“Portiamo in giro un esempio di vita alternativa basata sulla cultura della festa come momento di unione universale. Vogliamo vivere liberi, per questo sacrifichiamo il bisogno di denaro e massimizziamo il valore del nostro tempo personale, investiamo sulla creatività, ricerchiamo la condivisione e beneficiamo delle relazioni sociali al fine di diffondere l’arte, la musica e lo spettacolo”..sono gli artisti del Cirko PaniKo. Giocolieri, clown e addio animali, signori e bambini ecco il circo del futuro.
Eppure la vertigine più forte non è arrivata mentre i piedi circonflessi ad “u” si arrampicavano sul filo teso sulle teste degli spettatori. Gli artisti del Cirko PaniKo, primo circo contemporaneo in Italia, il pavimento cedere sotto i piedi l’hanno sentito il giorno che si sono scelti nomadi. Ed è stato l’inizio di una festa. Funamboli del coraggio in un mondo di paure e in un’Italia in recessione, sono un collettivo di cinquanta artisti, giovani adulti tra i 20 e i 30 anni, e hanno dato vita ad una compagnia teatrale di spettacolo viaggiante che vive, mangia e respira l’arte del circo interpretato a modo loro. E naturalmente senza nessun finanziamento né statale né privato. “Abbiamo fatto una scelta”, racconta Giacomo Martini, musicista e membro del gruppo dagli inizi, “fare un lavoro che amiamo, ma che non entra nelle categorie professionali che voi tutti conoscete. Abbiamo deciso di non produrre, ma di creare emozioni con il corpo, la voce e qualsiasi strumento possa esserci d’aiuto”. Condividono la scena sotto un tendone giallo, ma soprattutto le battaglie. Il circo contemporaneo è il tentativo di rinascita di un’arte che rischia di essere dimenticata. Nato negli anni ’80, si diffonde soprattutto in Francia con il nome di Nouveau Cirque e sta ad indicare quel tipo di attività circense in cui l’esibizione fonde arti e talenti in uno spettacolo che ha un inizio e una fine. La pista diventa un palco e quando si scosta il telo di plastica si entra nel buio spesso come una nebbia di un teatro senza pareti. Poi si accendono i riflettori e comincia la storia. In Italia i primi a sperimentarlo sono stati gli artisti del Circo PaniKo, poi è stata la volta di El Grito, Magda Clan, Circo Side e Patouf. Quest’anno forse per la prima volta ci sarà un forum che possa metterli a confronto. Eccezioni in una tradizione di famiglie circensi a volte rigide e in un sistema difficile da integrare. “Non abbiamo mai ricevuto nemmeno un centesimo dallo Stato”, aggiunge Martini, “Il circo in Italia purtroppo è controllato da pochi grandi nomi e noi che cerchiamo di offrire qualcosa di diverso non veniamo nemmeno considerati. Siamo una risorsa, per il Paese, per il nostro sistema culturale, ma chissà quanto tempo ancora ci vorrà prima che qualcuno se ne accorga”. Energie invisibili a spasso per campagne e strade di paese, ma anche metropoli di un’Italia troppo abituata a dimenticare i suoi talenti per offrirgli una chance. Così cercano di aiutarsi tra loro, con il passaparola e l’arte dell’arrangiarsi. Mentre intorno restano i pregiudizi. Il mondo li chiama zingari, perditempo o ruba bambini, quando invece sono professionisti che portano nel fodero il più ricercato dei diplomi: studenti alla scuola della strada.
“Tutto è cominciato nel 2006”, continua il musicista, “quando siamo partiti in quattordici su di un autobus e abbiamo viaggiato da Perugia all’India. Ci siamo esibiti nelle strade del mondo e abbiamo vissuto ‘a cappello’, di donazioni e piccoli contributi per i nostri spettacoli”. E l’inizio dell’avventura, della decisione di fare di un’esperienza una scelta di vita, comincia nel 2009 con l’acquisto di un tendone giallo. “Lo abbiamo visto un pomeriggio, in un paese nelle campagne alle porte di Bologna. Era di proprietà di Damian, artista francese, e ce ne siamo innamorati. Gli abbiamo chiesto: ‘ce lo vendi?’ Ha detto sì, ma ad un patto : ‘Voglio esibirmi con voi’. E’ nata così una famiglia”. Lì parte la storia: prima la formazione in Spagna in una residenza per artisti e poi gli spettacoli in giro per l’Europa e l’Italia. E non ha caso hanno scelto il nome PaNiKo, parola che viene dal greco e indica il “tutto”, il cerchio perfetto di ogni cosa in natura, ma anche quell’emozione forte che si prova quando si esce dai sentieri tracciati di quello che è definito. “Il nostro non è un azzardo, ma credere in un modo diverso di fare spettacolo e di vivere i nostri talenti. Abbiamo tutti storie diverse, chi ha studiato alla scuola di circo, chi invece ha cominciato da solo e poi imparato dai compagni”. Un mese e mezzo all’anno si esibiscono al Parco della Montagnola a Bologna. E il resto è viaggio per le città di un’Italia dimenticata che si stupisce nel veder arrivare facce pulite che ancora parlano di sogni e vita vissuta fuori dai confini ma dentro la realtà. “Punto di domanda”, “Senza ombra di dubbio” e “Cabaret d’inverno” alcuni degli ultimi spettacoli realizzati. Hanno un manifesto che recita così: “Portiamo in giro un esempio di vita alternativa basata sulla cultura della festa come momento di unione universale. Vogliamo vivere liberi, per questo sacrifichiamo il bisogno di denaro e massimizziamo il valore del nostro tempo personale, investiamo sulla creatività, ricerchiamo la condivisione e beneficiamo delle relazioni sociali al fine di diffondere l’arte, la musica e lo spettacolo”. Equilibristi e clown, musicisti e attori, la più grande dote degli artisti del circo PaNiKo resta quella di non aver abbandonato ancora l’Italia. “E’ dura”, conclude, perché basta andare al- l’estero e rendersi conto di come la nostra attività viene meglio considerata. Quando giriamo invece tra i nostri paesi vediamo quanto è difficile catturare l’attenzione di chi non è più abituato ad allacciarsi le scarpe e uscire per la cultura”. Ma resistono. Perché quando quella vertigine li ha presi alla testa, mentre un piede dopo l’altro attraversano la sala aggrappati a una fune, hanno sentito i fiati sospesi e i cuori smettere per un’istante di battere. E hanno pensato che ancora ne vale la pena.
(Fonte Il Fatto Quotidiano del 14 Ottobre 2013)