Accusati di essere responsabili dell’infanzia che ingrassa. Banditi da ogni regola di sana alimentazione. E oggi anche tassati. Lo ha deciso, come già prima di lui le autorità danesi e francesi, il ministro della Salute Renato Balduzzi: bevande industriali, gassate e non, energy drink, succhi di frutta verranno gravati di un tributo di 3 centesimi a lattina. Insomma, le autorità sanitarie li bocciano, ma i ragazzi li amano. E tutti, prima o poi, una lattina ce la concediamo. Probabilmente senza sapere cosa beviamo, se non altro perché ogni cola, succo o bevanda varia è in realtà una miscela di molte sostanze (a volte decine) tra aromatizzanti, coloranti, conservanti, vitamine, zuccheri, dolcificanti e molto ancora.
Coca-Cola e Pepsi Cola hanno appena modificato la composizione delle bevande colorate con caramello commercializzate negli Stati Uniti. La causa è stata una campagna del Center for Science in the Public Interest, ente no profit che nelle ultime settimane aveva più volte chiesto alla Food and Drug Administration di imporre limiti molto più bassi di quelli attuali per una sostanza che nasce dalla sintesi di alcuni caramelli (E150c e E150d), il 4- Mei (4 metilimidazolo), inserita nel 2011 dall’International Agency for Research on Cancer (Iarc) di Lione nella lista delle sostanze cancerogene per gli animali e probabilmente anche per l’uomo. L’autorità americana (Fda) si era pronunciata contro il bando e alcuni esperti hanno fatto notare che le dosi che provocano tumori negli animali equivalgono a quelle che si assumerebbero bevendo circa mille lattine al giorno per 70 anni.
In alternativa, potrebbe succedere quanto è avvenuto per un altro componente della Coca-Cola, il dolcificante ciclammato, vietato negli Stati Uniti perché ritenuto cancerogeno, ma permesso in Europa e in 50 Paesi tra i quali il Messico, l’Australia e il Canada: nella Coca-Cola zero europea c’è, in quella americana no. Lo Iarc, per adesso ha valutato non convincenti le prove a carico del ciclammato, usato soprattutto nelle bevande sugar free, ma lo ha messo in lista per una nuova valutazione in base a studi più recenti.
Sarà anche vero che, le bevande energetiche, mettono le ali, ma sono accusati di poter indurre ipertensione, tachicardia, disidratazione, sovrappeso o obesità, oltre che di mascherare gli effetti dell’alcol, rendendo le ubriacature assai più pericolose perché meno percepite. Gli energy sono i grandi protagonisti del mercato dei soft drink degli ultimi anni da molti punti di vista: innanzitutto per le vendite, che sono arrivate a detenere il 20 per cento dell’intero mercato, con fatturati in crescita costante. E poi perché molte autorità sanitarie, nazionali e internazionali, se ne stanno occupando, con decisioni più o meno restrittive, via via che vengono pubblicati studi specifici.
In effetti queste bevande contengono ingredienti non pericolosi se assunti da soli, ma potenzialmente rischiosi proprio perché messi insieme, anche in considerazione del fatto che molti ragazzi ne bevono in quantità e molto spesso li mischiano a bevande superalcoliche per avere un effetto-bomba. La nota distintiva degli energy drink è la caffeina: una lattina da 250 millilitri ne contiene in media 80 milligrammi, cioè quanto una tazzina di caffè, ma alcune marche arrivano a 2-300 milligrammi, dose che può provocare tachicardia, ansia, tremori, insonnia e dipendenza. In aggiunta, ci sono quasi sempre altri stimolanti come il guaranà (che contiene caffeina) e il ginseng; l’aminoacido taurina (un grammo circa in una lattina di Red Bull), conside- rato uno stimolante cardiaco che, se assunto in eccesso, può causare ipertensione; il glucuronolattone, che dovrebbe stimolare memoria e concentrazione; l’inositolo, che migliora l’umore e anche l’utilizzo della serotonina; e, in ogni lattina, in media circa nove zollette di zucchero.
Abbastanza, quindi, per considerarli assai poco consigliabili ai ragazzi. In effetti in Danimarca non ne hanno autorizzato la vendita e in Norvegia sono in vendita solo in farmacia. La Francia li ha ammessi solo di recente con un etichetta che recita: “Da consumare con moderazione, sconsigliata alle donne incinte e ai bambini”. La Gran Bretagna ne sconsiglia l’uso in gravidanza, ai minorenni e a chi ha un rischio cardiovascolare, mentre l’Unione europea si limita a imporre la dicitura “alto contenuto di caffeina”, e la Fda americana non impone vincoli. Il Canada fa scrivere che l’energy drink non dovrebbe essere bevuto insieme all’alcol.
Succo: di che cosa? In realtà di succhi di frutta ne esistono diversi, a seconda della preparazione. Il più semplice è il succo di frutta vero e proprio, ottenuto da frutta fresca di una o più specie avente il colore, l’aroma e il gusto caratteristici della frutta da cui proviene. In Italia la normativa prevede che la percentuale minima di frutta sia del 12 per cento, mentre in altri Paesi non ci sono limiti analoghi. Esistono poi bevande ottenute da succhi concentrati e i nettari, ossia prodotti in cui acqua e zuccheri (in quantità non superiori al 20 per cento del totale) vengono aggiunti alla purea di frutta, e nei quali possono essere addizionati miele o edulcoranti.
Ma il punto più critico è la lavorazione. Alcuni succhi, infatti, vengono trattati ad alte temperature per evitare l’imbrunimento della polpa, abbattere i microorganismi e assicurare la giusta viscosità. I trattamenti termici, però, distruggono molti nutrienti. Per questo motivo nelle bibite a base di succo di frutta, che possono contenere anche solo il 12 per cento di succo, vi sono spesso aggiunte di vitamine e sali minerali, nonché di aromi e coloranti. Una recente proposta di legge approvata in commissione Agricoltura alla Camera, propone che il contenuto minimo sia innalzato al 20 per cento.
Nel frattempo, comunque, sono entrate in vigore nuove norme europee che dovranno essere recepite entro 18 mesi e che riguarderanno tutti i succhi venduti nell’Unione, siano essi prodotti al suo interno o importati (qui la direttiva completa). In sintesi, ai succhi veri e propri non sarà più possibile aggiungere zuccheri o edulcoranti, mentre quelli che hanno il 12 per cento di frutta dovranno essere chiamati “bevande alla frutta”. Per non confondere i diabetici, i nettari cui vengono aggiunti dolcificanti non potranno più scrivere “senza zuccheri aggiunti”.
(fonte L’Espresso)