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Domenica in Poesia: Velso Mucci

Lettera ai membri del CC e della CCC del PCI 

Ascolto i vostri dibattiti
come si ascolta il gorgo
dei cassoni dell’acqua
durante
le notti d’insonnia
reumatica.
(stando al piano delle lavanderie
com’io sto da quando ho memoria
si potrebbe anche tentare d’essere lucidi
e assegnare più origini
a questi singulti del ferro
ma tutto
arriva qui col medesimo tuono)
scusate dunque
la confusione che i vostri canali
mettono nelle mie arterie
infreddolite
non è un caso
che proprio il mio reuma più acuto
sia accaduto insieme
con i vostri dibattiti
siamo stati aggrediti
da un medesimo vento
che le mie ossa ricevono gelido
e che molti di voi definiscono caldo
vedete
che per poco che i miei versi
si prolunghino nella notte
come larve di antichi dolori
c’è rischio che anch’io entri tra voi
a dibattere
sulla qualità
da dare
a quel vento
ora
ciò che manca nei vostri dibattiti
(perché tutti noi si sappia che fare)
è proprio
quel che una gran base
del Partito
vi addita
(se voi foste più logici)
un pizzico di
silenzio

dicembre 1961

Velso Mucci

Velso Giovanni Mucci (Giòanin per gli amici) nacque a Napoli il 29 maggio del 1911 da Ranieri, abruzzese e maestro di musica nel Regio Esercito, e Domenica Boglione di Bra. Rimase affezionato a questa cittadina tutta la vita, passandovi nell’età matura lunghi periodi. Da ragazzo dovette seguire le peregrinazioni per tutta Italia del padre, fino a stabilirsi a Torino, dove si laureò in filosofia estetica. Durante il periodo dell’Università giocò nelle riserve della Juventus, bohémien nel cosiddetto fascismo di sinistra. Romano Bilenchi ricorda nel suo libro “Amici” l’epico pestaggio a cui fu sottoposto allora con Primo Zeglio da parte di alcuni esagitati del Guf. Fu proprio a Torino che esordì sul “Selvaggio” di Maccari come critico musicale (si firmava ancora Welso),e conobbe gli artisti che rimasero i suoi amici per tutta la vita (Spazzapan, Menzio, Cremona, Rosso e tanti altri). Nel 1934 si trasferì a Parigi, dove aprì con il cugino Sandrino Alberti una libreria antiquaria. Qui tennero anche mostre dei loro amici pittori fino allo scoppio della guerra che pose fine a tutto. A Parigi poterono frequentare le avanguardie artistiche e letterarie del tempo. Pubblicò in quel periodo i suoi scritti e le poesie giovanili in brochures semiclandestine oggi introvabili. Ma fu a Roma, nel dopoguerra, che iniziò il suo periodo creativo più felice. Insieme a Leonardo Sinisgalli, Nicola Ciarletta e Aldo Gaetano Ferrara fondò la rivista bimestrale “Il Costume politico e letterario”, dove per cinque anni raccolse le firme migliori dell’Italia letteraria di allora. Poi ideò con Dora, la sua moglie-donna-compagna, le tredici superbe cartelle del “Concilium Lithographicum”, dove alle litografie di De Chirico, Maccari, De Pisis, Fazzini e altri erano affiancati gli scritti di Ungaretti, Palazzeschi, Cardarelli, Sinisgalli.. Dora gliel’aveva presentata Maccari nel ’39 a Roma, e lo amò sempre, fino all’ultimo. La moglie di Sinisgalli, Giorgia de Cousandier, rievocherà nel 1965 in un commosso ricordo di Mucci sulle pagine della rivista “La botte e il violino” anche la gestazione del “Concilium” e del “Costume”. Sempre negli anni cinquanta venne la sua collaborazione con il ”Contemporaneo”, la rivista politico-letteraria di ispirazione marxista diretta da Antonello Trombadori. (Mucci aveva preso la tessera del PCI nel ’45). Diresse anche “La Voce“ di Cuneo, e pubblicò i suoi saggi nel volume “L’azione letteraria 1.” Ma fu solo nel 1962 che una grande casa editrice, la Feltrinelli, pubblicò per la prima volta le sue poesie in “L’età della Terra”. Ne scrisse la prefazione Natalino Sapegno, e vinse il premio Chianciano ex-aequo con Andrea Zanzotto. Fu anche in Spagna a prendere contatti per il PCI con l’opposizione antifranchista, e da questo viaggio nacque uno storico numero del Contemporaneo. Sempre nel 1962 fu inviato dall’Unità al Giro d’Italia, e ne fu il cronista attento e polemico. La sua ultima stagione iniziò a Londra, dove si era trasferito per imparare l’inglese alla perfezione. Ufficialmente era per poter leggere l’Ulisse di Joyce in lingua originale, che aveva già scoperto a Torino in francese tanti anni prima. Il suo vero sogno, però, era di andare come inviato dell’Unità a Pechino. Aveva cominciato a coltivarlo nel ’58 a Tashkent, quando aveva partecipato alla Conferenza degli scrittori afro-asiatici e conosciuto Nazim Hikmet, il grande poeta turco che aveva tradotto in italiano. In quell’occasione aveva conosciuto i compagni del Partito comunista cinese, con i quali aveva fraternizzato. A Londra scrisse le 200 cartelle del suo romanzo, L’uomo di TorinoCi mise sei mesi, dal 7 novembre del 1963 all’aprile seguente. A maggio lo colse il primo infarto. Dora disse che non smise di fumare dopo questo. Il secondo, la notte fra il 5 e il 6 settembre 1964, gli fu fatale. Le sue opere uscirono postume, lentamente, nell’arco di quasi quindici anni. Feltrinelli pubblicò nel 1967 “L’uomo di Torino” e l’anno dopo la raccolta di tutte le sue poesie “Carte in tavola”. Nel 1973 uscirono le sue “Carte di un italiano dell’11“, e l’antologia dei suoi saggi filosofici e letterari curata da Mario Lunetta fu pubblicata nel 1977 con il titolo “L’azione letteraria”. Poi più nulla fino al 2009, quando uscì una plaquette con una scelta delle sue poesie a cura di Massimo Raffaeli. Lo conobbe e lo apprezzò praticamente tutta la critica militante italiana del ‘900, dalla quale non ricevette quasi mai stroncature, anche se lui invece non le risparmiò. Clamorose furono quelle di Louis Aragon che lodava il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e del Dottor Zivago di Pasternak. Nel 2008 gli fu conferito, postumo, il premio letterario Feronia.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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