Se trovate analogie coi fatti avvenuti da noi negli ultimi mesi vi assicuriamo che è solo una casualità incomprensibile.
“La storia si svolge ad Atene (e l’autore è nientemeno che Aristofane) dove i cittadini stanno sopportando una crisi economico-politica a dir poco straripante: tutte insieme, le varie classi della città si scoprono travolte da un vero e proprio tsunami. Il primo a soffrirne è il basso ceto, quindi anche i mercanti, gli imprenditori edili, gli armatori e i marinai. È proprio lì che nasce il detto, diventato famoso: “I poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi”. Le promesse dei politici vengono immancabilmente tradite al limite della beffa. Si ruba e si truffa sempre di più, ma lo strano è che non sono le classi dei disperati che si buttano alla rapina e all’inganno, ma quelle dei politici e dei faccendieri. Il popolo, indignato, invade tumultuando le piazze e richiede ai giudici che vengano arrestati e condannati quegli infami, ormai proprietari di tutto. I giudici si dicono impotenti, giacché ormai da anni i gestori della cosa pubblica non fanno altro che inventarsi nuove leggi che impediscano a chicchessia di mandare in tribunale gli organizzatori di tanta rapina. Ma l’esplosione incontenibile del popolo tutto si manifesta in seguito a una violenta tempesta, dove i fiumi e i canali straripano e l’intera città, soprattutto i quartieri che costeggiano i fiumi, viene sommersa causando crolli di interi edifici e un gran numero di vittime fra la popolazione. Immediatamente i tecnici che gestiscono la sicurezza della città vengono indicati come i responsabili principali di quel disastro. Da anni hanno promesso interventi di manutenzione idrica secondo progetti già collaudati, ma non ne hanno fatto niente. Anzi, c’è chi testimonia che gli stessi responsabili abbiano usato quei denari per altre opere niente affatto necessarie ma che procuravano grandi vantaggi economici agli imprenditori della casta, ovvero gli intoccabili di un gruppo dominante.
Fatto è che molti ateniesi, specie i giovani privi di lavoro, decidono di emigrare dalla loro città e raggiungere anche la Sicilia, dove stavano sviluppandosi nuove città come Siracusa, Agrigento e Catania. Ma altri si dicono contrari a quella soluzione. Il dibattito ha luogo sul proscenio del teatro d’Atene: “Quello non è emigrare – commenta uno degli attori – ma rischiare una condizione di schiavi, usati come animali fin quando siamo utili e cacciati con disprezzo appena non serviamo più”. “E quale sarebbe allora l’altra soluzione che avreste in mente?” gli risponde l’antagonista. “È semplice, salire nel mondo di sopra”. “C’è un mondo di sopra?”. “Sì”. “E come ci si arriva, c’è una scala?”. “Lo so che è facile buttarla sullo sfottò, ma esiste davvero questo altro mondo sopra le nubi dove chi gestisce il potere sa essere giusto e imparziale, dove la parola data ha ancora un significato e libertà e democrazia continuano ad avere un valore civile”. “E che prove avete che esista davvero un mondo del genere?”. “Lui” e indica un emigrante appena tornato ad Atene. “Sì – risponde deciso il testimone – io vengo proprio di lassù, ci ho abitato quattro anni, ho lavorato e ho riscosso una paga doppia di quanto avrei ottenuto quaggiù”. “Mi state dicendo che c’è un’isola vagante sulla quale si può montare e vivere?”. “No, niente isola. Si vive sospesi nell’aria”. “Come uccelli?”. “Bravo, proprio così. Infatti il mondo di sopra, o di mezzo come lo chiamano loro, è dominato proprio da uccelli in gran numero, di tutte le razze”. “Sì, ma dico, noi umani, che siamo nati senza ali, come stiamo sospesi nel vuoto?”