È praticamente escluso che l’attività umana sia stata l’unica causa della sequenza sismica avvenuta in Emilia due anni fa. Non è invece possibile escludere, ma neanche provare, che abbia avuto un qualche ruolo nell’innescare quei terremoti, stimolando una faglia già vicina al punto di rottura.
Volendo condensare 213 pagine in poche righe potrebbe essere questo, a grandi linee, il riassunto del report stilato dalla commissione di esperti chiamati a raccolta proprio dalla Regione Emilia Romagna a partire dal maggio 2013 per esprimersi sulle possibili cause del terremoto. Le conclusioni del report sono state anticipate da Science in un articolo pubblicato la settimana scorsa ma il documento completo, che secondo la rivista americana era nelle mani dell’amministrazione emiliana da più di un mese, è stato messo online solo martedì. Lo stato dell’arte delle conoscenze scientifiche non permette di dare conclusioni più nette di queste, e gli imbarazzi e i ritardi che ci sono stati nella pubblicazione del report derivano probabilmente dal fatto che è comunque sulla base di tutti questi condizionali che le amministrazioni locali e nazionali sono ora chiamate a prendere delle decisioni definitive riguardanti la sicurezza dei cittadini. Ma qual è il peso effettivo di quel “non è possibile escludere”?
Per capire come siamo arrivati a questo report e cosa dice davvero nelle sue conclusioni dobbiamo fare un passo indietro di qualche anno, quando nel 2012, a fine maggio, una serie di scosse di terremoto fecero tremare l’Emilia e in Italia si iniziò per la prima volta a parlare diffusamente di fracking, una particolare tecnica per l’estrazione di petrolio e di gas naturale. Tradotto da noi con il termine di fratturazione idraulica, il fracking prevede il pompaggio nel sottosuolo di acqua e additivi chimici ad alta pressione al fine di creare una frattura nello strato roccioso e liberare così il petrolio e il gas imprigionati nelle rocce serbatoio. In quello stesso periodo, negli Stati Uniti, il dibattito sulle possibili nefaste conseguenze del fracking sull’ambiente andava avanti da tempo, tanto che già nel 2010 era stato girato un documentario di denuncia, Gasland, e da lì a qualche mese sarebbe uscito anche un film sul tema, Promised Land, con Matt Damon (che però venne molto criticato, ma questa è un’altra storia). Al fracking, al boom economico che ha scatenato e ai danni che causa all’ambiente National Geographic ha dedicato un reportage nel marzo del 2013 e un servizio sulla possibile correlazione tra le attività di fratturazione idraulica e un terremoto avvenuto in Oklahoma.
Ma con il terremoto in Emilia il fracking non aveva nulla a che fare. Durante l’evento sismico emiliano, mentre la terra ancora tremava sotto le scosse di assestamento dello sciame, iniziò a circolare la voce, diventata virale sul web e ripresa da giornali e televisioni, che i terremoti di quei giorni potessero essere causati dal fracking svolto da qualche multinazionale del gas sul territorio italiano. La notizia era una bufala: attività di questo tipo non erano mai state praticate né autorizzate, né in Emilia né nel resto di Italia. Il nostro, d’altra parte, è un territorio privo di giacimenti di gas da depositi scistosi (o shale gas) il tipo di gas che viene estratto con il fracking.
Questo non bastò a calmare gli animi. Oltre al fracking, una possibile responsabilità umana nelle concause del terremoto poteva ancora venire dall’attività dei siti di estrazione “canonica” presenti in Emilia. In particolare, nelle zone del terremoto, si registrava la presenza dell’impianto geotermico di Casaglia e del campo di estrazione di idrocarburi di Cavone, nei dintorni di Mirandola. Ma il nome che veniva fuori più spesso era quello di Rivara, una frazione di San Felice sul Panaro, nel modenese, il cui territorio era da tempo stato individuato dalla ERG come una zona utile per realizzare un sito di stoccaggio di gas metano nel sottosuolo. La Regione aveva espresso parere negativo sull’autorizzazione ad avviare gli accertamenti tecnici preliminari per la costruzione dell’impianto, ma c’era il dubbio che delle indagini conoscitive invasive fossero state ugualmente effettuate. Possibile allora che queste indagini, qualora prevedessero perforazioni profonde e immissione di fluidi, potessero essere una concausa del terremoto, insieme alle altre attività di estrazione? Visti i dubbi sollevati dall’opinione pubblica, la Regione Emilia Romagna decise di indagare, e chiese a un panel di esperti di stilare un report sull’intera vicenda: quanta responsabilità aveva l’attività umana nel terremoto emiliano?
Quale terremoto?
La sismologia è una scienza relativamente giovane che studia fenomeni naturali complessi e difficili da simulare in laboratorio cercando di analizzarli con strumenti, modelli matematici e teorie in continua evoluzione. Come sappiamo, allo stato attuale delle conoscenze è difficile tirare fuori risposte chiare e univoche sui terremoti. E lo è ancora di più quando si cerca di capire l’influenza dell’attività umana su quella sismica. Se è vero che abbiamo in mano ormai un’ampia letteratura scientifica a riguardo, si tratta per lo più di indagini statistiche che non sono ancora riuscite a fare completa chiarezza sui rapporti di causa ed effetto, o a stilare conclusioni generali a partire dallo studio del singolo caso.
