Il Paese rimane preda di quelle fratture sociali e di quel settarismo tribale che si sono presentati subito dopo la caduta del regime di Gheddafi e che ancora oggi sono un ostacolo per la costruzione di nuove istituzioni stabili. Questo comporta una seria minaccia per la sicurezza del Paese e dell’intera area. Minaccia su cui l’Amministrazione Obama continua a porre una notevole attenzione. A dimostrarlo vi è la decisione di spostare nella base di Sigonella una parte del contingente di reazione rapida dei Marines di stanza in Spagna, nel caso in cui si verifichi l’aggravamento delle condizioni di sicurezza per i cittadini e gli interessi statunitensi, al fine di evitare episodi ed attacchi terroristici come quello dell’11 settembre 2012 a Bengasi in cui perse la vita l’Ambasciatore Chris Stevens.
Il quadro di sicurezza del Paese continua ad essere seriamente compromesso ed impedisce la messa in opera di qualsiasi iniziativa di stabilizzazione. Nonostante, dal punto di vista formale, la Libia disponga di un governo legittimamente eletto e di un embrione di Forze Armate, entrambi non riescono a svolgere le rispettive minime funzioni. Dal punto di vista sostanziale il Congresso Generale Nazionale Libico (CGNL), ossia l’assemblea legislativa del Paese, e l’esecutivo esercitano un’autorità limitata ad alcune aree di Tripoli; lo stesso discorso vale per la Polizia e l’Esercito, impreparati, male equipaggiati e più simili a milizie governative che a vere e proprie Forze Armate strutturate. Le milizie che hanno preso parte alla guerra civile del 2011, nonostante i diversi tentativi del governo di includerle in un piano di smobilitazione ed integrazione nelle FA, non hanno consegnato le armi e, anzi, costituiscono la vera forza territoriale nelle diverse aree di competenza del Paese. Basti pensare che le città di Bengasi e Misurata sono governate da gruppi locali, mentre alcune formazioni della regione orientale della Cirenaica hanno dichiarato unilateralmente la propria autonomia da Tripoli. Infine, nella regione meridionale del Fezzan continuano ad alternarsi scontri tra le forze governative e le ultime bande di lealisti. In questo contesto frammentato ed anarchico, dominato dall’incertezza e dalla povertà, le organizzazioni estremiste di ispirazione qaedista continuano a trovare un terreno fertile per le proprie attività di reclutamento, addestramento e finanziamento. Uno degli avvenimenti che permette di comprendere al meglio quali siano i reali equilibri di potere in Libia è rappresentato dalla genesi della legge 41 sull’ “Isolamento Politico”. Il 7 marzo, alcune milizie e gruppi politici libici, in particolare di Tripoli, avevano sfilato per le vie della capitale chiedendo al governo una legge che sancisse l’ineleggibilità parlamentare e l’interdizione per i pubblici uffici a tutti coloro i quali avessero ricoperto cariche pubbliche durante il regime di Gheddafi. Tuttavia l’esecutivo non aveva accolto tali richieste, ma aveva cercato di congelare il malumore della piazza ed procrastinando l’adozione di un decreto dedicato. A quel punto, il 30 aprile, dopo oltre 40 giorni di inutili sollecitazioni, le milizie di Tripoli hanno circondato ed isolato le sedi dei Ministeri della Giustizia e degli Affari Esteri, sequestrando il personale al loro interno, compresi i ministri Salah Bashir Margani e Mohamed Abdelaziz. L’occupazione dei ministeri è terminata 12 giorni dopo soltanto grazie alla precipitosa approvazione del decreto sull’ “Isolamento Politico”, trasformato in legge il 5 maggio. Il contenuto di tale disposizione sancisce l’esclusione dagli uffici pubblici per almeno cinque anni per chiunque abbia ricoperto incarichi nel periodo tra il 9 settembre 1969 ed il 23 ottobre 2011, considerate rispettivamente data di inizio e di fine della dittatura del Rais. Adottata con 164 voti favorevoli su 200 (con solo 4 voti contrari nel corso di una votazione caratterizzata da altissima tensione) la legge deve però essere ancora ratificata dalla Commissione Giuridica del CGNL, anche se appare difficile, per ragioni di opportunità politica, che quest’ultima sollevi questioni inerenti ai vizi di forma o sostanza della disposizione. Al momento, non essendoci un criterio di discrimine basato sull’attività svolta o sul ruolo ricoperto all’interno del regime di Gheddafi, la legge 41, così formulata, comporterebbe l’allontanamento dalla vita politica di circa 40 membri dell’attuale governo. Tra questi, anche il Primo Ministro, Ali Zeidan, e il Presidente del CGNL, Mohammed Magarief, ambasciatore in India negli anni 80 ma anche esponente di spicco del National Front for the Salvation of Libya (NFSL), il movimento che l’8 maggio 1984 aveva cercato di eliminare l’ex dittatore, attaccando direttamente il quartier generale di Bab al-Aziza a Tripoli. In base a queste ultime considerazioni, al fine di evitare una profonda crisi politica, la disposizione potrebbe essere emendata per risparmiare l’attuale classe dirigente del Paese. L’assedio dei ministeri e la burrascosa approvazione della legge hanno causato le dimissioni, poi ritirate, del Ministro della Difesa Mohamed el-Bargathi. Inoltre, le strade di Tripoli sono state nuovamente invase, questa volta da manifestanti e da miliziani sostenitori del governo, che accusavano i colpevoli dell’assalto ai ministeri di essere espressione di partiti islamici finanziati direttamente dal Qatar. Nonostante l’approvazione del disegno di legge e l’annuncio da parte del Primo Ministro di un imminente rimpasto dell’esecutivo, i miliziani non hanno interrotto