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I troll di Vladimir Putin

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Lavoratori assoldati per turni di 12 ore l’uno, lavorano due giorni sì, e due no, per animare il dibattito politico in base a determinate parole chiave che rendano post e articoli più facilmente rintracciabili dai motori di ricerca. Lavoratori con una corposa quantità di profili fake che prestano mani e occhi alla propaganda. A raccontare nel dettaglio il funzionamento di questa macchina è Radio Free Europe/Radio Liberty.

Lavorano in un edificio di quattro piani, negli altri uffici, si produce informazione. Una vera e propria organizzazione, dove operano circa seicento persone, e che ha sede in un palazzo, in via Savushkina 55 di San Pietroburgo, di proprietà di un imprenditore vicino a Putin. Nel reparto si è in 20 e la paga segue la logica della quota di produzione: per raggiungere il totale di 45mila rubli mensili (circa 700 euro), i commenti scritti devono essere 135 per turno. Per il potere questo è ben poco denaro. Per fare un paragone: per la propaganda sui giornali in Russia talvolta vanno via milioni di dollari all’anno. Ogni articolo in un noto giornale russo costa da 10.000 a 30.000 dollari. Nei mezzi di informazione di massa occidentali ancora di più. Un simile articolo costa da 100.000 a 300.000 dollari.

Il gruppo lavora in squadre di tre, perché per garantire una sensazione di maggiore autenticità al dibattito, uno fa il cattivo, mentre gli altri due corrono in difesa delle autorità. Ogni reparto ha un suo compito, ce n’è uno specializzato per Facebook, così come ci sono quelli in lingue diverse, quelli che si infiltrano nei forum delle grandi testate straniere.

L’intento è chiaro. La glorificazione generale di Putin e del suo entourage, la respinta di qualsiasi critica. Il metodo di propaganda da troll è l’offesa, i tentativi di mettere in dubbio la competenza e l’adeguatezza della persona che critica il potere. I blogger concordano con la critica al potere e la portano all’assurdo.

Il blogger Marat Burkhard, che ha svolto servizio per due mesi per il programma “Internet Research” racconta: “Ci davamo 5 parole chiave per i motori di ricerca, da usare in ognuno dei commenti, tipo “esercito russo”, “ministro della difesa”, e non è nemmeno facile includerli in 200 caratteri (minimo) di commento; alcuni non sono neppure declinabili”.

L’obiettivo dei troll russi è quello di far apparire la società lettone, o quella degli altri paesi occidentali, in forte disaccordo con le posizioni dei propri governi, e invece aperta ad un sostegno evidente verso il Cremlino. Un’attività che da un parte mira a dividere la società e dall’altra a immettere nei social network, nei commenti dei portali di informazione e nei blog, informazioni false o distorte, per ingannare e riorientare le convinzioni delle persone che accedo a questi siti. L’esercito di trolls sono solo l’ultima parte della massiccia propaganda che la Russia ha scatenato. Queste strategie su Internet riflettono quello che accade per le strade, dove il governo è accusato di pagare i manifestanti.

Anton Nosik, giornalista, noto operatore di Runet.ru: “Ci sono persone che esprimono in quel modo la loro opinione, che sfogano l’animo, ma ci sono anche quelle che vengono pagate per lasciare commenti di un certo tipo. Individuare i segni di un lavoro di brigata è più facile per il proprietario di un blog, di un forum, di un server (per la monotonia delle repliche, per la loro origine dagli stessi indirizzi). Una persona che svolge tali attività per denaro può utilizzare qualsiasi quantità di identità virtuali, non ci sono limiti”.

Ma la guerra dei troll pagati per plasmare l’opinione pubblica non riguarda solo la Russia, anche in Italia questa “moda” si sta diffondendo velocemente.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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