Mai come in questi mesi le cellule staminali sono assurte agli onori della cronaca: se ne parla ovunque e, a onor del vero, quasi sempre a sproposito. Non solo in Italia, sempre a onor del vero. Nell’immaginario collettivo, complici alcuni ciarlatani, speculatori e fenomeni mediatici le cellule staminali sono viste come la panacea per tutti i mali, noti e persino ancora ignoti, e le regolamentazioni, incluse le famigerate GMP (Good Manufacturing Practice), un complotto ordito dalle industrie farmaceutiche per impedire ai pazienti di esercitare un presunto diritto alla “libertà di cura”. Posizioni, queste, spesso sposate da incompetenti in materia e in qualche caso appoggiate, in modo più o meno velato, da alcune istituzioni dimentiche del fatto che dovrebbero essere le prime a tutelare la verità dei fatti e la salute dei pazienti. Credo sia utile provare, ancora una volta, a fare chiarezza.
Qualche settimana fa un articolo dell’Economist ha suscitato reazioni di protesta per aver sostenuto che la scienza è inaffidabile perché sbaglia troppo. Nulla di più lontano dal vero. La scienza sbaglia perché dispone di un metodo che consente di avanzare nella conoscenza, e solo se si è in grado di scoprire gli errori ci si avvicina progressivamente a sapere come stanno le cose. Ci sono poi ambiti, come la medicina, dove si può sbagliare di più e dove gli scienziati possono più spesso cercare di mentire. Ma proprio per ovviare a questi problemi la scienza si è dotata di strumenti di auto-controllo assai efficaci e ha potenziato il metodo scientifico (ovviamente inviso a ciarlatani e speculatori), per esempio sviluppando la cosiddetta “medicina basata sulle prove di efficacia”. Dati alla mano, la ricerca medica moderna dall’inizio del secolo scorso ha permesso, tra altre cose, un notevole allungamento della speranza di vita: anche in Italia, dato che con 81.5 anni siamo al secondo posto nel mondo, dietro al Giappone.
Quali sono i pilastri della medicina basata sulle prove di efficacia? Sostanzialmente tre: una solida ricerca di base, una ricerca pre-clinica meticolosa e una sperimentazione clinica rigorosa in tutte le sue tre fasi, quest’ultima essenziale per garantire ai pazienti la sicurezza (fase i) e l’efficacia (fasi 2 e 3) dei farmaci che vengono loro proposti. In buona sostanza stiamo parlando delle regolamentazioni così tanto discusse in questi mesi. Le cellule staminali, che sono alla base delle cosiddette terapie avanzate e della neonata medicina rigenerativa, sono entità più complesse dei farmaci tradizionali, richiedono competenze multidisciplinari e metodi più complicati di produzione. Quindi, a maggior ragione, devono sottostare alle regole della medicina basata su prove. Non è quindi sorprendente che le terapie avanzate siano oggi sottoposte quasi ovunque, almeno nei paesi più civili, alla stessa regolamentazione utilizzata per i farmaci. Chi propone una derubricazione delle colture cellulari a trapianti o chi si fa promotore di iniziative che tendono a mettere sul mercato terapie di non provata efficacia e non vagliate attraverso le tre le fasi della sperimentazione clinica mina alla radice il concetto di medicina scientifica, con potenziale danno per i pazienti che si dovrebbero e vorrebbero curare. Perché lo fa? Non ci sono che due motivi possibili, strettamente collegati tra loro: un movente di tipo economico speculativo e la consapevolezza dell’improbabilità dell’efficacia delle terapie che si tenta di mettere comunque sul mercato. Ciò detto, scienziati di diverse parti del globo chiedono regolamentazioni più adatte, ritagliate su misura per le terapie avanzate basate su colture cellulari. Credo che questa sia una richiesta giusta, ragionevole proprio in funzione della differenza tra un composto chimico e una cellula. Il che non significa assolutamente, e mi preme ribadirlo, un allentamento delle regole o un’abolizione dei tre principi cardine della medicina basata sulle prove di efficacia (ricerca di base, ricerca preclinica e tre fasi di sperimentazione clinica)
Come si può dunque conciliare l’irrinunciabile necessità di sicurezza ed efficacia con la peculiarità delle colture cellulari? Le regole attualmente applicate, originariamente pensate per i farmaci tradizionali, non sono in realtà del tutto ottimali per le terapie avanzate. Per esempio su alcuni controlli di processo, che risultano ridondanti se non addirittura inutili, soprattutto nel caso di terapie basate su cellule autologhe, cioè estratte dal paziente stesso e a lui destinate. Non è difficile, anche per i non addetti ai lavori, immaginare che i controlli necessari per un lotto di antibiotici utilizzati da milioni di pazienti sono per forza di cose diversi da quelli richiesti per la singola coltura di cellule isolate da un singolo paziente, e solo a lui destinate. Sarebbe dunque opportuno che le autorità regolatorie ripensassero alcune di queste regole, per consentire alle terapie avanzate, soprattutto se legate a malattie rare e fondate su un reale razionale scientifico di efficacia, di arrivare alle fasi i e 2 della sperimentazione (quindi allo sviluppo vero e proprio della terapia) con un impiego di mezzi economici e di energie inferiori a quelli necessari oggi per applicare tout court le regole del farmaco. Questo, senza che si riduca la sicurezza per il paziente, che rappresenta sempre il primo obiettivo di qualsiasi medicina moralmente sana. Accanto ad una semplificazione di alcune regole, sarebbe necessario applicare alle terapie avanzate basate su colture di cellule regole ancora più severe e stringenti sui razionali e sulla ricerca di base e pre-clinica, che giustifichino la prosecuzione dello sviluppo del prodotto fino all’applicazione clinica, anche se sperimentale. Questo perché la cellula è una entità più complessa di un composto chimico e le sue potenzialità terapeutiche meno immediatamente note. Tale cambiamento di prospettiva permetterebbe di ottenere almeno due risultati: rendere disponibili per i pazienti i prodotti di terapie avanzate a base di colture cellulari in tempi più brevi e con costi inferiori, e prevenire la diffusione di trattamenti come quelli tipo “Stamina”, privi di qualsiasi plausibilità scientifica. Ricordiamoci che la vera compassione, in campo medico, sta nel fornire ai pazienti garanzie e informazioni a cui ancorare razionalmente le speranze che, per definizione, nella medicina scientifica possono essere basate solo su solide prove scientifiche. Tutto il resto non può essere in alcun modo definito né compassione né medicina. È solo illusione.
(Fonte associazionelucacoscioni