Sono 92 i casi di pressioni o minacce a giornalisti e operatori dei media registrati in Italia nei primi 9 mesi dell’anno. Si va da pressioni leggere, poco palpabili a minacce palesi. Autori delle minacce possono essere gruppi criminali, ma anche uomini politici e d’azienda o semplici cittadini. Lo scopo è sempre intimidatorio e mira a ostacolare illecitamente il lavoro dei giornalisti. Giornalisti poco o per nulla garantiti sono soggetti ad attacchi e ricatti che ne minano l’autonomia e la possibilità di indagare. Se vali di meno, è più facile essere venduti e comprati.
È l’Italia, tra tutti i Paesi Ue, quello che nel 2016 ha registrato il numero più alto di minacce e pressioni contro giornalisti e altri operatori dei media. Il dato emerge da uno studio dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali. Basandosi sui numeri del progetto ‘Mapping Media Freedom’, il documento segnala per l’Italia 92 casi di minacce o pressioni dall’inizio dell’anno a settembre. Scorrendo la classifica, in Francia ci sono stati 55 casi, in Polonia 29, in Ungheria 28. Zero casi in Danimarca, Repubblica Ceca e Slovacchia.
I numeri, segnalati dallo studio presentato a Bruxelles, grazie al lavoro delle associazioni che si occupano di monitorare la salute dell’informazione, come in Italia avviene grazie ad Ossigeno per l’informazione, potrebbero essere sottostimati da Paese a Paese, in quanto non c’è stata un’uniformità nei metodi di raccolta dei dati, per cui il primato negativo dell’Italia potrebbe anche essere sovradimensionato. Per il nostro Paese, tuttavia, la situazione appare in peggioramento: i casi segnalati in tutto il 2015 erano stati infatti 82 e 58 nel 2014.
Lo studio riprende anche i dati di Reporters sans frontieres diffusi ad aprile, secondo i quali l’Italia si piazza al penultimo posto in Europa, seguita solo dalla Grecia. Prima in classifica la Finlandia, seguita da Olanda e Danimarca.
“È triste, ma non possiamo più dare per garantiti dei media liberi e pluralistici”, ha affermato il vicepresidente della Commissione Frans Timmermans durante l’incontro, parlando di “una sfida che ha un profondo impatto sul funzionamento della nostra società”, con ripercussioni ed effetti anche sulla fiducia dei cittadini. Secondo un sondaggio dell’Eurobarometro infatti il 57% degli europei non crede che i propri media nazionali siano liberi da pressioni politiche o commerciali, e appena il 53% pensa che forniscano un’informazione affidabile.
E ad aumentare questo rischio concorre anche il fatto che ci siano imprenditori proprietari di mezzi d’informzione, contemporaneamente impegnati in politica. “Non penso solo a Silvio Berlusconi”, ha spiegato Marek Madaric, ministro per la Cultura della Slovacchia, Paese con la presidenza di turno del Consiglio Ue. “Penso anche al ministro delle Finanza della Repubblica Ceca, Andrej Babis”, fondatore e proprietario della società Agrofert, attiva in vari settori tra cui l’informazione. Secondo Madaric, in alcuni Paesi europei “abbiamo un pluralismo formale, ma nella pratica abbiamo un pluralismo di miliardari con interessi in politica, e questo potrebbe essere un problema per la democrazia”. Lo stesso concetto è stato ribadito anche da Timmermans, senza tuttavia fare riferimenti diretti. “Vediamo un pressione crescente sui mezzi d’informazione da parte di interessi pubblici e privati, e quando questi interessi coincidono ci troviamo in una situazione delicata”, ha concluso il vicepresidente della Commissione Ue.