
Fonte franzaospagnapurchesemagna
La corruzione ci ruba il futuro, in tutti i sensi. Siamo il Paese più corrotto in Europa con un giro d’affari di 62 miliardi di euro all’anno. Una mega tassa occulta che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e ambientale. La corruzione costa ma non tutti pagano allo stesso modo. A farne le spese sono le fasce deboli, i poveri, gli umili, le cooperative sociali che chiudono, gli enti che sono costretti a tagliare sull’assistenza, sulle mense scolastiche e non ce la fanno ad andare avanti. Un cancro che mina quotidianamente il rapporto di fiducia tra cittadini ed istituzioni, alimentando un clima diffuso di sospetto. È possibile tentare una stima, per quanto grezza e approssimativa, dei costi economici della corruzione. Secondo la World Bank, nel mondo sono pagati ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti, va sprecato a causa della corruzione circa il 3 per cento del PIL mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, nella sola dimensione monetaria si calcola che annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura prossima a 50-60 miliardi di euro l’anno, costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Detta altrimenti, la corruzione peserebbe per circa mille euro annue su ciascun individuo. Un diverso sondaggio – il Global corruption barometer di Transparency International – nel 2010 conferma l’ordine di grandezza della prassi quotidiana della corruzione: nell’anno precedente il 13 per cento degli italiani ha pagato tangenti per ottenere almeno uno tra nove diversi servizi pubblici (in settori come sanità, giustizia, polizia, utilities, fisco, istruzione, etc.), quando la media tra i Paesi dell’Unione Europea è del 5 per cento. Nell’ultima rilevazione del 2011 l’Italia mantiene una posizione di coda: il 12 per cento dei cittadini italiani si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8 per cento. In termini assoluti, questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa 4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti.
Politici corrotti. Nell’ultima legislatura, tra il 2008 e il 2012, sono stati 90 i parlamentari indagati, condannati o arrestati per corruzione, concussione, truffe e abuso d’ufficio, di cui 59 del PDL, 13 del PD e 8 dell’UDC, circa il 10 per cento di quelli che siedono alla Camera o al Senato. Nello stesso periodo, gli amministratori locali coinvolti da inchieste giudiziarie per gli stessi reati sono stati circa 400, di cui 110 del PD e quasi il triplo del PDL. Ma le pendenze o i precedenti penali di un politico non precludono di norma alla ricandidatura, né alla rielezione. Così, nonostante le disposizioni contrarie del codice di autoregolazione approvato dalla commissione parlamentare antimafia, 45 condannati – 5 per associazione mafiosa, 34 per usura ed estorsione, 2 per riciclaggio, 4 sorvegliati speciali – hanno trovato posto nelle liste delle elezioni amministrative del 2010, 11 di essi sono stati eletti.
Da più di vent’anni, quelli trascorsi dall’avvio di “Mani pulite”, la questione della persistenza di sacche di corruzione sistemica in Italia entra a fasi alterne nel discorso pubblico, di solito quando un nuovo scandalo investe esponenti politici di spicco attirando l’attenzione dei mass media. La vicenda processuale si trascina poi stancamente tra lungaggini procedurali e artifici dilatori degli avvocati, i riflettori si spengono, il più delle volte la prescrizione azzera l’iter prima del giudizio definitivo. Ne conseguono due effetti speculari: per un verso si rafforza l’aspettativa di impunità dei protagonisti; per un altro cresce il senso di impotenza degli spettatori. Le vicende di corruzione, quando emergono, spesso rivelano una trama di accordi sotterranei tra attori pubblici e privati, dove obbligazioni e impegni – di ordine politico-affaristico – sono disciplinati da vere e proprie norme non scritte, note a tutti e della cui applicazione si fanno carico garanti specializzati, differenziati a seconda dei centri di spesa in gioco. Tra di essi, a seconda dei contesti, spiccano le figure di boss politici, dirigenti di vertice dei partiti, alti burocrati, faccendieri, impresari, capimafia, gran maestri della Massoneria, o altri soggetti capaci di regolare, dare ordine e prevedibilità alle relazioni tra i partecipanti al gioco della corruzione. A segnare una discontinuità col recente passato di “Mani pulite”, l’autorità dei vertici dei partiti pesa sempre di meno nell’organizzare in forma centralizzata i flussi di tangenti, la prassi della corruzione e le risorse utilizzate per promuoverla rispecchiano piuttosto un equilibrio policentrico.
