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Gli altri crescono, Italia ferma da 15 anni

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L’Italia non cresce, questa è la drammatica situazione economica del nostro Paese secondo le stime del Centro studi di Confindustria. L’economia italiana appare “del tutto insoddisfacente”. Da quindici anni l’Italia è ferma al palo. Questo significa che oggi la macchina Italia produce 7-8 mila miliardi in meno di reddito di quello che faceva nel 2000. A forza di non fare niente, o di fare cose sbagliate, forse siamo arrivati al capolinea.

“La risalita dell’economia italiana si è fermata nei mesi primaverili. Quando anche la dinamica dell’Euroarea e delle altre principali economie europee ha rallentato. Tuttavia, l’Italia ha confermato nella recente fase di recupero (iniziata nel 2015) la scarsa capacità di crescita già evidenziata prima della crisi: Germania, Francia e Spagna, infatti, allora erano cresciute molto di più, sono arretrate meno durante la Grande recessione e hanno recuperato più velocemente i livelli persi di PIL.

Il gap di crescita, addirittura, si è ampliato dal 2007 in poi e le previsioni per quest’anno e il prossimo non lasciano intravedere una sua riduzione. Neanche nel medio periodo l’evoluzione si presenta migliore: l’Italia, infatti, ha visto ridursi non solo il livello ma anche la dinamica del PIL potenziale. Ciò rende ancora più urgente e necessario varare misure in grado di riportare il PIL italiano su ritmi di crescita significativamente più robusti, così da ridurre e possibilmente chiudere il differenziale rispetto alle altre principali economie europee.

A partire dal 2000 la dinamica del PIL in Italia è risultata inferiore a quella degli altri principali paesi dell’Euroarea. Fino al 2007 la forbice nella crescita cumulata è stata del 15,1% verso la Spagna, del 4,7% rispetto alla Francia e dell’1,5% nei confronti della Germania. Rispetto alla media degli altri paesi dell’Eurozona il gap annuo è stato del 10,3%. Durante la crisi la divaricazione si è accentuata.

L’Italia, insieme alla Spagna, ha subito una doppia recessione (nel 2008-2009 e nel 2012-2014). Il PIL italiano è diminuito del 9,0% tra il 2007 e il 2014 e quello spagnolo del 7,6% (fino al 2013). Germania e Francia hanno, invece, continuato il recupero iniziato nel 2010, tant’è che nel 2014 i livelli di PIL delle due economie erano già superiori ai massimi pre-crisi, del 5,6% il tedesco e del 2,6% il francese.

Nel 2015 la crescita italiana si è fermata allo 0,8%, circa due terzi di quella francese (+1,3%), meno della metà di quella tedesca (+1,7%) e un quarto di quella spagnola (+3,2%); nel secondo trimestre 2016 la variazione annua del PIL ribadisce gli stessi divari.

In tutti i sottoperiodi considerati l’Italia ha, dunque, mostrato una performance peggiore di quella registrata dalle altre grandi economie dell’Eurozona: il PIL cresceva meno già prima della crisi, è caduto di più durante la Grande recessione ed è aumentato in misura inferiore nella successiva fase di recupero. Questa debole performance viene confermata anche nelle previsioni per il 2016 e il 2017.

Secondo il CSC il PIL italiano aumenterà dello 0,7% quest’anno e dello 0,5% il prossimo, tornando a livelli di poco superiori ai valori del 2000. Si può parlare, a ragione, di oltre un quindicennio perduto per l’economia italiana. Una perdita che risulta ancora più grave se si raffronta tale deludente andamento con quello delle altre economie europee considerate, i cui livelli di PIL saranno l’anno prossimo saliti rispetto a quelli di inizio millennio di oltre il 20% (il 30% in Spagna).

Il negativo differenziale di crescita accumulato dall’Italia a partire dal 2000 raggiungerà così nel 2017 il 22,7% rispetto alla Spagna, il 17,6% nei confronti della Germania e il 16,9% verso la Francia. Ciò è spiegato in larga parte dall’andamento della produttività, che nello stesso periodo e per l’intera economia è aumentata del 10,9% in Germania, del 12,6% in Francia e del 17,4% in Spagna, contro il +0,2% dell’Italia. Già nel 2000-2007 si riscontravano dinamiche molto differenziate: +9,0% in Germania, +7,1% in Francia, +2,6% in Spagna e +1,6% in Italia.

Nel corso della crisi, naturalmente, la performance della produttività italiana ha risentito della caduta della domanda e dell’attività economica. Caduta così violenta da comportare perdita di capacità produttiva e abbassamento della crescita potenziale del PIL. La crescita del PIL potenziale italiano era già molto bassa prima della crisi. La doppia recessione l’ha ulteriormente e notevolmente intaccata. La sua dinamica è così passata dall’1,1% nel 2000- 2007 (allora era in linea con quella tedesca, ma molto inferiore a quella del resto dell’Euroarea) al -0,5% tra 2008 e 2015.

L’erosione della crescita potenziale nel corso della crisi si riflette anche nelle proiezioni sull’andamento del PIL italiano nel lungo periodo fatte dal Fondo monetario internazionale prima e dopo la crisi: nel World economic outlook del 2007 era prevista una variazione dell’1,2%; quest’anno si ferma al +0,7%.

Secondo il CSC circa la metà della riduzione del PIL effettivo registrata nella crisi è strutturale, cioè ha comportato perdita di capacità produttiva, attraverso: la chiusura di impianti e imprese e l’innalzamento della disoccupazione di lungo periodo; il maggiore disallineamento tra richiesta e offerta di competenze dei lavoratori, essendo quelli che hanno perso l’occupazione più difficilmente impiegabili in altre attività (e tanto più lo diventano quanto più a lungo non sono impegnati in attività produttive); il minor livello degli investimenti, che riduce l’innovazione incorporata negli impianti e accelera il loro invecchiamento tecnologico.

Tutto ciò limita le potenzialità di crescita nel medio-lungo periodo. E rende estremamente urgenti misure e riforme che contrastino le cause primarie della bassa crescita potenziale dell’Italia, che ruotano attorno e possono essere ricondotte alla scarsa dinamica della produttività, e delle conseguenze della crisi sul capitale umano e sugli investimenti.

In loro assenza, l’economia italiana anche nei prossimi anni tenderà ad avanzare a ritmi molto bassi e inferiori a quelli dei partner europei, rispetto ai quali si amplierà il divario di reddito. Cosicché sarà impossibile ritrovare in tempi ragionevoli i livelli di benessere, reddito e occupazione perduti.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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