Il filosofo Karl Popper diceva che l’intollerante è colui che sa riconoscere i tabù della propria tribù come assoluti, ma non ha ancora scoperto che altre tribù hanno altri tabù. Questa definizione mette insieme tribù e tabù e quindi l’incapacità di accettare l’Altro.
L’esercizio dell’intolleranza può assumere forme così estreme da risultare abbagliante, così abbagliante da accecare la vista.
Ma prima di arrivare a quello stadio c’è tutta una serie di fatti di intolleranza che Hannah Arendt ha descritto nella “Banalità del Male”: piccoli gesti, che presi singolarmente non spaventano, ma messi insieme fanno vedere come l’intolleranza cresce, monta, fino allo sbocco tragico e catastrofico. Ma allora è già troppo tardi.
L’Olocausto è nato dall’obbedienza inconsapevole a un sistema gerarchico al quale era difficilissimo resistere. Obbedienza a una legge, ma una legge che imponeva di uccidere invece di salvare.
Il razzismo ormai è palese ed è diventato legittimo come lo è stato l’antisemitismo prima di Auschwitz. Basta sostituire la parola ebreo con la parola rom.
Tutto questo, in parte è dovuta al disagio sociale, e la classe politica non risponde con la fermezza dovuta. Anzi. La tollera, la usa per scopi elettorali. Opporsi ai discorsi razzisti è impopolare, fa perdere voti. I cattivi esistono però perché i buoni tacciono.
La maggioranza dei politici non riesce a dire che da qui al 2050 servono in Europa circa 50 milioni di nuovi immigrati, due milioni di persone ogni anno. L’Italia sarà chiamata a convivere con oltre 12 milioni di immigrati, la cui presenza sarà necessaria per il funzionamento del paese. Il grosso dei potenziali immigrati arriverà dalla zona subsahariana. Una verità così evidente è un tabù.
La difesa contro il male, l’intolleranza e il razzismo è sempre nel pensiero, radicato nelle emozioni e nella storia.