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Dal 1985 ad oggi cancellati dal cemento 160 chilometri di paesaggi costieri

paesaggi costieri

Oltre il 55% delle aree costiere italiane trasformate dal cemento, 160 chilometri spariti dal 1985 ad oggi, malgrado i vincoli della Legge Galasso. I paesaggi costieri sono un patrimonio che un Paese come l’Italia deve portare nel futuro, cambiando attenzioni e politiche nei confronti di una risorsa a rischio. Un dossier di Legambiente per rilanciare la tutela dei paesaggi costieri italiani e investire nella bellezza.

I paesaggi costieri costituiscono una parte rilevante della identità italiana, della sua storia e memoria collettiva, oltre che una risorsa turistica importantissima. Il fascino delle coste del Mediterraneo, per usare le parole di Fernand Braudel, sta nell’essere da sempre un crocevia di storie dove lungo gli innumerevoli paesaggi si incontrano realtà antichissime, il fascino della natura e delle colture agricole. E all’interno di questo straordinario patrimonio in Italia vi sono anche paesaggi spesso poco conosciuti, in alcuni casi nascondono fondali marini e una bellezza ancora tutta da scoprire ma troppo spesso con situazioni di degrado e tratti a rischio di cementificazione. L’obiettivo che Legambiente si pone da anni, risale al 1986 la prima edizione di Goletta Verde, è di contribuire con campagne e iniziative di partecipazione dei cittadini e di denuncia a far conoscere questo patrimonio, tenerlo sotto osservazione, studiarlo. Risale a 30 anni fa l’ultimo momento di vera attenzione nei confronti della tutela del patrimonio costiero quando, con la Legge Galasso (la 431/1985), si individuò un vincolo di 300 metri dalla linea di costa, che però non vietava le nuove costruzioni ma rimandava a un parere paesaggistico e alla redazione di piani regionali. Saltuariamente la cronaca torna ad occuparsene a seconda di polemiche che possono riguardare le concessioni balneari o gli appetiti immobiliari, l’inquinamento dell’acqua o le mareggiate che si sono divorate tratti di spiaggia, o magari l’impossibilità in alcuni Comuni di poter perfino accedere a una spiaggia “libera”.

Lo studio realizzato su 1800 chilometri di coste delle Regioni Veneto, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Lazio, Sicilia ha evidenziato delle situazioni particolarmente impressionanti. In primo luogo la dimensione di una trasformazione irreversibile, per cui oltre il 55% delle aree costiere italiane sono state trasformate dall’urbanizzazione, con il record di Lazio e Abruzzo dove si salva oramai solo un terzo dei paesaggi mentre tutto il resto è oramai occupato da palazzi, ville, alberghi, porti. Bene, nelle Regioni studiate dal 1985 ad oggi malgrado vincoli e piani sono stati cancellati dal cemento qualcosa come 160 chilometri di paesaggi costieri! La fotografia scattata attraverso lo studio evidenza un quadro estremamente preoccupante, una deriva pericolosa che non trova, al momento, ostacoli efficaci ne nella legislazione ne nelle volontà politiche degli amministratori locali. La preoccupazione aumenta se si pensa poi alla crescente esposizione al rischio idrogeologico che questa situazione fa emergere e se si considera che l’esplosione dell’occupazione delle coste con il cemento in molte parti d’Italia avviene in assoluto rispetto della legalità, l’abusivismo infatti peggiora una situazione già gravemente compromessa. L’obiettivo deve essere di salvare la natura residua, liberare l’accesso alle spiagge ed avviare un grande piano di riqualificazione dell’esistente, per cancellare quella litania di case e costruzioni che rovinano la bellezza delle nostre coste. Anche per questo Legambiente ha messo a punto un Disegno di Legge sulla bellezza, oggi presentato in Parlamento, e queste proposte devono trovare spazio nella discussione in corso in merito al provvedimento proposto dal Governo sul contenimento del consumo di suolo. Solo fissando un chiaro stop al consumo di suolo sarà infatti possibile avviare quella riqualificazione dell’edificato lungo la costa, che è una condizione oggi indispensabile per ripensare l’offerta turistica nella direzione della qualità ambientale.