immediatamente la protesta, richiedendo le dimissioni del premier prima del 5 giugno, data ultima per l’entrata in vigore del provvedimento. Al di là dell’attacco ai ministeri della Giustizia e degli Affari Esteri, le dimostrazioni di ostilità e gli attentati contro le istituzioni e le forze di polizia sono in continuo aumento e colpiscono i principali centri urbani del Paese. Infatti, negli ultimi tre mesi, il numero degli incidenti è stato significativo. Tripoli è stata colpita il 7 marzo, quando i miliziani hanno assaltato la sede della TV locale, e il 12 maggio, quando oggetto dell’attacco è stata l’Autorità Portuale. Ancor più consistente è stato il numero di attacchi a Bengasi, teatro di assalti agli uffici della polizia il 10, 11 e 12 maggio. Anche la remota città desertica di Sebha, nel sud del Paese, ha visto esplodere la violenza dei miliziani contro le forze di sicurezza; infatti, il 13 aprile è stata attaccata una stazione di polizia, mentre il 30 aprile le milizie hanno preso d’assalto la prigione locale, liberando ben 150 detenuti. Oltre agli attacchi perpetrati dalle milizie, le quali agiscono prevalentemente motivate da rivendicazioni interne, continua a destare grande preoccupazione l’attivismo dei gruppi jihadisti di ispirazione qaedista. Infatti, questi ultimi tendono a colpire obiettivi occidentali, come le rappresentanze diplomatiche e consolari dei governi europei e statunitense. Non a caso, il 23 aprile, l’ambasciata francese a Tripoli è stata oggetto di un attentato tramite autobomba. In quel momento due membri dell’Assemblea nazionale francese erano in visita a Tripoli. Nonostante nessun gruppo abbia rivendicato l’attacco, permangono forti sospetti circa la responsabilità di gruppi terroristici. I legami tra i gruppi salafiti libici, primo fra tutti Ansar al Sharia (omonima del gruppo estremista tunisino), e al-Qaeda sono oggetto di continue indagini da parte sia delle autorità locali sia delle agenzie straniere. Negli ultimi mesi, le investigazioni statunitensi riguardanti l’assalto al consolato di Bengasi del 11 settembre 2012, in cui ha perso la vita il console Chris Stevens, hanno condotto all’identificazione di Sufyan Ben Qumu quale possibile organizzatore dell’attentato. Il libico Sufyan Ben Qumu, ex autista personale di Osama bin Laden, è un miliziano jihadista di lunga data, la cui esperienza è iniziata nel LIFG (Libyan Islamic Fighting Group, Gruppo Islamico Libico di Combattimento, organizzazione jihadista di opposizione a Gheddafi), ed è proseguita attraverso diversi viaggi in Afghanistan e Pakistan tra il 1998 ed il 2002. In quegli anni Qumu è entrato a far parte del network qaedista sino al 5 maggio del 2002, quando, dopo il suo arresto a Peshawar, è stato trasferito nel carcere di Guantanámo. Nel 2007, Qumu era stato trasferito in Libia per finire di scontare la pena nella prigione di Abu Salim ma, nel 2010, era uscito di prigione grazie al programma di de-radicalizzazione promosso da Saif Gheddafi, figlio del Colonnello. Durante la guerra civile libica del 2011, Qumu aveva costituito una sua milizia, prevalentemente formata da combattenti di Dama, la sua città natale, successivamente confluita in Ansar al Sharia. Nelle prime settimane di maggio è stata paventata la possibilità che Qumu fosse rimasto ucciso in uno scontro a fuoco a Dama, ma tale eventualità non è stata ancora confermata. La forte instabilità in cui si trova la Libia suscita inevitabilmente l’interesse della comunità internazionale. Gli Stati Uniti, in particolare, guardano con grande attenzione agli sviluppi della crisi politica libica ed alla degenerazione del quadro di sicurezza. Infatti, Washington ha allertato AFRICOM, il comando responsabile per le operazioni in Africa, e la Forza di reazione rapida dei Marines a Moron (Spagna) allo scopo di poter intervenire tempestivamente in soccorso di cittadini, rappresentanti diplomatici e militari presenti sul territorio libico. A questo proposito, 500 marines di stanza a Moron sono stati trasferiti, quale misura precauzionale, nella base siciliana di Sigonella. Inoltre, a poche settimane dalle esplosioni avvenute nei pressi dell’ambasciata francese, Washington e Londra hanno predisposto il rientro di parte del proprio personale diplomatico, e, insieme alle autorità di Parigi, si sono rivolti al governo libico affinché riesca a trovare una soluzione in tempi rapidi per portare a termine il processo di transizione democratica. Invito ribadito anche dall’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione Europea, Catherine Ashton, che ha espresso il sostegno europeo alle autorità di Tripoli. Occorre sottolineare come, negli ultimi mesi, lo scenario politico ed il quadro di sicurezza libico sia stato influenzato dal cambiamento del contesto regionale. Infatti, l’intervento francese in Mali e la rapida avanzata dei contingenti transalpino e di MISMA (Mission Internationale de Soutien au Mali, Missione Internazionale di Sostegno al Mali) nei territori del nord (regione di Kidal ed altopiano dell’Adrar des Ifoghas) ha costretto molti leader jihadisti a fuggire. Le principali destinazioni dei miliziani qaedisti sono state l’Algeria, la Mauritania, il Niger e, appunto, la Libia. Il contesto di fragilità istituzionale, di malcontento popolare e di scarso controllo da parte delle Forze Armate potrebbero rappresentare una notevole opportunità per i guerriglieri estremisti islamici sia per la costruzione di nuovi campi di addestramento sia per la costituzione di un hub logistico, nel cuore del Maghreb, che sostituisca il nord del Mali.