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Guai a parlare di Mafia in Sicilia


Guai a parlare di Mafia in Sicilia. La Mafia non deve esistere. Guai a fare nomi e cognomi, rivelando intrecci tra cosche, affari e politica. Guai!!! La storia e’ questa, alcuni giorni fa Antonio Mazzeofree-lance impegnato sul fronte antimafia e su quello antimilitarista, autore tra l’altro del libro “I padrini del ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina“, ha pubblicato sulla rivista I Siciliani Giovani un’inchiesta dal titolo Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona Pozzo di Gotto. Aspetti fumosi riguardanti la mafia e gli sprechi nella cittadina, guidata dal sindaco Santo Cirella, eletto per la seconda volta nel 2011, e in carica dal 2006, di neanche 3mila abitanti. Guai!!!  Inchiesta non gradita soprattutto perché si fa più volte il nome di Cirella e dei suoi collaboratori, che hanno comprovati rapporti con esponenti della criminalità organizzata. E’ quindi partita una querela del comune contro Mazzeo, colpevole “di aver denigrato l’immagine del Comune e della reputazione di tutti i suoi abitanti”, ed esprimo con forza, “che il territorio e la sua precedente e attuale amministrazione sono estranei ad ogni forma di compromissione con la criminalità organizzata e non subiscono condizionamento alcuno”. Insomma ci siamo capiti, Uomini d’onore sono, la Mafia non esiste.

Massima solidarietà da Mondoallarovescia.com ad Antonio Mazzeo per il coraggio e, per essere un vero giornalista che ha il coraggio di dare le notizie. Di seguito potete leggere l’articolo oggetto di denuncia e farvene un idea. Un’analisi attenta e puntuale, suffragata da dettagli e testimonianze, che lascia spazio a pochi dubbi.

Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona

Poteva essere il paradiso. Invece è ce­mento, cemento, cemento. A destra ci sono la rocca con le rovine e il santua­rio di Tindari e la straordinaria riserva naturale dei laghetti di Marinello. Dalla parte opposta si scorgono il promonto­rio di Milazzo e i Peloritani. Di fronte l’azzurro del Tirreno e nello sfondo, ni­tide, le sette isole Eolie.

Falcone, cittadina della provincia di Messina con meno di 3.000 abitanti, pote­va essere una delle perle turistiche, am­bientali e paesaggistiche della Sicilia. Il territorio, però, è irrimediabilmente detur­pato da orribili complessi abitativi, alve­rari-dormitori per i sempre più pochi turi­sti dei mesi estivi. Del peggiore, risalente all’inizio degli anni ’80, nessuno ricorda più il nome originale. Lo si conosce come il “Casermone”, una miriade di miniap­partamenti di appena 50 mq, a due passi dal mare. Vicine alle spiagge sempre più erose dalle correnti e dalla moltiplicazio­ne di porti e porticcioli sorgono altre strut­ture soffocanti e impattanti. Ma alla furia di progettisti e costruttori non sono scam­pate neppure le colline, sventrate da strut­ture talvolta simili a vere e proprie prigio­ni per villeggianti.

A colpire ulteriormente il centro abitato e le frazioni collinari ci hanno pensato pure un terremoto nel 1978 e, l’11 dicem­bre 2008, l’alluvione generata dallo strari­pamento del torrente Feliciotto.

Gli inter­venti post-emergenza hanno fatto il resto: ulteriori colate di asfalto e cemento senza che mai si mettesse in sicurezza un terri­torio ad altissimo rischio idrogeologico, fragilissimo e dissestato. E le speculazioni hanno richiamato la mafia, quella poten­tissima e stragista di Barcellona Pozzo di Gotto e delle “famiglie” affiliate di Terme Vigliatore, Mazzarrà Sant’Andrea e Torto­rici. E Falcone, sin troppo debole dal pun­to di vista sociale, è divenuta facile preda del malaffare.

