Qualcuno adesso dovrà spiegare perché mantenere gli uffici dello Stato a Milano e provincia costa 3,89 euro per abitante, mentre nella molisana Isernia 42,34 euro. Anzi, qualcuno dovrà spiegare perché quello che dovrebbe essere un costo standard, uguale su tutto il territorio nazionale, varia invece da città a città, da provincia a provincia. Sebbene il budget, sulla carta, sia uguale.
Uguali gli orari di lavoro negli uffici e agli sportelli. Identico il costo del lavoro e dei consumi. Sulla carta, appunto. In realtà non è così. E i costi lievitano man mano ci si sposti verso la parte meridionale dello stivale.
Chiediamo spiegazioni al prof. Schituilli (accanito difensore delle province) la cui opera, lo diciamo a sua difesa, sarebbe più utile in uno Istituto Oncologico, visto che la sua amministrazione provinciale non rientra tra le virtuose. Vorremmo che ce lo spiegasse anche Ventola, presidente della più inutile provincia, la Bat, ma sarebbe inutile in quanto comprendiamo la sua rabbia dover buttare al macero tutto il faraonico arredamento dei suoi uffici e di quello dei suoi collaboratori da lui voluto, non sappiamo se con lo stile del cafone arricchito o da invasato del potere.
L’arcano emerge da un monitoraggio compiuto sulle strutture dell’amministrazione statale, e dunque sulle singole Prefetture, dal ministero della Funzione pubblica, dipartimento Riforme istituzionali, guidato da Carlo Diodato. Lo stesso che sta studiando modalità e tempi per riordinare, se non proprio cancellare le Province.
Lo studio tiene conto delle risorse finanziarie impiegate per portare avanti agli uffici statali, commisurate ai cittadini residenti nei rispettivi territori. Nell’Italia dei 56 milioni 561 mila abitanti, il budget utilizzato ammonta a 565 milioni 451 mila euro, destinati agli 8.001 comuni.
La media dei costi per residente, su scala nazionale, risulta essere dunque di 10 euro pro capite. Succede tuttavia che in 24 grandi e medi comuni virtuosi la media di spesa sia inferiore. Due terzi sono centri del Nord.
In testa risulta essere Milano e la sua provincia, composta da 189 comuni. Seguita a ruota da Brescia, con la media di 4,64 euro e da Torino con 4,82 euro. Ma non mancano le eccezioni meridionali. Napoli, ad esempio, risulta settima, con poco più di 6 euro per cittadino. Seguita da Roma.
Nonostante il budget a disposizione sia il più alto d’Italia (23 milioni 211 mila euro) per la prefettura della Capitale la media per abitante risulta essere di 6,27 euro. Anche Cosenza (dodicesima con 7,76 euro), Salerno, Taranto, Lecce e Catania figurano tra le top 24.
Sotto quella soglia dei dieci euro della media nazionale, il quadro cambia. Perché a Isernia si spende più di 42 euro per cittadino? Tanto più che la pur penultima Rieti, nel Lazio, si tiene comunque a debita distanza, spendendo 27,89 euro per residente. Terz’ultima un’altra prefettura molisana, Campobasso, con 25 euro pro capite di media. Poi Nuoro, L’Aqulia, Matera, Enna, Vibo Valentia e, prima maglia nera del nord, La Spezia (20,14 euro).
Come uscire da quest’altro pozzo senza fondo della spesa pubblica? La cancellazione delle Province, di alcune almeno, e con esse delle relative Prefetture, risolverebbe secondo il governo una parte dei problemi. Ecco perché gli uomini che reggono l’esecutivo sono sempre più convinti che occorra andare avanti con il riordino delle province, che sarà la base per riorganizzare il nuovo assetto dello Stato.
(Fonte osserbari)
Pigs! La crisi spiegata a tutti. Ci dipingono la crisi come un fenomeno naturale. E, come cura, ci propongono le ricette che ne sono all’origine: il neoliberismo. Tutto questo produce sofferenze tanto drammatiche quanto inutili, perché la loro ricetta non funziona e aggrava la crisi. Tutto questo possono farlo perché le persone, anche quelle informate, non capiscono nulla di economia e finanza.