Un agronomo rompe l’omertà su biogas e aflatossine. Il biogas inquina e intossica (l’aria, l’acqua, la terra, la società). Ma anche in Lombardia, nel cuore della speculazione biogassista (dove la superlobby ha le sue centrali), c’è chi ha il coraggio di denunciare pubblicamente i rischi della proliferazione delle centrali e della produzione dei digestati.
Il biogas in Lombardia è un business enorme (ancora più grande di quanto gli stessi Comitati No biogas non riescono ad immaginare. Per questo tra gli “addetti ai lavori” c’è omertà, esattamente come in Calabria. La generalità degli agronomi, dei periti agrari, degli agrotecnici, degli agricoltori veri si lamenta al bar o sulle piazze di mercato, ma quando c’è da firmare una denuncia si tirano indietro (alcuni per autocensura, altri perché ricevono pressioni).
Non c’è la lupara ma l’effetto è lo stesso. In Lombardia non ti sparano con la lupara ma se ti metti contro la lobby (o le lobby) del biogas non lavori più, non vendi più, perdi supporti per la tua attività. Le organizzazioni agricole (forse con l’eccezione del Copagri) sono legate da sempre attaverso dirigenti e funzionari alle cupole agroindustriali (c’era una volta la Federconsorzi…). Uno sviluppo agricolo distorto ha fatto si che le competenze dei tecnici e dei professionisti dell’agricoltura possano essere solo spese in due settori “che tirano”: il verde pubblico (manutenzione, progettazione) e gli impianti a biogas. Un capitale umano di competenze preziosissime in una realtà che ha bisogno di imboccare nuove strade nel campo agricolo, che ha bisogno di valorizzare la terra per fermare il mostro della cementificazione sostenuto da tutti i partiti di desta, centro e sinistra (Lega in primis).
Un’agricoltura piegata agli interessi di una ristretta minoranza di grandi aziende organiche alle cupole agroindustriali. In questo contesto la pubblica denuncia del Dr. Segalla rappresenta il sintomo che la misura è piena, che “la boje” per dirla con il motto della rivolta dei contadini mantovanidel 1880. La stragrande maggioranza dei veri agricoltori lombardi è danneggiata dal biogas: perché drena i finanziamenti regionali sottraendoli alle piccole e medie aziende (“girandoli” all’industria). Il biogas porta dietro – come la cupola della lobby ha capito bene – un indotto ricchissimo: impianti di upgrading a biometano, abbattitori di azoto, impianti di “chimica verde” per produrre fertilizzanti chimici e altro.
Danni diretti e indiretti. C’è anche un danno diretto all’economia agricola perché il biogas – la cui corsa non è purtroppo finita – fa lievitare i prezzi degli affitti (con un trend di perdita di valori fondiari!), perché danneggia il mercato del foraggio. Chi ci guadagna? Di certo le industrie del settore e le società e i gruppi di ricerca, sviluppo, progettazione e consulenza (legati spesso a cordate politiche bianche o rosse). Poi anche chi vende mangimi e commercia biomasse (Consorzi agrari e ditte varie). Al “giro” solo legate non solo la nomenklatura delle organizzazioni agricole e dei consorzi ma anche settori di università, centri di ricerca pubblica, multinazionali, coop, CdO, esponenti della partitocrazia che cercano in prima persona di realizzare impianti (vedasi Podestà, presidente della provincia di Milano e Parolini, capogruppo in regione del Pdl).
