Insediati in Italia sin dal 1400 gli “zingari” sono la minoranza storica più svantaggiata e più stigmatizzata.
Oggi, in Italia, vivono tra i 120.000 e i 180.000 rom e sinti, che rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale. Circa la metà dei rom e sinti presenti in Italia ha la cittadinanza italiana, mentre si stima che circa il 60% del totale abbia meno di 18 anni, e 4 rom e sinti su 5 vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una esistenza come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente nel nostro Paese. Una cifra modesta rapportata alla popolazione italiana.
La loro quotidianità, tuttavia, resta quasi sempre sconosciuta agli occhi della pubblica opinione, mentre più visibili, nelle cronache dei giornali e dei commenti degli esponenti politici, sono le circa 40.000 persone che vivono nei cosiddetti “campi” (1 rom su 5 sul totale dei presenti in Italia).
Nei Paesi membri del Consiglio d’Europa (47 Paesi membri, circa 800 milioni di cittadini) la presenza di appartenenti alle comunità rom è stimata intorno ai 12 milioni di individui, mentre sono circa 6 milioni i rom che vivono all’interno dell’Unione Europea.
Secondo i dati diffusi nel 2014 da un autorevole istituto di ricerca americano che ha indagato l’entità dei sentimenti antizigani in 7 Paesi europei (Italia, Regno Unito, Germania, Spagna, Francia, Grecia e Polonia), il nostro Paese conquista addirittura il primato. In Italia storicamente rom e sinti rientrano tra i capri espiatori d’eccellenza verso cui rigurgitare malcontento e rabbia, soprattutto in momenti di congiuntura economica sfavorevole. Dei 443 episodi di discorsi d’odio contro i rom registrati dall’Osservatorio dell’Associazione 21 luglio, l’87% risulta riconducibile a esponenti politici.
Nel 2014 l’Italia è stata oggetto del secondo ciclo della Revisione Periodica Universale (UPR) effettuata dallo Human Rights Council delle Nazioni Unite, una procedura volta ad analizzare periodicamente la situazione dei diritti umani in ogni Paese membro e ad effettuare raccomandazioni che spronino il Paese sotto revisione a concentrare gli sforzi su determinati aspetti relativi al godimento dei diritti umani entro il suo territorio. Tra le raccomandazioni all’Italia ne figurano varie che trattano della condizione di rom e sinti, e tra queste numerose si concentrano sull’effettiva applicazione della Strategia Nazionale, dimostrando come questo tema venga ritenuto prioritario anche dalla comunità internazionale.
I “campi nomadi” formali rappresentano da anni un’anomalia tutta italiana. Buona parte di essi rientra nella definizione di “baraccopoli” adottata dalla UN-HABITAT delle Nazioni Unite. Sono diversi gli elementi di criticità che, da Torino a Palermo, passando per Roma e Napoli, vengono riscontrati e che li accomunano come luoghi di violazione dei diritti umani:
- Spesso delimitati da recinzioni, alcuni hanno sistemi di videosorveglianza e di controllo degli ingressi;
- La maggior parte si colloca al di fuori del tessuto urbano e distanti dai servizi primari, come scuole, ospedali e supermercati. Spesso sono scarsi, se non del tutto assenti, i collegamenti con i servizi di trasporto pubblico;
- L’isolamento spaziale si traduce in isolamento sociale con forti ricadute sui percorsi scolastici, formativi e lavorativi degli abitanti, le cui opportunità in questi ambiti risultano di conseguenza fortemente ridotte;
- I già carenti servizi e infrastrutture presenti nei “campi”, risultano spesso deteriorati dall’usura e/o dal dimensionamento inadeguato, traducendosi in condizioni igienico-sanitarie spesso critiche, di cui topi e scarafaggi sono un inequivocabile indicatore;
- Le unità abitative sono temporanee, solitamente bungalow, container o roulotte, intrinsecamente inclini al deterioramento a causa dei fattori ambientali e al loro interno si registra quasi sempre sovraffollamento, con evidenti ricadute sulla privacy di adulti e minori;
- La sicurezza del possesso, uno degli elementi di un alloggio adeguato, risulta molto spesso precaria, essendo le abitazioni assegnate per periodi di tempo determinati e ripetutamente rinnovati e mancando solitamente procedure trasparenti che disciplinino la permanenza e l’espulsione dai “campi”.
Le amministrazioni pubbliche non hanno mai fatto una politica che non fosse quella del contenimento e della marginalizzazione delegandone la gestione al privato sociale. Eppure la partecipazione di rom e sinti alla vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e spirituali, nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità.
Ricordano gli Articoli 3 e 6 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.