Cyberbullismo: La violenza diventa virtuale

Bullismo e cyberbullismo non sono scherzi più o meno virtuali ma violenze reali. Si comincia con una presa in giro verso qualcuno, che online raccoglie consensi, si esalta, si trasforma, diviene caricatura. Il contenuto mette al centro un individuo che si ritrova coperto di ridicolo, anche se non si conosce personalmente, talvolta cercato e perseguitato, intrappolato. Se non si interviene in tempo, si può arrivare a distruggere la vita di una persona, specie se in età formativa.

Le vittime sono molto spesso minori, ragazzi e delle ragazze tra gli 11 e i 14 anni, che non sanno difendersi dai coetanei che li perseguitano e che non conoscono le conseguenze di un comportamento che di fatto è criminale. Una vera e propria piaga sociale.

I casi di cyberbullismo in Italia nel 2016 sono aumentati dell’8% rispetto all’anno precedente, mentre lo scambio di immagini hot avviene sempre prima, in un’età compresa tra gli 11 e i 12 anni (e il 25% degli adolescenti ammette di aver praticato sexting).

Secondo uno studio realizzato dall’Università Sapienza di Roma, in occasione del Safer Internet Day (la giornata mondiale dedicata alla lotta al cyberbullismo che si celebra oggi), 8 ragazzi su 10 non considerano grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social network. Gli attacchi verbali in rete non sono considerati gravi perchè non vi è violenza fisica. 

Dalla ricerca condotta su 1.500 ragazzi delle Scuole Secondarie di primo e secondo grado emerge un generale atteggiamento di sottovalutazione degli effetti dei comportamenti in rete. Spiega Anna Maria Giannini, del Dipartimento di Psicologia, Sapienza Università di Roma: “Sembra che il bersaglio di insulti, sarcasmo, ironia espressa con frasi pesanti sia soprattutto il comportamento divergente dalle attese del gruppo, l’isolamento, la adesione a regole rigide, l’assenza di coraggio, che terrebbe la vittima lontano dalle trasgessioni, o anche l’aspetto fisico; Le ragazze scelgono come bersaglio le coetanee non conformi a canoni di bellezza condivisi, non abbigliate secondo tendenze, dipendenti, regressive”.

Il 71% dichiara che la vittima non avrà alcuna conseguenza dagli attacchi. Il 68% dichiara che non è grave pubblicare immagini, senza autorizzazione, che ritraggono la vittima. Gli insulti, anche ripetuti o la pubblicazione di immagine lesive sono ritenuti leciti perché circoscritti ad un ristretto numero di persone che ne avrebbero accesso, inoltre frutto di aspetti di comunicazione limitati nel tempo e focalizzati.

L’82% non considera grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social. L’86% ritiene che le conseguenze per la vittima non siano gravi e che, considerato che non si dà luogo a violenza fisica diretta, l’atto aggressivo verbale può essere considerato non grave e irrilevanti. Il 76% dichiara che insulti o frasi aggressive riguardano l’aspetto fisico, l’abbigliamento, i comportamenti. 

I primi dati raccolti“, conclude la prof.ssa Giannini, “evidenziano la grande necessità di educazione al corretto uso della rete non soltanto da un punto di vista tecnico, ma anche da un punto di vista della regolazione effettiva ed emotiva”.

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Claudio Rossi

“Ci sono uomini nel mondo che governano con l’inganno. Non si rendono conto della propria confusione mentale. Appena i loro sudditi se ne accorgono, gli inganni non funzionano più.”