usa prodotti con quel marchio ne ottenga prestigio personale. Si cerca, in questo modo, di enfatizzare il marchio, per creare dei clienti “fedeli”; clienti disposti a comprare quasi tutto, a patto che sopra ci sia stampato il marchio della azienda che amano. Per fare questo, viene utilizzato un martellamento pubblicitario che presenta sempre la stessa equazione: marchio = qualità = distinzione = prestigio. In più, vengono organizzati “eventi” sponsorizzati dal marchio stesso: serate di gala, inaugurazione di nuove sedi, concorsi, awards, premiazioni, gare sportive, sponsorizzazioni di squadre o atleti, perfino azioni a favore dei popoli meno fortunati di noi, magari attraverso “maratone di solidarietà”. La presenza a questi “events” di celebrità del mondo del cinema o dello sport rafforza l’immagine del marchio e lo identifica con personaggi famosi e vincenti.
Aziende multinazionali e globalizzazione
Tutto questo, se ben gestito, consente alle aziende di cavalcare, a proprio favore, la tigre della globalizzazione. Se il mio marchio è forte, posso smettere di produrre con la mia azienda, magari in Italia, a costi più alti rispetto al Terzo Mondo, alla Cina, all’Est Europeo. Naomi Klein osservava che: “Molte, tra le aziende più note, non si occupano più di produrre le merci, ma piuttosto le acquistano, e vi appongono il proprio marchio.”
Per Bauman: “E’ il sacchetto, col marchio bene in vista, a dare significato al prodotto acquistato. Il marchio di un prodotto, non aggiunge valore a quel prodotto, ma è il valore del prodotto. Il valore di mercato, e dunque il solo valore che conti.”
Il messaggio della TV
Anche la TV è cambiata, ed è sempre più “autoreferenziale”, cioè si riferisce a se stessa. Crea un evento, un personaggio, una storia, e poi, in altri programmi, commenta questi eventi, personaggi, storie, e ne allarga la portata. E poi commenta chi commenta, e così via. In altre parole, crea un mondo.
Essere se stessi ?
E, se chi vive nel terzo mondo, oppresso da bisogni vitali, non può scegliere la propria identità, ma può cercare solo di sopravvivere, chi invece vive negli agi, è sottoposto continuamente ad un dilemma tra due messaggi contrastanti, un “doppio messaggio” che continuamente riceve. Da un lato l’invito ad “essere se stessi”, con tanto di corsi e manuali psicologici già pronti, per impararlo; dall’altro, il fatto che l’unico comportamento “individuale”, che la società tolleri, è quello del conformismo: essere uguale agli altri, potersi distinguere solo per gli oggetti che possediamo.
Libertà vs. sicurezza
Un altro dilemma è quello tra libertà e sicurezza: più aumenta una, più diminuisce l’altra e viceversa. La “società liquida” ha perso i valori del passato, le tradizioni degli antenati, i principi che guidavano le generazioni precedenti. Nell’inquietante quadro, descritto da Zygmund Bauman, viaggiamo, privi di strumenti di riferimento, verso una meta che non conosciamo, senza sapere nemmeno quanto durerà il viaggio.
Martiri ed eroi
La società occidentale dei nostri giorni si oppone a sacrificare le soddisfazioni di oggi, in vista di finalità remote. Delega al consumo la soddisfazione immediata di ogni bisogno dell’individuo, che, solo nel privato, può realizzarsi. “Gratificazione istantanea” e “felicità individuale” , ottenuti attraverso il consumo, hanno svilito gli ideali del “lungo periodo” e della “totalità”. Non esistono più valori per i quali sacrificarsi ed impegnarsi, non c’è più bisogno di martiri ed eroi. Gli eroi, protagonisti delle civiltà precristiane, misuravano la loro gloria sulla base dei nemici uccisi. I martiri, dai primi cristiani in avanti, erano disposti al sacrificio, per difendere un’idea, per dimostrare che la ragione non è sempre dalla parte del più forte e la forza non è garanzia di giustizia. Sia gli uni che gli altri, e i miti che ne sono stati tratti, hanno alimentato, in Europa, nel Cinquecento, la nascita dello Stato-Nazione. Agli inizi dell’Era Moderna, l’Europa era ancora divisa in stati dinastici, in una mescolanza di gruppi etnici e linguistici. Lo Stato-Nazione, per nascere e crescere, aveva bisogno di consenso, e patriottismo. I martiri, gli eroi della patria, i caduti nelle guerre, il milite ignoto, e i loro mausolei, elevavano a divinità il concetto di nazione. Tutto questo, per noi europei, appartiene ormai al passato, e lo stato nazione, che, con la propria sovranità, poteva garantire l’incolumità dei suoi cittadini, scricchiola oggi sempre più sotto le spinte della globalizzazione, mentre subisce macro decisioni economiche, commerciali e di mercato, prese altrove.
