Albe e notti qui variano per pochi segni.
Il zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d’aria polare,
l’occhio del capoguardia dello spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolio dalle cave, girarrosti
veri o supposti – ma la paglia é oro,
la lanterna vinosa é focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.
La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
puo salvarsi da questo sterminio d’oche ;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d’altri, affera il mestolo
anzi che terminare nel patée
destinato agl’Iddii pestilenziali.
Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull’impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
scironate all’aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo e il minuto –
e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se saro al festino
farcitore o farcito. L’attesa é lunga,
il mio sogno di te non e finito.
Eugenio Montale
Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981) è stato un poeta, giornalista e critico musicale italiano, premio Nobel per la letteratura nel 1975. L’opera è raccolta nell’ultima sezione di “Conclusioni Provvisorie” della La bufera e altro. Il poeta ci presenta la storia di un prigioniero in un luogo in cui ci sono poche differenze tra notte e giorno. Dalla prigione il poeta può vedere soltanto il zig-zag degli stormi o l’occhio della guardia quando si affaccia allo spioncino. Non c’è scampo per lui. Solo le ali degli uccelli che vede volare gli appaiono come l’unica via di salvezza. Dice che la paglia sarebbe oro, la piccola lanterna vinosa sarebbe un focolare se solo riuscisse a dormire. Una speranza introdotta da un “ma”.
Successivamente si fa riferimento a una “purga” e alla possibilità si salvarsi da questo sterminio di oche. La parola “oche” indica lo stato animalesco in cui sono costretti a vivere i prigionieri: ci si può salvare solo tradendo gli altri. Così facendo si finirebbe con l’avere il mestolo in mano anzichè trovarsi nel paté destinato agli dei (Idii) pestilenziali.
Nella terza parte ritorna la descrizione del prigioniero, che dice di essere tardo di mente. La prigionia lo sta facendo impazzire. Parla di come il suo giaciglio gli abbia procurato delle ferite, mentre si immedesima nel volo di una tarma, descrivendo le sensazioni che immagina di provare durante il volo.
Il vento gli porta l’odore dei buccellati (dolci tipici lucchesi) nei forni. Qui ci potrebbe essere un’allusione ai forni dei campi di sterminio. La luce proveniente dai torrioni vicini gli sembrano dei kimoni colorati. Intorno, arcobaleni sulle ragnatele che rappresentano l’unico orizzonte e petali sui tralicci delle inferriate.
Il prigioniero si alza, ma ricade di nuovo nel buio della stanza, dove il tempo sembra non passare mai (un minuto sembra un secolo) e i colpi e i passi si ripetono in continuazione. Non sa ancora se alla festa finale sarà farcito o farcitore. Alla fine si riferisce a qualcosa o qualcuno che non viene specificato, ma probabilmente è una donna o l’agognata libertà.
Questa è la prigionia esistenziale e metaforica in cui vive l’uomo. Esistenziale in quanto attanaglia realmente le persone che vivono lo stato d’animo di quel periodo; metaforica perchè è comunque la condizione esistenziale di tutti gli uomini, in qualunque tempo o luogo si trovino. L’unico modo per uscire da questa condizione è il sogno, fornito solamente dalla donna.
Nella Bufera e altro torna infatti la figura della “donna angelo”, ma più vitale, istintuale, che porta nella poesia maggior erotismo ed è pertanto una sorta di anti-Beatrice dantesca.
Anche questa poesia, come nelle altre della Bufera, dal punto di vista stilistico, è ancora più complessa delle Occasioni (a loro volta più complessi di “Ossi di seppia”). E’ orientata verso un maggiore plurilinguismo, riscontrabile nelle parole “kimoni”, che è un termine orientale, o “patè” (francese), “buccellato” (toscano), che invece è tipico toscano.