Tra tutti quelli registrati negli ultimi anni, ci sono terremoti nei quali l’attività umana ha effettivamente avuto un qualche ruolo nel portare il sistema generale al punto di rottura e scatenare la scossa. A volte l’attività umana è sufficientemente grande da diventare la causa scatenante del terremoto. Si parla in questo caso di terremoti indotti, caratterizzati da scosse solitamente piuttosto piccole, provocati dall’uomo in una zona altrimenti tranquilla. Come succede ad esempio nel campo di gas di Groningen, nei Paesi Bassi, dove le attività di estrazione hanno da sempre causato piccole scosse bene o male tollerate dagli abitanti, ma dove l’agosto scorso una scossa più grande delle altre, di magnitudo 3.4, ha messo in allarme la stessa società di gestione e ha aperto grandi interrogativi sul futuro e sulle modalità di estrazione in quella zona. Le scosse in casi come questo non sono una conseguenza immediata della perforazione ma una conseguenza a lungo termine dell’estrazione di gas, che provoca un cambiamento nella pressione sotterranea e un conseguente assestamento del terreno.
Ci sono poi i terremoti innescati, forse più diffusi ma più difficili da rintracciare e da modellizzare, dove una piccola perturbazione generata dall’estrazione o dalla reimmissione nel terreno dei liquidi estratti ma non utilizzabili (che è una pratica comune nei campi petroliferi, e non c’entra nulla con il fracking) può essere sufficiente ad attivare il terremoto di magnitudo anche grande. In questo caso parliamo però di una faglia in qualche modo già carica e predisposta: l’attività umana è quindi in questo caso una goccia che fa traboccare un vaso già colmo, una concausa nell’attivazione di un terremoto già pronto a esplodere di lì a poco (dove poco vuol dire però anche qualche anno).
Insomma, nei terremoti di questo tipo l’attività umana può aiutare una faglia a generare un terremoto, ma discernere tra questi terremoti e quelli completamente “naturali” oggi è spesso ancora molto difficile, ed è praticamente impossibile, in ogni caso, quantificare all’interno di una scossa attivata il peso delle “responsabilità” umane.
La commissione ICHESE
La commissione internazionale di esperti nominata dalla Regione Emilia Romagna (identificata con l’acronimo di ICHESE: International Commission On Hydrocarbon Exploration And Seismicity in the Emilia Region) ha iniziato i suoi lavori nel giugno 2013. Dopo una revisione della letteratura disponibile è passata allo studio dei dati, alla ricerca di un eventuale nesso esistente tra le operazioni di iniezione, estrazione e stoccaggio di fluidi e l’attività sismica nell’area emiliana.
Il resto è cronaca di questi giorni: prima le anticipazioni di Science e poi, martedì, la pubblicazione del rapporto completo. Le conclusioni hanno lasciato a bocca asciutta chi si aspettava una risposta netta e inequivocabile, sia in un senso che nell’altro, anche se qualche punto fisso è stato messo. La commissione ha prima di tutto “assolto” in maniera inequivocabile il sito di Rivara, dove non c’è stata alcuna attività di esplorazione mineraria preventiva per il progetto del sito di stoccaggio, si legge nel documento finale. La commissione scrive poi di non aver trovato nessuna evidenza che la sequenza sismica dell’Emilia possa essere stata indotta – cioè provocata completamente – dalle attività antropiche.
Per quanto riguarda la possibilità che uno dei siti di sfruttamento del sottosuolo possa aver aiutato a innescare il terremoto, la commissione ha trovato una qualche correlazione statistica tra l’attività sismica e quella umana solo per quanto riguarda l’attività di estrazione e iniezione di liquidi nel sito di Cavone nei pressi di Mirandola. Lì una brusca variazione dell’attività di estrazione tra 2011 e 2012 potrebbe aver contribuito a dare il via alla sequenza sismica che ha portato poi alle due grandi scosse di maggio 2012.
Problemi di comunicazione
Quello dei terremoti indotti e innescati dall’uomo è un campo di ricerca che conosciamo ancora poco, dove manca un modello fisico e matematico di riferimento. A questo va aggiunto che i dati a disposizione della commissione, come si legge nel report, sono incompleti a causa delle insufficienze della locale rete di monitoraggio sismico. La base del lavoro effettuato era quindi già in partenza piuttosto debole, e non deve stupire che le conclusioni si siano rivelate non definitive – per forza di cose e non per mancanze scientifiche degli esperti. Anche alla luce di questo, però, la correlazione statistica trovata potrebbe non essere poi così significativa. “Per usare le parole della commissione, non posso escludere che su questo punto abbiano ragione, ma la probabilità che abbiano ragione è piuttosto bassa, ed è poco probabile, come d’altra parte dice lo stesso report, che quello dell’Emilia sia stato un terremoto innescato dall’uomo”, spiega Marco Mucciarelli direttore del Centro Ricerche Sismologiche dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS), che sul suo blog ha sollevato anche alcuni dubbi dettagliati e di tipo tecnico sulle analisi statistiche riguardanti il campo di Cavone.
“Il lavoro della commissione dice però delle cose precise su fracking e Rivara, quindi un contributo alla chiarezza l’ha dato. È un report che in questo ha fatto il suo mestiere”, continua Mucciarelli. “Un altro messaggio chiaro è contenuto alla fine: per il futuro, se volete avere risposte certe, l’Italia si dovrà dotare dei sistemi di monitoraggio di queste attività”.
Il linguaggio della scienza è il linguaggio dell’incertezza. Tradurlo in comunicazioni ai cittadini (e in decisioni politiche) è un compito arduo. Il fatto che le istituzioni abbiano deciso per motivi ancora non chiari di rinviare la pubblicazione del report ha alimentato sospetti, preoccupazioni e i soliti complottismi. “Purtroppo”, conclude Mucciarelli, “questa vicenda porta indietro le lancette dell’orologio, e rischia di distruggere quel poco di fiducia che ricercatori e Protezione Civile avevano riguadagnato nei cittadini dopo le vicende dell’Aquila grazie a campagne mirate di comunicazione e informazione sui terremoti”.
(Fonte nationalgeographic)