Profughi e indesiderabili
Un’altra nuova caratteristica riguarda il trattamento riservato agli “indesiderabili”. I criminali del passato, condannati dai Tribunali, venivano rinchiusi(dentro lo Stato)in fortezze e prigioni. I profughi di oggi, condannati dalla fame, vengono ricacciati indietro alla frontiera(fuori dallo stato): se ne occupi qualcun altro. Qualcosa di simile a quello che succedeva in Europa verso la fine del Medioevo. La “nave dei folli” non é solo una creazione letteraria successiva, ma una realtà ben presente, soprattutto in Germania, dove i borgomastri delle varie città, usavano consegnare i pazzi ai marinai e ai mercanti che percorrevano il territorio coi battelli fluviali, affidando ad essi il compito di scaricarli in qualche altra città, possibilmente molto lontana, o di lasciarli, sempre molto lontano, in qualche deserta regione di campagna. Le guerre dei nostri giorni vengono sempre più controllate da organismi internazionali, ONU, che cercano una mediazione tra le parti; abbiamo abbandonato l’antica usanza della vendetta e l’abbiamo trasformata in risarcimento economico dei danni, magari pagato dall’assicurazione. Ogni ferita ha il cartellino col prezzo.
Identità attraverso il terrorismo
Per tutti questi motivi, a noi occidentali, che abbiamo sostituito il consumo dei beni e la rapida soddisfazione a tutti gli ideali del passato, resta molto difficile capire che, ancora oggi, ci sia qualcuno disposto a sacrificare la propria vita per una causa. Gli “attentatori suicidi” islamici vengono da parte nostra ricondotti nella sfera del fanatismo religioso di persone ignoranti, che sono state condizionate fin dalla nascita. Chi ha soldi, e vive nel mondo occidentale, può costruire la sua identità personale attraverso gli oggetti di consumo che acquista (dai vestiti alle automobili). Chi non ha queste possibilità, spesso si attacca alla fede, che è gratuita; torna indietro nel tempo e diventa un martire religioso, rivestendo così un’identità molto forte. Così forte da farlo morire, spesso.
Il mondo delle celebrità
La “società liquida” ha quindi abbandonato il culto dei martiri ed eroi, e lo ha sostituito con l’ammirazione per le “celebrità”, che è molto meno impegnativo.
Per Bauman, le caratteristiche principali della celebrità sono la continua visibilità sui media, l’onnipresenza dell’immagine, la frequenza con cui viene pronunciato il nome della persona. Attori del cinema e, soprattutto, della televisione, cantanti, musicisti, sportivi, campioni, politici, esperti vari, rientrano in questa categoria di “persone note per la loro notorietà” (D.J.Boorstin, 1961).
Se ammiro un eroe o un martire, religioso o civile, vuol dire che ne seguo il pensiero, la fede, che faccio parte di un gruppo di persone accomunate da un ideale. Se sono un “fan” di una celebrità, mi posso illudere di far parte di un gruppo mondiale di persone unite dall’ammirazione per quel personaggio, non mi è richiesto nessun impegno, posso mollare da un momento all’altro, e passare ad ammirare qualcun altro. Posso anche essere “fan” di più celebrità contemporaneamente, nessuno mi criticherà per questo.