Un business per le multinazionali. La dimensione della “bolla” speculativa la danno le numerose “società agricole” (molto rappresentate tra quelle che hanno in esercizio impianti da 1MW) dove l’agricoltore ha il 5-10% delle quote societarie e dietro le scatole cinesi (il gioco delle partecipazioni) ci può essere di tutto. Anche società filiali di multinazionali che vedono nel biogas un’ottima opportunità per smaltire residui di lavorazioni. Recentemente (poche settimane fa) in una conferenza dei servizi a Lodi sulla centrale di Cervignano d’Adda (protagonista di un grave incidente con collasso dei vasconi dei digestati), presente il comitato no Biogas, si discuteva del “cambio di ricetta” per l’alimentazione del digestore. In discussione c’era un “sottoprodotto” residuo del ciclo di produzione del biodisel che , guarda caso, viene prodotto da una società che (attraverso partecipazioni) è presente in Cervignano Energia (la “titolare” dove l’agricoltore ha il 10%). I funzionari dell’ARPA in proposito avrebbero detto che “dovevano chiedere al Prof.XXXXX”. A parte l’ultimo dettaglio (che la dice lunga su una certa “contiguità” e circolazione di “input” tra funzionari pubblici, accademici,lobbysti), quello che preoccupa è che il grande “parco centrali” biogas lombarde può diventare il ricettacolo di “scarti” (o rifiuti) di ogni sorta una volta che gli esponenti scientifici e politici vicini alla lobby ne decretino la “sostenibilità. E qui entrano (o tornano) in scena le aflatossine e il Dr. Segalla.
2012 una Caporetto per il mais padano … e il 2013 peggio. Se il 2013 era stata una disfatta per la monocoltura insostenibile del mais padano (spinta ancora di più dal biogas). Nel 2013 è stato ancora peggio con le semine ritardate di 2-3 mesi e una breve ma acuta siccità che ha colto le piante in uno stadio ancora precoce senza dimenticare le trombe d’aria che hanno sferzato Cremona, Lodi, Parma obbligando anche in questo caso a risemine tarvisissime. Poi ancora piogge pesanti autunnali.
Danni da troppa pioggia e da siccità cumulati. Da stratemp si dice in lumbart.
Cosa ne sarà delle aflatossine? Facile prevedere molte partite contaminate. Lo scorso anno sotto la spinta della lobby e degli esperti accademici (che dicevano che le aflatossine si degradano nella digestione anaerobica e che tutto va bene madama la marchesa) le tre regioni interessate (oltre alla Lombardia, il Veneto e l’Emilia) strinsero un patto (scellerato?). Esso, parzialmente avallato dal Ministero della Sanità ( ma su questo punto ci sarebbe da discutere), aveva per scopo “sbolognare” (come si dice a Milano) il mais tossico altrimenti inutilizzabile. Esso, infatti, conteneva livelli di micotossine cancerogene elevatiche lo rendevano inidonea sia per lalimentazione umana che per quella animale e avrebbe avuto come unica destinazione la termodistruzione (l’incenerimento). La sua destinazione nelle centrali a biogas rappresenta un caso in cui il biogas diventa il provvidenziale (ma non casuale) ricettacolo per ogni schifezza. Venne concordato un elenco di centrali destinate a “smaltire” il mais avvelenato e alcune lo hanno effettivamente “digerito”.
Dubbi anche a Bologna (che pare non fidarsi dei biogassisti milanesi). In seguito a molti vennero dei dubbi: “ma cosa ne sarà del digestato ottenuto dall’uso del mais toccico?”, “dove e come andrà applicato al terreno?”, “ma siamo sicuri che le aflatossine si degradino totalmente nei biodigestori del biogas?”. La stessa Regione Emilia Romagna deve avere avuto dei ripensamenti e si è fattai prendere da scrupoli precauzionali (forse sostettando un agire troppo spregiudicato della Regione Lombardia dove ci sono noti dirigenti che promuovono a spada tratta il biogas incoraggiando caldamente gli agricoltori a buttarsi nel business e dissuadendo gli amministratori comunali dall’opporvisi ). Così Bologna (Regione E-R.) ha stanziato la non modica cifretta di 1,5 milioni per il CRPA di Reggio Emilia incaricato di studiare meglio la cosa rispetto alle assicurazioni milanesi. Un pasticcio che forse procurerà qualche fastidio e qualche mal di pamcia al fronte biogassista e che è tutt’altro che risolto. Intanto nei silos c’è il mais 2013. Tutte queste cose sono state denunciate dai comitati. Ora, però, si stanno levando delle voci anche tra gli “addetti ai lavori”. Evviva. Speriamo che sia solo l’inizio di un risveglio di dignità, coscienza civica, ambientale, rurale da parte del mondo agricolo che subisce il biogas.
(Fonte sgonfiailbiogas)