0

Elogio dell’imparare

Elogio dell’imparare, Bertolt Brecht

Quando Bertolt Brecht scrisse “l’Elogio dell’imparare“, nel 1933, in Germania al potere c’era Adolf Hitler. Appena Hitler acquisì i pieni poteri i nazisti bruciarono oltre 25.000 libri di autori non graditi al regime. È il delirio nazista. La folla bruciò anche gli scritti del poeta ebreo del diciannovesimo secolo Heinrich Heine, fino a quel momento particolarmente amato in Germania, il quale nel 1820 aveva scritto: “Là dove si bruciano i libri, prima o poi si bruceranno anche gli esseri umani”.

Impara quel che è più semplice!

Per quelli il cui tempo è venuto
non è mai troppo tardi!
Impara l’abc; non basta, ma
imparalo! E non ti venga a noia!
Comincia! devi sapere tutto, tu!
Tu devi prendere il potere.

Impara, uomo all’ospizio!
Impara, uomo in prigione!
Impara, donna in cucina!
Impara, sessantenne!
Tu devi prendere il potere.

Frequenta la scuola, senzatetto!
Acquista il sapere, tu che hai freddo!
Affamato, afferra il libro: è un’arma.
Tu devi prendere il potere.

Non avere paura di chiedere, compagno!
Non lasciarti influenzare,
verifica tu stesso!
Quel che non sai tu stesso,
non lo saprai.

Controlla il conto,
sei tu che lo devi pagare.
Punta il dito su ogni voce,
chiedi: e questo, perché?
Tu devi prendere il potere.

Bertolt Brecht 

Condividi:
0

Questa è la mia faccia, poesia di Roberto Piumini

Questa è la mia faccia

E questa è la mia faccia,
speriamo che ti piaccia:
la fronte è una campagna,
il naso è una montagna,
gli occhi son fontane,
le orecchie son due tane,
la bocca è una gran grotta,
la lingua è una marmotta
che un po’ sta sotto i fiori,
poi mette il muso fuori!
BLBLBLBLBL!
E questa è la mia piazza,
speriamo che ti piaccia:
la fronte è un grande viale,
il naso è un campanile,
gli occhi son lampioni,
le orecchie due portoni,
la bocca è casa mia,
la lingua è una poesia
che prima resta muta,
poi salta fuori tutta!
BLBLBLBLBL!

Roberto Piumini da Le canzoni dell’albero azzurro

Condividi:
0

Il poeta

poeta

Il poeta, una cosa.
Una cosa deve fare il poeta
non è che sia un lavoro così difficile, il poeta
il poeta, non è che sia un mestiere così complesso
perché al poeta, signori
gli si chiede una cosa che è una
al poeta gli si chiede
siediti
mettiti comodo
e scrivine una bella
ecco cosa deve fare il poeta
il resto, tutte minchiate
che uno al tassista cosa gli chiede?
guida
e all’avvocato?
difendi
e al sarto?
cuci
e al medico?
cura
e al muratore?
costruisci
e al maratoneta?
corri
e quelli
guidano
e difendono
e cuciono
e curano
e costruiscono
e corrono
poi arriva il poeta
che lo vedi già da lontano il poeta
lo riconosci
che il poeta arriva da lontano
e lo vedi tutto gesticolante
tutto ansioso
con le gote arrossate
i capelli scompigliati
le scarpe spaiate
arriva
e ti vuole spiegare
e ti vuole dire
e ti vuole far capire come funziona
e parla
e ti spiega
e parla
e ti racconta
e parla
e ti delucida
e parla
e ti illustra
e parla
e ti commenta
e parla
e ti parafrasa
e parla
e ti interpreta
e parla
e ti insegna
e parla
e ti chiosa
e a un certo punto
fa:
posso leggerti una poesia?
tua? gli chiedi

e lì
nove su dieci
è una martellata nei coglioni
ma di quelle pese.

Che basterebbe poco, il poeta
il poeta, basterebbe poco
capisse
che una cosa gli si chiede
una cosa che è una
gli si chiede
siediti
mettiti comodo
e scrivine una bella.

Guido Catalano

Condividi:
0

La nube dei semi

Poesia di Carlos Nejar

Una poesia di Carlos Nejar, romanziere e critico brasiliano. In Brasile è il traduttore delle opere di Pablo Neruda e Jorge Luis Borges.

Le mie poesie, lo so, saranno erranti,
come me, da vivo
e avranno volto, il certificato
di nascita, la levigata,
avventurosa gioventù
dei miei giorni felici.
E vivranno nella polvere, o fra
i cereali, che la mia gente coltiva,
nel cesto di nocciole, o con il pane
ardente e fresco. Accompagneranno
i solitari nella bisaccia
delle aurore, andranno con quelli
che si amano. Sudate
al lavoro, con il fabbro,
nel riposo della fabbrica,
o con la ragazza stesa
sull’erba, in mezzo
ai cinnamomi. Voglio
le mie poesie, insieme
a coloro che soffrono o tentano
di respirare la nuova vita
dell’uomo. Che siano sale
e non saranno calpestate.
Salvo se vitigni fossero,
uva nel torchio dei paesi.
Ma non voglio frontiere o pedaggi,
per il loro ingresso, fra
coloro che vivono. E portate
dallo spirito, liberate
siano nella parola.
E persino di me, che le ho rese
in scrittura. Poiché si sono
scritte con questo inchiostro
delle cose infinite.
E non entreranno nelle tiepide
biblioteche, se non saranno
vagliate con l’ardore
di chi le legga nel sentiero
segreto della scintilla,
o del pesce nell’acqua.
E parlino della mia intimità
con la nuvola dei semi.
E che mi sopravvivano.

Carlos Nejar, il poeta della “pampa brasiliana” (Traduzione di A nuvem das sementes)

Condividi:

La libidine, Vasco Rossi

Vasco Rossi: La libidine

Questo mestiere
(che non è un lavoro)
è come mangiare
o bere
per me anzi è….
come scopare.

A volte scopi pensando via
a volte scopi distratto
a volte hai fretta
vuoi finire
vuoi arrivare all’orgasmo
e ti dimentichi
che la libidine è scopare
cantarle le canzoni
è durante che si deve gustare
godere.

Sborrare è
la fine
le morte.

Poi si rinasce certo
in un fiore
in una rana
ci si reincarna
come credono i buddisti.
O si va in paradiso
come dicono gli altri.

Ma quello che conta…è:
La vita è adesso
come diceva Baglioni.

Vasco Rossi da Diario di bordo del Capitano

Condividi: