Gli odiati avvocati

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“Non possiamo più nascondercelo. La gente odia gli avvocati.
Li odia di un odio profondo e viscerale, come si odia un avversario bello e fortunato che è scappato su una spider rossa con vostra mamma.
E mentre non si può dire che non fosse così anche prima, perché l’avvocato è sempre stato sul cazzo a tutti, dal medioevo, quello che è venuto meno da una dozzina d’anni a questa parte (ma c’è chi fa risalire a prima l’inizio del degrado) è il timorato rispetto che la gente comune aveva verso la figura di questo professionista.
Rispetto che, ad esempio, continua invece a coltivare verso il proprio macellaio di fiducia.
La domanda allora è: perché il macellaio ha conservato la propria aura di rispettabilità e l’avvocato l’ha persa? Che cosa è intervenuto?
In questi anni 2000 ancora senza una vera identità, caratterizzati perlopiù da Crisi, paura, reflusso di anni ’80 e becero populismo leghista, bisogna innanzitutto chiedersi se gli avvocati non vengano percepiti all’esterno come una casta. Perché l’odiosità dell’appartenere ad una casta è in re ipsa, e non abbisogna di particolari spiegazioni. Al massimo ci si può fare un libro.
I notai sono veramente più odiati degli avvocati, ma sono una casta, dunque è presto detto.
D’altro canto, l’osservazione più comune che si fa, sempre parlando di avvocati in Italia, è che siano troppiE questo è certamente vero. Ma se si è troppi, logicamente, non si è una casta.
Possiamo escludere dunque che gli avvocati costituiscano una categoria privilegiata, sulla quale più facilmente si indirizza l’odio di tutti coloro che non vi appartengono.  Bene, questo ci aiuta a togliere di mezzo una soluzione semplice, ma non risponde alla domanda. Allora perché la gente odia così tanto gli avvocati?
Ritorniamo al punto di partenza.
L’avvocato è un professionista particolare.
Innanzitutto, i benefici materiali che le sue prestazioni possono portare al proprio cliente, difficilmente (anzi, quasi mai) sono di immediata percezione.
Semplicemente, il lavoro dell’avvocato è così diluito nel tempo, specie nel caso del contenzioso, che la gente (in buona fede!) non si accorge neppure che qualcuno stia lavorando. Si è portati a credere che il Processo vada avanti da sé, per inerzia. Ed in parte è pure così.
Non è in grado di percepirne gli effetti. E non percependone gli effetti, all’uomo comune, che poi fa la gente, risulta piuttosto odioso il pagamento degli onorari, soprattutto in anticipo.
Si crea quindi immediatamente, già nella fase del primo approccio con il professionista avvocato, uno squilibrio. Squilibrio che è tanto più grande quanto più ampia è la differenza tra il beneficio percepito (zero) ed il depauperamento subito con la corresponsione dell’anticipo (zero + x).
Alcuni avvocati più sensibili, consapevoli di ciò o forse solo inconsciamente, cercano di porre rimedio a questo iniziale squilibrio non chiedendo nessun anticipo ai propri clienti quando si presentano a studio la prima volta. Questo modo di fare, tuttavia, li espone più tardi ad una serie di problemi.
In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui l’avvocato “sensibile” non abbia chiesto per sé alcun anticipo, qualora ci sia da intraprendere una causa, quest’ultimo sarà per forza di cose costretto a chiedere al cliente almeno le “spese di giustizia”: contributo unificato e spese per le notificazioni.
Il cliente è già un attimo smarrito e iniziano a girargli i coglioni. Per diverse ragioni.
La prima: ha subito un torto e scopre solo in quel momento che lo Stato percepisce degli introiti ogni qualvolta la sua farruginosa macchina della giustizia viene scomodata.
Per una normale causetta da € 50.000 il contributo unificato è oggi di € 450. Da versare subito.
La seconda: non capisce checcazzo sono le notificazioni, si interroga sul perché mai possano non “andare a buon fine” e perché costino così tanto.
La terza: inizia a sospettare che l’avvocato, storicamente azzeccagarbugli, ci stia facendo la cresta, ossia stia facendo rientrare a titolo di spese di giustizia esborsi che vanno in realtà a ricostituire l’anticipo spese magnanimamente abolito.
Il rapporto fiduciario è già incrinato.
L’asimmetria informativa, infatti, è il secondo principale problema del professionista avvocato ed il principale motivo per il quale il cliente si presenta a Studio debitamente informato.
Versati i soldi per il contributo unificato, il cliente esce dallo Studio più povero e più incerto. Non sa esattamente i soldi che ha appena speso (che rappresentano poi soltanto una piccola parte di quelli che dovrà invece tirare fuori per l’avvocato) a che cosa serviranno e che risultati potranno garantirgli.
La sensazione più comune, quindi, è quella di averli gettati nel cesso. Neanche dati in beneficenza, perché, fisicamente, i soldi, se l’è presi l’avvocato (il cliente il contributo unificato non lo vede mai).
Inizia a pensare che con € 450 dal macellaio ci comprava braciole per un anno.
1 anno di braciole contro boh. Un mucchio di niente. L’odio monta.