L’arte oggi
In questo contesto, anche l’arte, il suo significato, il suo valore, subiscono dei cambiamenti di fronte al mercato globale. L’antica contesa, che vedeva da un lato gli “artisti” e dall’altro i “managers”, si è appiattita in una “rivalità tra fratelli”. Gli uni hanno bisogno degli altri e viceversa. I “managers” mercanti d’arte hanno bisogno di opere da vendere; gli artisti hanno bisogno di qualcuno che venda le loro opere. Se litigano tra loro, è solo per decidere chi comanda. L’arte, oggi, viene trattata dai galleristi come un qualsiasi prodotto, che deve avere certe caratteristiche, per poter essere immesso sul mercato con speranza di successo. Il gallerista esegue uno studio di mercato per individuare i possibili clienti. Impone all’artista, che ha messo sotto contratto, di essere costante nello stile, riconoscibile, di produrre opere di piccola dimensione, di avere già eseguito qualche centinaio di opere, e averle pronte, per poter soddisfare eventuali future improvvise richieste di mercato. Richiede, cioè, il marchio e la distribuzione, come per l’abbigliamento. L’arte “buona” è quella famosa, perché esposta nelle gallerie di prestigio, presentata alle mostre, commentata sulle riviste specializzate; l’arte “cattiva”, o la “non arte”, è ciò che non ha mercato, l’opera che il gallerista ha rifiutato, perché poco commerciabile. Non esiste altro criterio, oggi, per distinguere il “valore dell’opera d’arte”. L’arte attuale non è più “rivoluzionaria”; il sistema economico mondiale non ha più paura degli artisti; anzi, tollera benissimo il fatto che ci sia una zona, l’Arte, controllata e recintata, nella quale è possibile esprimere, “artisticamente”, anche contenuti eversivi, ribelli, di critica al sistema.
Eternità dell’arte ?
Un altro cambiamento riguarda la durata nel tempo dell’opera d’arte.
Uno dei principali elementi che, fino ad oggi, caratterizzavano l’opera d’arte era la sua permanenza nel tempo, la sua “eternità immortale”. Come diceva Hannah Arendt: “L’oggetto culturale resiste al tempo”, ed ancora: “Un oggetto è culturale, in quanto sopravvive a qualsiasi utilizzo abbia potuto presiedere alla sua creazione”. Oggi non più; il sistema economico spinge avanti velocemente, ed anche le opere d’arte devono essere ammirate, usate, fruite velocemente e poi essere sostituite con nuove opere. Altrimenti il mercato si ferma. Se osserviamo da questa angolazione varie tendenze dell’arte moderna, ne rileviamo la condizione di precarietà e di breve durata nel tempo. Prendiamo, ad esempio, tutte le “installazioni” che si vedono oggi nelle mostre, gli “art video”, che concentrano tutto il mondo dell’artista in pochi minuti e in altrettanto poco tempo scompaiono; l’utilizzo di materiali “poveri”, degradabili, friabili, deperibili, come cartone, stracci, carta, che non resistono al tempo; gli interventi sulla natura, magari realizzati solo per poter scattare delle foto dall’alto; i dipinti realizzati con vernici non resistenti, le immagini che svaniscono sui computers …
I padroni dell’agricoltura
Se, dall’arte, passiamo a considerare l’agricoltura, notiamo come, con le tecnologie e le macchine agricole, portate dalla globalizzazione, l’agricoltura, oggi, produce sempre più cibo, occupando sempre meno personale. E i guadagni non ricadono sul territorio. Di conseguenza, la maggior parte della popolazione agricola, che ha perso il lavoro, e non ha altra specializzazione lavorativa, va a costituire le baraccopoli, che sorgono intorno alle grandi città. Fuori, nelle baracche, vive un numero enorme di abitanti privi di qualsiasi forma di reddito.
Dentro, in città, si reagisce a questa situazione, concentrandosi sulla propria sicurezza personale e domestica.
