Il progresso tecnologico ha reso il mondo un posto migliore, ma ha sempre un costo. L’innovazione uccide alcuni posti di lavoro, ma ne crea di nuovi e di migliori.
Secondo uno studio firmato da Carl Benedikt Frey e Michael Osborne dell’università di Oxford, il 47% dei lavori che conosciamo tra 15-20 anni spariranno. Non esisteranno più bigliettai al cinema o sui treni, impiegati delle Poste, i bancari allo sportello, i vigili per fare le multe, gli operatori dei call center.
In poche parole spariranno i lavori intermedi, quelli oggi svolti dai colletti bianchi. Rimarranno solamente quelli altamente qualificati e creativi: ingegneri, programmatori, stilisti, scrittori. E quelli che richiedono scarse competenze: spazzini, barbieri, badanti. Gli unici che resisteranno saranno quindi i lavori che richiedono discrezionalità e interazione tra persone.
Questa ondata di distruzione tecnologica per il mercato del lavoro è appena iniziato. Ok i nuovi posti di lavoro porteranno prodotti meravigliosi, ma nel breve periodo le differenze di reddito si accentueranno, causando un ancora più grande disuguaglianza sociale e forse anche un cambiamento della politica. L’impatto della tecnologia si sentirà come un tornado, che colpisce il mondo ricco prima, ma alla fine si snoda attraverso i paesi più poveri. E come al solito nessun governo, nessun Paese è preparato per questo.
L’innovazione ha portato e porterà grandi benefici all’umanità. Nessuno sano di mente vorrebbe tornare nel mondo dei tessitori artigianali. Ma i benefici del progresso tecnologico non sono distribuiti equamente, soprattutto nelle prime fasi di ogni nuova ondata, e spetta ai governi a diffonderle.