Secondo i dati relativi all’anno 2014 elaborati dall’Ufficio studi della Cgia gli oltre 3 milioni di lavoratori in nero presenti in Italia equivalgono alla bellezza di 77,2 miliardi di euro di Pil irregolare all’anno (pari al 4,8% del Pil nazionale): una piaga sociale ed economica che sottrae alle casse dello Stato 36,9 miliardi di euro di tasse e contributi.
La Regione più colpita è la Calabria: l’incidenza del valore aggiunto da lavoro irregolare sul Pil è pari all’8,7%. Seguono la Campania (8,4%), la Sicilia (7,8%), la Puglia (6,7%) e l’Abruzzo (6%). Le realtà meno investite da questo fenomeno, invece, sono il Trentino Alto Adige (3,6%), la Valle d’Aosta (3,4%) e il Veneto (3,3%).
I numeri, riferiti al 2014 (ultimo anno disponibile), ricorda la Cgia di Mestre, misurano il peso economico del lavoro nero presente in Italia. Una piaga che vede coinvolti milioni e milioni di persone: lavoratori dipendenti che fanno il secondo lavoro; cassaintegrati o pensionati che arrotondano le loro magre entrate o disoccupati che in attesa di rientrare ufficialmente nel mercato del lavoro sbarcano il lunario grazie ai proventi di una attività irregolare.
Puntualizza il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo: “Con la crisi l’economia da lavoro irregolare ha subito una forte impennata. Tra il 2011 e il 2014 il valore aggiunto generato da questo settore è salito dell’8,5%. Purtroppo, chi in questi ultimi anni ha perso il posto di lavoro non ha avuto alternative: per mandare avanti la famiglia ha dovuto ricorrere a piccoli lavoretti o a svolgere attività lavorative completamente in nero per portare a casa qualcosa. Una situazione che coinvolge quasi 1.270.000 persone al Sud, quasi 708.000 a Nordovest, poco meno di 644.500 al Centro e poco più di 483.000 a Nordest”.