L’Internet of Things (IoT), ovvero l’Internet delle cose, il trend tecnologico del momento, sarebbe potuto nascere cinquant’anni fa, alla fine degli anni ’60 del secolo scorso. A dirlo è Ray Holt, uno dei pionieri del computer design e imprenditore della Silicon Valley.
Holt è l’ingegnere elettronico che nel 1969 progettò il primo microprocessore della storia, l’MP944, dedicato al controllo dei sensori e all’analisi dei dati di volo sui caccia F14 dell’aviazione militare degli Stati Uniti. Il risultato è stato l’F14-A, l’incredibile caccia che negli anni ’70 ha cambiato il modo di far guerra. Il progetto, se reso di pubblico dominio, avrebbe potuto anticipare di parecchi anni lo sviluppo della microelettronica: peccato che, data la sua origine, l’MP944 venne coperto per trent’anni (fino al 1998) dal segreto militare.
Che cosa sarebbe successo se l’MP944 fosse stato subito di pubblico dominio? Secondo Holt lo scenario odierno sarebbe totalmente diverso. Lo sostiene nella sua biografia:
“La rivoluzione digitale dell’Internet delle cose a stato solido sarebbe venuta prima, rispetto alla rivoluzione dell’home e personal computer, eclissandone la necessità e lo sviluppo che ne è conseguito. L’intero settore avrebbe seguito questo percorso e oggi tutto il lavoro di elaborazione dati verrebbe fatto su terminali o workstation tenute in ufficio o in luoghi simili a coworking. Non ci sarebbero nemmeno gli smartphone, che sono l’evoluzione miniaturizzata del concetto di personal computer. Avremmo controlli domestici e sanitari molto superiori agli attuali; robot, droni e automobili intelligenti farebbero parte della quotidianità; esisterebbe una struttura diffusa sul territorio per la fabbricazione locale di oggetti singoli. Probabilmente non avremmo Internet per tutti, nemmeno il web“.
Ray Holt a luglio sarà a Roma per una serie di incontri in occasione della presentazione della sua biografia “The Accidental Engineer”, scritta insieme al giornalista Leo Sorge.