L’incubo della sicurezza
Si mettono in atto sofisticati sistemi di protezione domestica, con telecamere, antifurti, rivelatori di presenza. Si paga la vigilanza privata, oppure si va ad abitare in una “gated community”, centri residenziali cintati da un alto muro, con accessi sorvegliati da guardie armate, che pattugliano 24 ore su 24 il quartiere. In questa situazione, c’è chi va a lezione di arti marziali, chi frequenta il poligono di tiro, chi si mette indumenti protettivi, come certi scarponi americani. Se si esce in macchina, con la paura degli altri, allora bisogna scegliere il SUV più grosso, pesante, potente, climatizzato, corazzato, dotato di ogni sistema di sicurezza attiva e passiva. E se consuma tanto, e inquina, pazienza. Di fronte alla paura di un cambiamento sociale, inarrestabile e imprevedibile, alla ricerca di qualcosa di stabile, seguendo quelli che Freud chiamava “fenomeni di spostamento”, si conducono battaglie contro il fumo delle sigarette, i fast food, l’obesità, l’uso dei preservativi, l’esposizione al sole, il colesterolo …
Villaggio globale e spazio pubblico
Il “villaggio globale”, che ipotizzava Marshall McLuhan, non si è ancora realizzato. In compenso, le città della terra si globalizzano e diventano sempre più simili. Lo spazio e l’arredo pubblico delle città, sono “vittime collaterali” della globalizzazione e subiscono un po’ ovunque limitazioni dovute alla paura degli altri: in molti parchi degli Stati Uniti, le panchine sono a forma circolare, per impedire che i barboni ci possano dormire; oppure, dopo la chiusura del parco, si possono azionare getti d’acqua che spruzzano tutte le panchine impedendone l’uso. Già nel 1990 Richard Rogers, uno dei più famosi architetti britannici, scriveva: “Se proponiamo un progetto ad un investitore, ci chiederà subito: “A che servono gli alberi e perché mettere dei portici?”. Agli investitori interessa solo lo spazio destinato ad uffici o abitazioni. Se non riusciamo a garantire che l’edificio sarà ammortizzato entro dieci anni, è inutile fargli proposte.” Lo spazio pubblico dell’antica Grecia, la piazza (agorà) dove si svolgeva la vita sociale della città, rischia di diventare, come diceva l’architetto sudafricano Jonathan Manning, “spazio inutilizzabile tra sacche di spazio privato”. In città come queste, “le interfacce tra sfera pubblica e spazi privati, sono costituite solo dalle vetrine dei negozi o dai complessi meccanismi difensivi per tenere a distanza il prossimo: portinerie, muri, filo spinato, recinzioni elettriche.”
Paura e sperequazioni
Viviamo quindi in una società impaurita, che propone solo il consumo come ideale di vita. In questo contesto, vengono creati sempre nuovi bisogni e vengono alimentati desideri che possano essere provvisoriamente soddisfatti solo con beni di consumo. Il consumismo attuale, scrive Bauman, “è un’economia basata sull’inganno, sull’esagerazione e sullo spreco, che non sono segnali del malfunzionamento di tale economia, ma garanzie della sua salute, l’unico regime nel quale la società dei consumi può assicurarsi la propria sopravvivenza.”
Ed ancora: “La società di oggi interpella coloro che ne fanno parte, soltanto in quanto consumatori. La sindrome consumista si basa sulla velocità, sull’eccesso, sullo scarto.” Compro e butto via; destinazione finale dei miei acquisti: pattumiera.
Amore liquido
Se tutto è incerto e provvisorio, gestire un legame affettivo di lunga durata diventa un’impresa. La crisi del settimo anno di matrimonio è qualcosa che appartiene al passato. Negli Stati Uniti, la punta delle separazioni, viaggia ormai intorno ai diciotto mesi – due anni dal matrimonio. Questa società non insegna la pazienza, il sacrificio, la mediazione, lo sforzo costruttivo. Certo, liberarsi di un partner è molto più straziante, che far fuori un vecchio PC o cambiare la macchina, ma la mentalità è quella del tutto e subito, e poi di nuovo tutto e subito. Anche le amicizie richiedono costanza e impegno; in un momento come questo, avere degli amici diventa sempre più prezioso. Ma, in una società liquida, dove tutto cambia in fretta e il lavoro costringe le persone a frequenti cambi e spostamenti, mantenere viva un’amicizia diventa molto difficile, in certi casi impossibile.
La cura del corpo
Per distrarsi da queste ed altre sofferenze molte persone si dedicano alla cura del proprio corpo, oggi più che nell’Antica Grecia. Il proliferare di terme, SPA, wellness center, palestre, saune, centri di massaggio, assieme ai volumi di vendita dei prodotti dedicati alla cura del corpo e alla bellezza , ne sono la prova.
Osserva Bauman: “Nella società dei consumatori, la fitness sta al consumatore come la salute stava al produttore nella società dei produttori.”
Salute e fitness, tuttavia, non sono obiettivi che possano essere raggiunti una volta per sempre, ma rappresentano un impegno che dura per tutta la vita, e che produce, in molte persone, un’ansia che non riesce a spegnersi, se non provvisoriamente.
Su questi timori si innestano le azioni pubblicitarie di esperti di marketing, che cercano di pilotare l’ansia, della donna e dell’uomo di oggi nei confronti del proprio corpo, come qualcosa di risolvibile, magari con un bagno turco in una SPA di lusso.
A chi troppo…
L’attenzione, a questo punto, si sposta sulla alimentazione.