Sin dai primi anni ’70, l’economia agri­cola e il vivaismo erano sotto l’assedio della cosca di Giuseppe “Pino” Chiofalo (poi controverso collaboratore di giusti­zia). Fu proprio a causa di una tentata estorsione ai vivaisti falconesi che egli venne arrestato per la prima volta nel feb­braio 1974, unitamente a Filippo Barresi, uno dei suoi più fedeli affiliati del tempo. Poi l’ecomafia poté ingrassare con i lavori autostradali e ferroviari, le megadiscari­che di rifiuti di ogni genere, i piani di ur­banizzazione selvaggia, i complessi turi­stico-immobiliari che volevano scimmiot­tare il disordinato residence di Portorosa della confinante Furnari. E come Portoro­sa, ville e villini di Falcone sono stati uti­lizzati come rifugio per le latitanze dorate di boss e gregari di mafia, palermitani e catanesi. Nel comune hanno risieduto sta­bilmente criminali e killer efferati, come Gerlando Alberti Junior, condannato in via definitiva per aver assassinato, nel di­cembre del 1985, la diciassettenne Gra­ziella Campagna di Saponara, testimone inconsapevole degli affari di droga e armi della borghesia mafiosa peloritana.

Ovvio che il territorio che non poteva restare indenne dalla guerra tra cosche che tra Barcellona e i Nebrodi farà più di un centinaio di morti tra la fine degli anni ’80 e la prima metà degli anni ’90. Un bagno di sangue per accaparrarsi appalti e sub-appalti di opere pubbliche, gestire cave e discariche, cementificare la costa e i tor­renti. Omicidi efferati. Eccellenti. Il 14 di­cembre 1987, ad esempio, a Falcone ven­nero assassinati Saverio e Giuseppe Squa­drito, rispettivamente padre e figlio, en­trambi pregiudicati e vicini alla criminali­tà barcellonese. Saverio svolgeva la pro­fessione di pescatore, mentre Giuseppe ri­sultava titolare di un’impresa di bitumi. A giustiziare i due, un commando guidato da Pino Chiofalo, giunto nel comune tirre­nico qualche ora dopo aver consumato a Barcellona Pozzo di Gotto un altro dupli­ce omicidio, quello di Francesco Gitto, fa­coltoso commerciante ai vertici della vec­chia mafia del Longano, e Natale Lavori­ni, suo dipendente.

Era originario di Falcone Vincenzo So­fia, inteso “Cattaino”, ucciso il 7 novem­bre 1991 dopo essere stato sequestrato in un deposito di materiale inerte di Mazzar­rà Sant’Andrea. “L’omicidio fu deciso dal mio gruppo per rispondere alla morte di Giuseppe Trifirò “Carrabedda”, ha rac­contato il neocollaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, già a capo delle “fa­miglie” di Terme e Mazzarrà. “Ci erava­mo convinti che “Cattaino” fosse vicino ai Chiofaliani ed avesse svolto la funzione di sorvegliare i movimenti di “Carrabedda” nel periodo precedente la sua uccisione”. Sofia fu condotto in una chiesa abbando­nata nelle campagne di Novara di Sicilia, dove fu finito con un colpo di pistola cali­bro 7.65 sparatogli in fronte. Il corpo fu poi occultato nel greto del torrente Maz­zarrà, in quello che per anni è stato il ci­mitero della mafia locale.

Il 21 maggio del 1992 fu la volta del fa­legname Angelo Squatrito a cadere vitti­ma di un agguato mafioso mentre si trova­va al lavoro a Ter­me Vigliatore. Domeni­co Tramontana (grande estortore- gestore di bar e risto­ranti a Portorosa, poi assassi­nato il 4 giu­gno 2001) e Filippo Barresi, al tempo lati­tanti, lo avevano scambiato per errore per Nicolino Amante, un amico di Lorenzo Chiofalo, il figlio di don Pino. Il destino di Amante era tuttavia segnato: verrà as­sassinato in pieno centro a Falco­ne dicias­sette giorni dopo.

Antonio Mazzeo

I padrini del ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina. Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri, piccoli, medi e grandi trafficanti, conservatori, liberali e finanche ex comunisti, banchieri, ingegneri ed editori. Sono questi “I padrini del Ponte” che più o meno occultamente tramano a favore della realizzazione del ponte sullo stretto di Messina.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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