Anche i partiti possono dare ordine e prevedibilità alle attività di raccolta e distribuzione delle tangenti. Dove dispongono di sufficienti risorse di potere e di influenza nell’assegnazione dei contratti pubblici e sulle carriere politiche e amministrative, essi giocano il ruolo di arbitri nell’osservanza delle norme non scritte che regolano le condotte dei partecipanti alla corruzione, l’adempimento degli impegni presi, la socializzazione dei “nuovi entrati” alla gestione delle tangenti. I vertici dei partiti, in altre parole, si fanno garanti della buona reputazione degli imprenditori di riferimento, in passato già sicuri e solleciti erogatori di finanziamenti, raccordando l’erogazione di favori clientelari al riciclaggio dei proventi delle tangenti nei bilanci ufficiali, attraverso il tesseramento. “Con i proventi derivanti dalle tangenti io, ad esempio, pagavo le tessere degli iscritti della mia sezione e, in occasione dei vari rinnovi delle cariche, controllavo un pacchetto di tesserati e di voti che mettevo a disposizione di coloro che il mio principale referente (…) mi indicava di volta in volta (…). Il mio pacchetto di voti e di tessere, così come il mio appoggio a questo o quel candidato, io lo mettevo sul tavolo del partito al momento in cui doveva essere rinnovata la mia carica o avere un altro incarico”. Questa la ricostruzione di un politico milanese (Fonte Nascimbeni, E. e Pamparana, A., Le mani pulite, Milano, Mondatori, 1992, p. 160).
Politici, partiti, imprenditori e cartelli che avviano rapporti nascosti di scambio coi burocrati e i dirigenti cercano di comprare la loro collaborazione nelle scelte più tecniche, oppure il loro silenzio sulla sottostante corruzione. In cambio offrono una quota delle tangenti che circolano, oppure una protezione delle loro carriere amministrative, da cui dipende un esercizio relativamente stabile delle loro competenze. Nel caso dei manager delle società pubbliche, il prezzo della protezione politica indispensabile per la loro nomina o conferma può essere monetizzato. Un manager che deve la sua posizione – e rimette periodicamente in gioco il rinnovo – a seguito del gradimento dei vertici di un partito o di un politico avrà tutto l’interesse a convogliare nelle loro casse parte delle tangenti ricevute dalle imprese con cui entra in affari.
La cultura del pizzo. Questa la ricostruzione di un ex killer di camorra:“A Napoli c’è proprio una cultura del pizzo. L’imprenditore che vince l’appalto già è convinto che deve pagare. E a volte è lui che ti viene a cercare (…). Nel periodo della metropolitana c’è stata una specie di Tangentopoli. Un politico, del quale non ricordo il nome, non so che cosa aveva fatto, si era messo in mezzo e aveva bloccato alcune cose. A me fu dato incarico di malmenarlo soltanto. Lui stava mangiando con la scorta in un ristorante di via Cilea (…). Entrai e gli detti una serie di ceffoni. Solidità e stabilità delle reti della corruzione sono dunque un effetto collaterale della presenza di organizzazioni criminali capaci e disposte a offrire servizi di salvaguardia di aspettative in gioco negli scambi sotterranei, indirizzando ai politici corrotti i pacchetti di voti controllati: «La ’ndrangheta ha bisogno della politica e i politici hanno bisogno della ’ndrangheta. Il patto si fa prima: a loro i voti a noi i cantieri», è la sintesi di un collaboratore di giustizia.”
Basta. La classe politica di questo paese è chiamata a fare delle scelte chiare, nette e concrete. Non ci sono più alibi. Il tempo è scaduto. Bisogna approvare il disegno di legge anticorruzione. Bisogna dire basta a chi ruba. E’ quello che hanno chiesto a viva voce oltre un milione e mezzo di italiani firmando le cartoline con cui Libera ed Avviso pubblico hanno sollecitato l’effettivo recepimento delle convenzioni internazionali contro la corruzione. Cartoline consegnate al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che anche in questi giorni ha richiamato più volte le forze politiche presenti in Parlamento all’adozione di provvedimenti legislativi attesi da troppo tempo.
Il disegno di legge attualmente in discussione al Senato cerca di attuare un’importante riforma, ma viene fortemente ostacolato: a parole tutti sono contro la corruzione, tutti si sono indignati in questi giorni per alcune vicende veramente disgustose, ma non basta più indignarsi. Bisogna muoversi.
La politica delle mani pulite. Leggere le parole di Sandro Pertini (1896-1990) oggi, nella crisi politica ed economica in cui stiamo precipitando, fa molta impressione. Si capisce dai suoi appelli e dalle sue denunce allarmate che il male lo si poteva scorgere già allora e che allora bisognava reagire e intraprendere un altro percorso. Ma la politica non ha voluto cambiare. Questi sono i risultati.