La questione “grasso o magro”, è strettamente legata alla promozione del corpo del consumatore, come obiettivo centrale del marketing.
Anoressia e bulimia, in questo contesto, possono essere viste come caratteristiche della società dei consumi. La percentuale degli obesi negli Stati Uniti non accenna a calare. Il New York Times ha definito, recentemente, la guerra contro l’obesità come “la guerra culturale del nuovo secolo”.
Avere un figlio oggi
In questa trasformazione permanente, nella società occidentale, opulenta e liquida, anche il concetto di maternità e il desiderio di avere figli subiscono dei cambiamenti. Viene affermata la morte del “mito della maternità”, e si mette in luce il costante, faticoso impegno, che pesa sulle spalle di chi si occupa di bambini. La donna che lavora, la “donna in carriera”, oggi, ha poco tempo a disposizione ed é molto lontana dall’immagine del passato di “regina della casa”, “angelo del focolare”, “casalinga” più o meno “disperata”. Fare un figlio e seguirlo è un impegno a lunga scadenza, ben diverso dalla soddisfazione immediata di un desiderio, come ci viene proposto dalla pubblicità. Bauman lo paragona a firmare un assegno in bianco o prendersi la responsabilità, per cose che non si conoscono, e non sono prevedibili. A livello finanziario, avere un figlio significa quasi sempre una perdita di reddito, associata ad un grosso aumento delle spese familiari.
Bambini: futuri consumatori
I bambini di una volta, considerati “il futuro della nazione”, venivano educati per la continuità dello Stato nel quale vivevano. Dovevano diventare cittadini responsabili, partecipare al processo produttivo oppure difendere lo Stato servendo sotto le armi. Il destino dei bambini di oggi è diventare dei consumatori sempre più precoci. L’attività di marketing, rivolta ai bambini, tende a trasformarli in “decisori informati”, dotati di conoscenza dei prodotti, che possano pilotare gli stessi genitori negli acquisti.
Lavoro provvisorio e formazione permanente
Se consideriamo, adesso, il mondo del lavoro nella società liquida rileviamo anche in questo campo i continui cambiamenti prodotti dalla globalizzazione del mercato dei consumi. Jacek Wojciechowski, esperto di insegnamento universitario, nel 2004, osservava: “Una volta la laurea offriva un salvacondotto per esercitare la professione, sino all’età della pensione: ma questa ormai è storia. Al giorno d’oggi, la conoscenza deve essere continuamente rinnovata, e anche le professioni devono cambiare.” La necessità di acquisire sempre nuove conoscenze, per poter galleggiare sul mondo del lavoro, unita al rapido invecchiamento delle tecniche di ieri, producono ignoranza e alimentano il mercato dei vari “corsi professionali” e “di aggiornamento”. Il concetto di “lifelong education” o “educazione permanente”, è frutto di questa situazione e tende a diventare una necessità per la gran parte delle categorie lavorative. Il rischio costante, che ne deriva, è quello di essere “esclusi dal gioco” e “buttati fuori bordo”, di subire la perdita del lavoro, sia a livello individuale che come azienda. Tutto questo alimenta l’ansia di vivere. Se poi si considera questo fenomeno su scala mondiale, rileviamo che è su questa base che si fonda la differenza tra Terzo Mondo e Mondo Occidentale. Quante più conoscenze, tecniche soprattutto, saranno necessarie per affrontare il mondo del lavoro, tanto più si allargherà il gap tra i due mondi, creando e aumentando ingiustizie sociali, con tutti i possibili, devastanti, effetti collaterali.
Istruzione pubblica vs. privata
Il discorso diventa politico e si concentra sulla scelta se gestire l’istruzione a livello statale o lasciarla al mercato “privato e libero”. Quest’ultimo è rappresentato dalle scuole professionali e di specializzazione, gestite come aziende, senza nessuna “mission” sociale.
Negli Stati Uniti, solo il 19 % di coloro che appartengono alle classi sociali meno abbienti, riesce a completare i propri studi e ottenere un diploma. Se invece osserviamo classi sociali con maggiore reddito, questa percentuale sale al 80 %. Se il “mercato dell’insegnamento” viene affidato alle scuole private a pagamento, e lo Stato non interviene, assisteremo ad un sempre maggiore aumento delle ingiustizie sociali e di tutte le tensioni che ne derivano.