Le trasformazioni più rilevanti avvenute nelle Regioni italiane 

Abruzzo: ha il triste record di suoli costieri trasformati, ossia passati da un paesaggi naturali e agricoli ad infrastrutture ed edifici residenziali. Sono infatti 91 i km di costa irreversibilmente modificati rispetto ad un totale di 143 km, oltre il 63,6 %. Tra le infrastrutture, nate o ampliatesi negli anni scorsi, spiccano i porti di Pescara, Giulianova, Ortona e Vasto. L’aspetto più impressionante in questa Regione è che il paesaggio costiero “ancora” libero sia protetto solo parzialmente, visto che solamente il 9% dell’intera costa abruzzese risulta essere area protetta. L’istituzione del Parco della Costa Teatina tra Ortona e Vasto rappresenta l’unica garanzia a tutela dei valori paesaggistici della “costa dei trabocchi”.

Campania: su 360 km di costa campana sono 181 quelli urbanizzati, oltre il 50%. Tra il 1988 ed il 2011 sono stati 22 i km di costa trasformati per usi residenziali e turistici mentre 7 km hanno visto interventi di artificializzazione legati alle infrastrutture portuali ed alle aree industriali. Ciò che è avvenuto negli anni successivi al 1988, soprattutto tra Agropoli e Salerno e tra Varcaturo e Baia Domitia, ha provocato danni irreparabili su un paesaggio costiero di immenso valore. Ma sono ancora tanti i tratti di costa di pregio a rischio e che andrebbero tutelati: tra Caprioli e Marina di Ascea, tra Marina di Casal Velino e Acciaroli, tra Agropoli e Torre Piacentina o ancora di più litorali come il Lago di Patria e la Riserva Naturale di Castelvolturno.

Emilia-Romagna: densità e continuità dell’edificato, prettamente nato a scopo turistico e di seconde case nelle immediate vicinanze della costa, 82 km di costa urbanizzati sui 141 totali, ma soprattutto da Cesena a Cattolica un aumento tra il 1988 ed il 2011 di costruzioni anche alle spalle della linea costiera. La costa emiliano-romagnola appare oggi divisa in due, tra una fascia a Nord, verso il Veneto, dove ancora si leggono ancora ambiti naturali di pregio, e quella più a Sud, dove il famoso modello turistico intensivo romagnolo ha proseguito nel cancellare ogni lembo libero per cui è perfino difficile oggi immaginare come fosse stato il paesaggio prima che arrivasse la distesa di alberghi, palazzi, seconde case, stabilimenti.

Lazio: in questa Regione su un totale di 329 km, 208 km risultano essere trasformati ad usi urbani e infrastrutturali, cioè oltre il 63%. Impressionante è leggere come l’urbanizzazione realizzata successivamente all’entrata in vigore della Legge Galasso ha portato alla cancellazione di ben 41 km di costa, cioè il 20% dell’intera urbanizzazione esistente. I tratti di costa in cui i valori di consumo di suolo sono più alti, sono quelli che vanno da Salto Corvino a Terracina, da Anzio a Torvaianica. E tanti altri tratti, come il Lido di Ostia, le spiagge di Fiumicino, Santa Marinella e Scaglia, in cui non solo si è consumato suolo a favore di residenziale quasi esclusivamente per seconde case e servizi correlati, ma è stata occupata la spiaggia con attrezzature turistiche imponenti. I tratti che preoccupano maggiormente e su cui bisogna intervenire con una più efficace tutela sono quelli compresi tra Gaeta e Sperlonga, tra Sperlonga e Terracina, dove le sponde del Lago Lungo sono state evidentemente attaccate; e poi ancora, tra Astura ed Anzio, tra Marina di Cerveteri e Santa Severa, tra Scaglia e Lido di Tarquinia, e al confine con la Toscana, tra Riva dei Tarquini e Montalto di Castro.