*** Per essere onesti, bisogna dire che una nuova tendenza, per così dire estrema ed autodistruttiva, vede l’avvocato farsi carico in prima persona di questo tipo di spese in vista di un probabile ritorno futuro. Come una sorta di investimento, le anticipa, registrando così una momentanea perdita secca.
È in questo momento che i profili del cliente e dell’avvocato si sovrappongono ed il professionista assume, limitatamente a quelle spese anticipate, l’ottica dubitativa del suo assistito. Risultato: un grosso disturbo della personalità. L’avvocato inizia prima a dubitare della sua stessa attività e poi ad odiare sé stesso. ***

Dopo alcuni mesi i ricordi del cliente si fanno più nebulosi. Non riesce a ricordare esattamente per che cosa ha dato dei soldi all’avvocato, ma ricorda di avergliene dati. In realtà, come sappiamo, non ha corrisposto nulla al professionista.
Nella sua mente, nella mente della gente, si istaura però l’idea che la prestazione è stata pagata, ma il servizio non è stato ancora reso.
Quando invece ci si reca dal dentista con un dente dolorante, si sa che si uscirà dallo Studio dentistico con un dente cariato in meno, un ponte in più o cose così.
Al massimo potranno volerci più sedute, ma se ne conosce il numero ed il costo. Dopo qualche giorno di minestrine il miglioramento è tangibile. Si sta bene e si riconosce l’intervento benefico, ma necessario, del pur caro dentista.
Qui, bisogna ammetterlo, interviene un altro elemento a sfavore del professionista avvocato. Anzi due.
Primo: la necessarietà. È difficile far accettare ad un povero Cristo nella ragione che è necessaria una sua costituzione in giudizio per scongiurare l’eventualità che il giudice, accogliendo scelleratamente le richieste di controparte, lo condanni al rilascio dell’unico immobile a disposizione o ad un risarcimento punitivo.
Diversamente va ad altri professionisti, i cui compensi sono visti come assolutamente necessari e fisiologici. Questo la gente non lo capisce, non lo accetta. E allora odia.
Secondo: un dente cariato, oltre che sintomo di poca igiene orale, potrebbe essere determinato dal mero caso o dalla Sfiga. Stesso discorso può farsi per un dente del giudizio che cresce come cazzo pare a lui, per un tubo idraulico rotto, un muro pericolante e altre disgrazie di varia entità.
La Sfiga è un fattore determinante nel mondo dell’essere. Però, la Sfiga non è mai un fattore in quello dell’avvocato. Non vado da un avvocato perchè ho avuto Sfiga. Vado dal mio avvocato perché un altro avvocato mi ha notificato un atto di citazione.
Comunque vadano le cose, potrò odiare almeno un avvocato, quello di controparte.
In sostanza, c’è sempre un avvocato da odiare”. Avv. Raffaele Cane

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”