Empowerment
Contro questo fenomeno dell’ignoranza, che produce poi abbandono della sfera politica, la Commissione delle Comunità Europee, già nel 2001, ha ribadito la necessità di creare, a livello dei vari Stati, sotto la gestione dei diversi Ministeri dell’Istruzione, uno spazio dedicato all’apprendimento e all’aggiornamento. Questo impegno dei singoli Stati sarà coordinato dalla Comunità Europea, che lo manterrà tra i suoi obiettivi prioritari.
Una gestione pubblica dell’istruzione, realizzata in un contesto europeo democratico, produce il cosiddetto “enablement” o “empowerment”. Secondo Bauman, “un autentico empowerment, richiede che si acquisiscano non solo le abilità necessarie, per giocare con successo un gioco progettato da altri, ma anche dei poteri per influenzare gli obiettivi, le poste e le regole del gioco: non solo le abilità personali, ma anche i poteri sociali.
(…) L’empowerment è la ricostruzione dello spazio pubblico progressivamente abbandonato, in cui gli uomini e le donne possano impegnarsi, in una continua traduzione tra ciò che è individuale e ciò che è comune, tra interessi, diritti e doveri, privati e pubblici.”
Per Bauman, se la sfera pubblica e sociale deve rinascere nel mondo occidentale, oltre alle abilità tecniche, abbiamo fortemente bisogno di “capacità di interazione con gli altri – di dialogo, di negoziato, di raggiungimento della comprensione reciproca e di gestione o risoluzione dei conflitti, inevitabili in ogni situazione della vita collettiva.” Dobbiamo cioè acquisire delle competenze in materia di cittadinanza attiva.
Il consumatore è nemico del cittadino
Ma, osserva Bauman: “Il consumatore è nemico del cittadino (…) e, ovunque, nella parte sviluppata e opulenta del pianeta, si moltiplicano i sintomi dell’allontanamento delle persone dalla politica, della crescita della apatia e del calo di interesse per il funzionamento del processo politico.” “Il mondo vuole essere ingannato”, scriveva Theodor W. Adorno, ma la democrazia è in pericolo, quando i cittadini non riescono a tradurre le proprie ansie e difficoltà personali, sotto forma di azioni democratiche collettive e preoccupazione a livello pubblico e politico. Parafrasando una frase di Pierre Bordieu, colui che non comprende il presente, non può pensare di controllare il futuro. Dobbiamo imparare a pensare in modo diverso, da come siamo stati abituati finora.
Mercato globale
I mercati dei capitali e delle merci si sono trasferiti in “un nuovo spazio, socialmente extraterritoriale”, ben più forte dello spazio del singolo Stato Nazione, e per affrontare questa nuova situazione sono necessari strumenti diversi da quelli finora adoperati. Altrimenti, per la maggior parte dell’umanità, la globalizzazione significherà un netto e progressivo deterioramento delle condizioni di vita, accompagnato da continua insicurezza e ansia esistenziale.
Nuove soluzioni
Le condizioni necessarie per la sopravvivenza dell’umanità non sono più divisibili e gestibili a livello locale o statale. Se le nostre difficoltà sono originate da problemi planetari, sono necessarie soluzioni planetarie.
Lo spazio pubblico dello Stato Nazione è stato allargato a tutto il mondo: come osserva Bauman, “il dramma contemporaneo è vasto come l’umanità, clamorosamente e decisamente globale”. A questa situazione si può opporre la logica della “responsabilità planetaria” che, per Bauman, significa “il riconoscimento del fatto che tutti noi, che viviamo su questo pianeta, dipendiamo gli uni dagli altri, per il nostro presente e il nostro futuro; che nulla di ciò che facciamo, oppure omettiamo di fare, può essere indifferente per il destino di chiunque altro; e che nessuno di noi può più cercare e trovare un riparo privato, dalle tempeste che possono nascere in qualsiasi parte del globo”. E’ quindi indispensabile creare un nuovo tipo di “cornice globale”, che impedisca alle iniziative economiche, in qualsiasi luogo sulla Terra, di seguire soltanto il profitto, ignorando gli effetti e i danni collaterali e trascurando l’impatto sociale dell’equilibrio costi e risultati. Come sarà questa nuovo modo di pensare? Secondo Bauman “non possiamo conoscere i contorni e la forma che assumerà. Tuttavia possiamo essere certi che la forma non ci apparirà familiare. Essa sarà diversa da tutto ciò che per noi è consueto”.
(*Dott. Roberto Vincenzi)