Con un semplice clic e qualche decina di euro, 29.99 dollari, si può comprare online la bandiera nera dello Stato Islamico da 150x90cm. Il merchandising che il Califfato è riuscito a costruire intorno alla nascita dello Stato islamico è un affare calcolato in circa 200 milioni di dollari.
Il passaporto dello Stato islamico, ad esempio, costa 12.000 dollari, per un introito complessivo di circa 180 milioni. Le magliette del Califfato si vendono a 8 dollari e il libro dell’Isis costa 21 dollari. Ma si trovano anche sveglie, portachiavi, orologi, cuscini, adesivi, pupazzetti, persino tazze della colazione.
Gran parte della merce è di produzione indonesiana. Gli Indonesiani sarebbero quindi i “fornitori ufficiali dello stile islamico”. Il paese asiatico ha una grande comunità musulmano sunnita, all’interno della quale si contano numerosi supporter dello Stato Islamico in Iraq e Siria, inoltre, promuovere organizzazioni jihadiste non è illegale.
La vendita viene proposta anche su alcuni account Twitter e molti di questi gadget sono approdati nei negozi di abbigliamento. Non molto tempo fa un imprenditore indonesiano aveva lanciato addirittura un sito, con tanto di pagina Facebook, ora chiusa, che vendeva gadget dell’Isis. Ancora attivo invece Kavkaz Struggle Wear, che rivende magliette con la scritta “Io amo la Jihad” in inglese e in arabo.
L’altra faccia dell’Isis. Un’affare da milioni di dollari di gadget e di vite umane che non hanno prezzo. È il capitalismo, bellezza. Nel commercio è lecito tutto.