. “A nostra volta ci muoviamo grazie ad ali che ci possiamo fabbricare sui modelli originali. Ecco, guardate” e così dicendo estrae da una custodia due ali apposite che si calzano grazie a solide strutture mobili. E a questo punto sul teatro di Atene entrano in scena le gru, sì, quelle torri in legno e metallo che ancora oggi si vedono issate in ogni cantiere edile. Pare infatti che i greci, venticinque secoli fa, siano stati fra i primi a costruirne di varie forme e in teatro erano in uso costante per tenere sospesi nell’aria personaggi e macchine sceniche come navi e mostri volanti. Così, di lì a poco, tutto il cielo che sovrasta il palcoscenico viene invaso da un numero incredibile di uomini-uccelli, e anche qualche femmina volante, tutti pronti e disposti a sbattere le ali per salire in viaggio verso la città degli uccelli. I terrestri volanti vengono accolti con molta cordialità dagli uccelli della città omonima. Ogni lavoro che essi siano in grado di compiere viene apprezzato e gli ingaggi immediatamente conclusi. Qualcuno, eccitato da quella scoperta, venendo a sapere che pochi giorni di volo più in su esiste l’Olimpo, patria degli dei, sale subito in volo oltre le nubi per trovare quel fantastico regno. Anche gli dei, all’arrivo dei volatili umani, fanno gran festa e invitano ognuno ai loro banchetti davvero mitici.
Ma dopo le prime giornate di festa ecco che gli umani scoprono che corruzione, ingiustizia e promesse non mantenute sono all’ordine del giorno anche fra gli dei. Sembra abbiano preso lezioni aggiornate dagli uomini, giacché tutto risulta la copia perfetta di ciò che i viaggiatori hanno lasciato sulla terra. Gli ospiti si congedano dalla corte degli immortali e ridiscendono fra gli uccelli e i loro compagni d’avventura. Gli umani offrono la loro collaborazione agli uccelli, che però sono ben informati di ciò che è successo da poco sulla terra grazie alla corruzione e alle ladrerie. “Ma è proprio per questo che noi siamo fuggiti da Atene e da tutta la Grecia, perché vogliamo vivere in un mondo condotto con onestà e rispetto delle leggi, come ci pare il vostro. Insomma, vogliamo diventare cittadini del vostro mondo, leali e fedeli”. “Bene, e allora, se permettete, vi mettiamo subito alla prova. Noi uccelli da secoli ormai sopportiamo le angherie degli dei che impongono a noi di mantenerli e di curarci a che i doni dei sacrifici che vengono dalla terra per loro siano protetti e portati a compimento. Noi uccelli siamo contro ogni violenza, ma a questo punto non possiamo più vivere questa condizione di sudditi schiavi e vessati. Perciò abbiamo deciso di dichiarare guerra agli dei”. “Bùmpete! – esclamano in coro, stupiti, tutti gli uomini – è una sfida che ha davvero dell’impossibile!”. “Sta anche a voi se sarà o meno impossibile. Alzi la mano chi vuol partecipare come nostro alleato a questo scontro totale”.
C’è da non crederci, ma fin dai primi scontri gli uccelli e i loro alleati terrestri hanno la meglio contro le divinità. Si capisce subito che la fama dei guerrieri celesti, mitici figli di Zeus, è completamente falsa e montata. Infatti durante gli scontri capita di vedere miti come Ercole darsela a gambe su un asino, e il re della guerra per antonomasia travestirsi da femmina per battersela inosservato dalla battaglia. Per di più gli uccelli hanno bloccato il transito dei doni dei mortali agli dei, ponendoli alla fame. È la débâcle. La Nike in persona si presenta a richiedere la pace. I vincitori esultano e, come in tutte le commedie di quei secoli, il finale si risolve in un tripudio di danze e di giocondità. Tutti gli spettatori sanno che cotesta è una finzione imposta e che la verità sarebbe di tutt’altro segno e colore. Ma i greci amavano che ogni finale si risolvesse in un canto di speranza e fiducia nelle istituzioni. Come da noi del resto! Solo animali inetti grugniscono contro il potere e vanno sperando – illusi – che le cose cambino”. Dario Fo