Marche: il 58% della costa marchigiana è sparito sotto il cemento. Dei suoi 180 km di lunghezza le Marche contano ben 98 km di costa oramai trasformati a usi urbani e infrastrutturali. Risultano liberi dall’urbanizzazione i 26 km di costa ricadenti nelle due grandi aree protette, formate dal Parco Regionale del Monte Conero e il Parco Regionale del Monte San Bartolo, che anche grazia alla morfologia montuosa hanno fatto da freno al cemento. Altri 28 chilometri di aree agricole e 14 di aree ancora naturali si rischia che finiscano cancellati dalla continua crescita del cemento. Il 64% del consumo verificatosi tra il 1988 ed il 2006 (circa 4,5 km) è avvenuto per usi prettamente urbani (residenziali e servizi annessi); il restante 36%, quindi 2,5 km, consiste in opere infrastrutturali e industriali. Ne sono esempio l’area industriale di Fano e l’ampliamento del suo porto, ma anche l’area industriale di Senigallia e la crescita di Pedaso.

Molise: nonostante la costa molisana sia di modesta lunghezza (35 km) risulta tra le più aggredite dalla cementificazione nel corso degli ultimi 25 anni. Su un totale di 17 km di costa consumati sono infatti ben 10 i km urbanizzati dopo il 1988. In particolare sono state realizzate numerose nuove case e complessi residenziali che hanno sostituito suoli agricoli, ma anche nuove strutture turistiche nei pressi di Campomarino e Montenero di Bisaccia. I tratti di costa che destano maggiori preoccupazioni per il futuro sono quelli tra Termoli e Campomarino e tra Montenero e Termoli sui quali dovranno essere istituiti vincoli di inedificabilità per tutelarli e valorizzarli come risorsa naturale.

Sicilia: la parte tirrenica del litorale siciliano conta 442 km di lunghezza, di cui 255 km trasformati ad usi urbani ed infrastrutturali, addirittura il 58% del totale. Il consumo di suolo costiero è avvenuto in gran parte a favore dell’urbano soprattutto per l’espansione di alcuni agglomerati e la conseguente saldatura di più centri. In particolare è emblematico il caso del tratto tra Fiume Grande e Capo, nei pressi di Cefalù, in precedenza caratterizzato da aree verdi. Anche le aree industriali sono state artefice di consumo di suolo, soprattutto nei tratti di costa del Comune di Termini Imerese. Tra i tratti rimasti integri e che necessitano di tutela rimangono quelli tra San Vito Lo Capo e Castellamare del Golfo, dove si trova la Riserva Naturale dello Zingaro e alcuni tratti tra Cefalù e la Riserva Naturale “Laghetti di Marinello”.

Veneto: sono ben 61 i km di costa consumati in Veneto, su un totale di 170 km. I tratti ancora integri riguardano in particolare le aree a Sud della Regione, tra Chioggia e l’Emilia, dove la morfologia e la geologia dei luoghi (delta del Po) ha impedito l’urbanizzazione. I principali centri attaccati dal consumo di suolo costiero sono Bibione, Caorle, Porto di Piave Vecchia, Cà Crema e Cavallino, principalmente a causa dell’edificazione avvenuta negli ultimi 23 anni a destinazione turistica e residenziale. L’allargamento del tessuto urbano dal confine con il Friuli fino a Chioggia ha portato alla saldatura di numerose aree urbane; questo fenomeno è stato particolarmente accentuato negli ultimi 23 dove su 11 km di consumo di suolo registrato in Veneto ben 7 km riguardano il tratto tra Caorle e Chioggia. E’ importante mantenere inalterate le aree costiere del sud della Regione che rimangono estremamente fragili anche per le indicazioni di tutela presenti, in particolare rispetto alle aree agricole.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”

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